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In Grecia si rivota e Syriza prova a recuperare consensi

di Franco
Ferrari

Il risultato del voto per il rinnovo del Parlamento che si è tenuto in Grecia il 21 maggio è stato sensibilmente diverso da quello previsto dai sondaggi, anche quelli che sono stati effettuati a meno di 48 ore dall’apertura delle urne. Se tutti prevedevano un successo di Nuova Democrazia, il vantaggio nei confronti di Syriza avrebbe dovuto aggirarsi su 7 o 8 punti percentuali. Inoltre il partito conservatore del primo ministro Mitsotakis era dato in leggero calo rispetto al 2019. Fra i partiti minori si prevedeva una limitata crescita per il PASOK e il KKE e una conferma in Parlamento di MeRA25, il movimento fondato da Varoufakis dopo la sua rottura con Tsipras nel 2015.

Il quadro emerso dalle urne si è invece rivelato molto diverso da quello prospettato. In crescita Nuova Democrazia che ha raggiunto il 40,79% con 2.403.089 voti. Syriza si è fermata molto al di sotto di quanto previsto e di quanto si attendevano anche i più scettici fra i suoi sostenitori, ottenendo il 20,07% con 1.182.155 voti. Un calo di 600.000 voti, tanto più importante perché nel frattempo la partecipazione al voto è cresciuta di tre punti percentuali. Il Pasok ha proseguito la tendenza al recupero dopo la crisi verticale in cui era sprofondato per il ruolo svolto nella gestione dei primi due Memorandum europei, conquistando l’11,46% dei voti, con una crescita di più di tre punti. In ripresa anche il Partito Comunista Greco (KKE) che ottiene il 7,23%, tornando ai livelli delle prime elezioni del 2012, prima di subire in pieno la concorrenza elettorale di Syriza. Si conferma in Parlamento un secondo partito di destra, Soluzione Greca, con il 4,45% e per pochi voti non ne  entra un terzo, Vittoria (Niki), guidata da un più o meno sedicente teologo Ortodosso.

Sul versante sinistro restano fuori i due partiti formati da personaggi politici arrivati alla ribalta grazie a Tsipras e alla sua vittoria elettorale del 2014. Il MeRA25 di Varoufakis, che questa volta ha inglobato anche Unione Popolare, altra scissione di Syriza, è sceso al 2,62% perdendo circa un punto percentuale rispetto a quanto ottenuto dalle due formazioni separate quattro anni fa. In ascesa inaspettata invece Rotta per la Libertà, il partito formato da Zoe Kostantopoulou, che è riuscita a raddoppiare i voti sfiorando l’ingresso in parlamento. L’altro raggruppamento tradizionale dell’estrema sinistra, Antarsya, che raccoglie gruppi maoisti, trotskisti e dissidenti eclettici del KKE, pur guadagnando qualche migliaio di voti, con lo 0,54% è rimasta lontanissima da qualsiasi possibilità di elezione.

Commentatori e analisti hanno cercato di cogliere le ragioni di questo risultato, in parte inaspettato, emerso dalle elezioni greche. A favore del partito conservatore, oltre ad un clima generale che in Europa vede rafforzarsi tutte le posizioni di destra, anche quelle estreme, ha giocato il miglioramento della situazione economica, che certamente non è andata a beneficio di tutti, ma sicuramente di quei settori medi e medio-alti che in genere votano in misura maggiore, ormai, in quasi tutti i paesi, rispetto a quelli popolari. Oltre a questo, la gestione priva di scrupoli e di preoccupazioni umanitarie del problema dei migranti, visti da molti come una minaccia alle loro già precarie condizioni di vita, è stato un elemento che ha giocato a favore del governo uscente. La stessa questione del debito, problema tutt’altro che risolto, ha beneficiato del parziale e provvisorio mutamento di impostazione delle autorità economiche europee, a partire dalla BCE. Tanto più che, con Mitsotakis, Commissione e Banca centrale sanno di poter contare su un governo pienamente allineato col paradigma liberista. Importante, anche se probabilmente non sufficiente a giustificare il risultato, il crescente controllo dei grandi mezzi d’informazione, in mano all’oligarchia vicina a Nuova Democrazia e utilizzati senza alcuna remora contro Syriza e il suo leader in tutta la campagna elettorale.

La sconfitta di Syriza è stata indubbiamente molto pesante e anche qui le ragioni del risultato sono variamente interpretate dagli osservatori. Secondo Filippa Chatzistavrou, professoressa associata di scienze politiche all’Università di Atene: “Alexis Tsipras non dispone di un elettorato molto stabile e l’opposizione al governo conservatore nei quattro anni passati è stata piuttosto molle”. Per altri ha pesato la decisione presa nel 2015 di sottoscrivere un nuovo Memorandum con la trojka europea dopo aver ottenuto il “no” degli elettori nel referendum popolare. Ma si tratta di una valutazione non del tutto convincente. Gli stessi elettori che hanno abbandonato Syriza il 21 maggio, l’avevano votata quattro anni fa, dopo aver dovuto gestire una politica di austerità (seppure con qualche aggiustamento a favore dei ceti popolari) dalla posizione di governo.

Elemento che ha giocato a sfavore di Syriza è anche dover ipotizzare, come effetto dell’introduzione del sistema proporzionale, la formazione di una coalizione di governo, mancando per altro di alleati dichiaratisi disponibili sia sulla sua destra, col Pasok, che sulla sua sinistra con il KKE (sempre contrario a qualsiasi accordo) e con il MeRA25. Secondo un altro commentatore, Manos Matzaganis, professore di finanza pubblica al politecnico di Milano: “La logica della stabilità ha conquistato i greci che sono stati traumatizzati dagli anni di crisi economica. Gli elettori non hanno creduto alla possibilità di un governo di coalizione che non appartiene alla cultura greca”. Naturalmente quando si parla di ciò che vogliono “i greci” ci si riferisce sempre a quel 41% del 60% degli elettori che hanno votato Nuova Democrazia.

