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In Francia, tra il palazzo e la piazza, è l’ora del “tango”

di Franco
Ferrari

La Francia ha vissuto una nuova importante giornata di protesta, martedì 31 gennaio, contro il progetto di riforma delle pensioni, voluto da Macron, che innalza l’età pensionabile da 62 a 64 anni. 2,8 milioni di francesi, secondo le valutazioni degli organizzatori, hanno partecipato alle manifestazioni che hanno attraversato tutte le città, dalla capitale ai centri della provincia.

Da un lato il fronte sindacale è molto ampio e, almeno per ora, non lascia spazio a manovre di divisione. Non solo la CGT ma anche Force Ouvriere e la più moderata CFDT, per non parlare degli stessi sindacati che in Italia definiremmo “autonomi” come l’UNSA, partecipano alle mobilitazioni sociali. In Parlamento la fotografia diventa più complessa. La coalizione di sinistra, Nuova unione popolare ecologista e sociale (Nupes), che si è costituita per le elezioni parlamentari dello scorso anno, si sta muovendo per portare dentro all’Assemblea nazionale la spinta che viene dalla strada. Come ha spiegato la deputata ecologista (collocata a sinistra nel partito) Sandrine Rousseau si tratta di realizzare un “tango” tra la piazza e il Parlamento.

Da parte sua l’estrema destra del Rassemblement National di Marine Le Pen che, dopo le elezioni del 2022, dispone per la prima volta nella sua storia di un consistente gruppo parlamentare, si oppone alla riforma ma si astiene dal partecipare alla mobilitazione di piazza.

Incerta la destra tradizionale dei Republicaines che è favorevole ad una riforma che, per sua natura, è sicuramente affine al profilo ideologico di questo partito, ma che, non facendo parte organicamente della maggioranza macroniana, comincia a sentire l’effetto dell’opposizione alla proposta governativa. Questa pressione fa vacillare numerosi parlamentari del movimento un tempo gollista. Una parte dei Republicaines non vede un particolare interesse nel togliere le castagne dal fuoco a quella che è, probabilmente, la più impopolare delle iniziative politiche di Macron

All’interno della stessa maggioranza tripartita che sostiene il Presidente (Renaissance, MoDem, Horizons) si comincia ad intravedere qualche scricchiolio. Macron, che non potrà ricandidarsi nel 2027, può anche rischiare una popolarità che, in realtà, nelle classi popolari non ha mai avuto. Ma per i suoi deputati, che dovranno invece cercare di farsi rieleggere, una contrapposizione sociale così forte li può definitivamente inchiodare al ruolo di partito dei ricchi.  In mancanza di consenso parlamentare la prima ministra Elisabeth Borne potrebbe chiedere il ricorso al famigerato 49.3, l’articolo che consente al Presidente di far passare le leggi anche in spregio del Parlamento. Ma in presenza di una forte mobilitazione di piazza questa misura potrebbe essere percepita da molti come una provocazione.

Difficile per ora prevedere l’esito dello scontro, ma indubbiamente, il movimento di lotta che si è attivato in Francia, insieme ai numerosi conflitti in corso in Gran Bretagna e alcune mobilitazioni presenti in altri paesi europei indicano una situazione di relativa instabilità sociale. Dentro le quale si aprono nuovi spazi di iniziativa e di rilancio del conflitto su questioni salariali (per il peso dell’inflazione) e di opposizione a ulteriori arretramenti sul terreno dei diritti.

In questo contesto si evolve l’assetto delle formazioni politiche della sinistra, raccolta, non senza qualche contraddizione e difficoltà, all’interno della Nupes che comunque, per ora, sembra tenere. France Insoumise resta la forza cardine dell’alleanza, attorno alla leadership carismatica anche se conflittuale di Melenchon. Non mancano però le tensioni interne, come quella legata alla vicenda di Adrienne Quatennes, figura di primissimo piano nel movimento, coinvolto in accuse di violenza nei confronti della moglie da cui stava divorziando. Così come quelle legate alla scarsa collegialità e democraticità della struttura di LFI. Sulla vicenda Quatennes, il partito e lo stesso Melenchon sono sembrati ambigui e in contraddizione con la posizione generale di sostegno alle iniziative politiche contro la violenza nei confronti delle donne. Quanto all’assetto interno, la natura volutamente “gassosa” che gli ha impresso Melenchon rende più difficile trovare forme di condivisione e partecipazione che si sottraggano alla eccessiva influenza del leader e fondatore.