Probabilmente convinti che in ogni caso Syriza non avrebbe potuto aspirare a governare da sola, un certo numero di elettori di sinistra ha scelto altre opzioni elettorali delle numerose disponibili, dato che in ogni caso non c’era la pressione del bipolarismo e del “voto utile”.

Come era già previsto prima del voto e tanto più inevitabile dopo l’esito elettorale, si andrà a nuove elezioni quasi certamente il prossimo 25 giugno. Mitsotakis ha dichiarato apertamente che vuole governare da solo e con i voti ottenuti avrebbe potuto ottenere 170 seggi su 300. Ma non si può escludere che partendo dal livello di consenso raggiunto possa conquistare quei 180 seggi che gli potrebbero consentire anche di mettere mano alla Costituzione senza alcun ostacolo. Rapporti di forza che certamente potrebbero incoraggiare quelle tendenze autoritarie e “illiberali”, per utilizzare la formula sancita dall’ungherese Orban, che già si sono espresse con evidenza nei quattro anni passati. Varoufakis ha già lanciato l’allarme sulla “erdoganizzazione” o “orbanizzazione” della Grecia.

In Syriza non si è aperta una discussione di fondo sulle ragioni della sconfitta, né è probabile che questa avvenga nella riunione del Comitato Centrale convocata per il 24 pomeriggio (questo articolo viene scritto alla mattina del 24). Finora nessuno ha posto sul tavolo la questione del cambio di leadership, né Tsipras pensa di doversi sottrarre a guidare una nuova campagna elettorale che avrà tempi strettissimi. Euclid Tsakalotos, uno dei principali esponenti della minoranza interna di sinistra, ha immediatamente escluso, a poche ore dal voto, l’ipotesi di chiederne le dimissioni.

Qualche riflessione interessante ha avanzato pubblicamente l’europarlamentare Dimitris Papadimoulis, il quale ha dichiarato che: “al momento per SYRIZA-PS (ndr: PS sta per Alleanza Progressista) c’è un obbiettivo, affrontare le elezioni che si terranno tra un mese, guidati da Tsipras, effettuando quegli aggiustamenti, cambi e correzioni che ci consentiranno di fare meglio nella prossima prova elettorale”. Ora è importante la coesione e l’unità, dopo le prossime elezioni si avvierà un processo straordinario di riflessione.  Uno degli aggiustamenti che l’europarlamentare ritiene necessari è di valorizzare a fianco di Tsipras una nuova generazione che è stata messa in luce dal voto popolare: Efi Ahtsioglu, Alexis Haritsis, Nasos Iliopoulos. Inoltre si tratta di definire un piano politico che presenti una più grande chiarezza programmatica, “perché il 2023 non è il 2015”. Riorganizzare Syriza è doveroso per investire in “credibilità e collegialità”. Espandere lo spazio politico del partito è utile ma “l’allargamento a qualsiasi costo” non è sempre la ricetta migliore.

E’ questa una delle riflessioni critiche e dei dubbi che si sono affacciati anche già prima della campagna elettorale, dentro o attorno a Syriza, secondo le quali la ricerca di consenso in settori più moderati secondo la logica del “partito piglia-tutti”, alla fine abbia appannato l’identità stessa del partito di Tsipras quale forza di cambiamento. Inoltre diventa necessario, problema che si presenta a tutte le forze della sinistra radicale in Europa, rendere credibili le proprie proposte a favore delle classi e dei settori popolari, in un determinato contesto istituzionale e di rapporti di forza sociali che è tutt’altro che favorevole.

Prevedibile che la nuova campagna elettorale non potrà rimettere in discussione le scelte di fondo ma dovrà provare ad impostare una diversa “narrazione” che mobiliti l’elettorato di sinistra e anche, dal punto di vista di Syriza, confermi il suo ruolo predominante all’interno del campo della sinistra. Probabile che il tema principale sia di non permettere a Mitsotakis tutto il potere di cui potrebbe disporre se occupasse i due terzi del parlamento e si trovasse di fronte un’opposizione frammentata e divisa. Sembra quasi inevitabile che, dando ormai per scontata la vittoria della destra, la partita si giochi soprattutto nella rivalità a sinistra con le varie formazioni pronte a cercare di approfittare della crisi di Syriza.

Difficile prevedere l’esito del nuovo voto per le due formazioni minori nate dalle fratture causate nel 2015 dalla firma del nuovo Memorandum. Varoufakis sembra essere stato sfavorito dal suo riproporre in una qualche misura lo scontro di otto anni fa, senza fare i conti con il cambiamento di contesto complessivo e di clima politico. Una velleità di rivincita per la quale però non dispone di una strategia convincente né di una mobilitazione dal basso sulla quale sostenersi. Il partito della Kostantopoulou ha unito alla critica radicale nei confronti dell’Unione Europea, altre tematiche non propriamente di sinistra, come il sostegno alla furibonda campagna nazionalista contro l’accordo per riconoscere la Nord Macedonia e le strizzate d’occhio ai no vax.

Le elezioni del prossimo 25 giugno ci diranno quale profilo avrà il sistema politico greco nei prossimi anni e se una destra liberista e autoritaria potrà spadroneggiare quasi senza opposizione.

Franco Ferrari

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