France Insoumise resta in ogni caso la forza prevalente all’interno della sinistra, mentre gli altri partiti sono impegnati in appuntamenti congressuali nei quali non sono mancati conflitti attorno al rapporto con la Nupes. I verdi hanno scelto una linea che cerca di tenere insieme difesa della propria identità e partecipazione alla coalizione di sinistra come strumento di convergenza parlamentare.

Molto contrastato il congresso socialista, il cui iter è stato completato lo scorso fine settimana a Marsiglia, ed ha rischiato di portare al totale sfaldamento di questo partito che, per molti anni, ha dominato la sinistra francese. I circa 20.000 iscritti che hanno partecipato alla scelta del primo segretario si sono praticamente divisi a metà. Una lieve maggioranza si è espressa a favore del segretario uscente, Olivier Faure, che ha sostenuto l’alleanza a sinistra. Questo risultato è stato però contestato dal suo rivale Nicolas Mayer-Rossignol e per trovare una qualche sistemazione che evitasse la deflagrazione del partito, Faure ha dovuto accettare di nominarlo primo segretario delegato. Il che ha subito aperto una disputa tra i sostenitori dell’uno, che sottolineano come comunque vi sia un “primo” segretario che guida il partito, e i sostenitori dell’altro che interpretano l’accordo come una diarchia di fatto.

La linea di Mayer-Roussignol è critica nei confronti della Nupes ma cerca comunque di collocarsi più a sinistra della presidenza Hollande. Una gestione, quella dell’ex presidente della Repubblica, che ha avuto un impatto disastroso sui socialisti francesi. La crisi del partito è stata aggravata dalla presenza di due iniziative politiche rivali, entrambe in una certa misura definibili come “populiste”, che hanno polarizzato l’elettorato tradizionale della sinistra moderata. Spostandolo a destra nel caso di Macron e a sinistra sul fronte di Melenchon.

Una recente inchiesta dimostra che nella base socialista è presente una doppia tendenza non facilmente componibile in un’unica sintesi. Sui contenuti politici c’è indubbiamente uno spostamento a sinistra che si traduce in sostegno alla ridistribuzione fiscale, al rafforzamento del ruolo dello Stato dell’economia e ad una maggiore protezione dei lavoratori salariati. Contemporaneamente resta una forte diffidenza nei confronti di Melenchon considerato da una lieve maggioranza addirittura un pericolo per la democrazia.

La crisi dei socialisti francesi rappresenta una conferma della più generale crisi della socialdemocrazia che nonostante abbia riconquistato qualche posizione di guida in alcuni governi nazionali, come la Germania o la Spagna, non riesce più a coagulare un blocco sociale sufficientemente omogeneo da garantirgli un’egemonia quanto meno sul fianco sinistro delle’elettorato.

Sono impegnati nella procedura congressuale anche i comunisti, il cui appuntamento ufficiale è fissato a Marsiglia dal 7 al 10 aprile prossimo. Al voto per la scelta del documento che deve costituire la base comune della discussione, si sono presentati 30.000 dei 42.000 iscritti, un numero nettamente superiore a coloro che si sono mobilitati per il congresso socialista. E a differenza di questi ultimi, spaccati a metà, la direzione uscente guidata da Fabien Roussel ne è uscita nettamente consolidata raccogliendo l’81,92% di consensi favorevoli.

Roussel, che era uscito vincitore dal congresso precedente mettendo in minoranza la direzione di Pierre Laurent, ha cercato di rilanciare il partito riprendendone alcuni temi identitari. In questo modo ha cercato di recuperare consensi in quei settori popolari che ormai da molti anni si sono allontanati dai comunisti e in parte almeno hanno risentito delle sirene della destra lepenista.

Sicuramente il segretario comunista è dotato di un certo carisma e di capacità comunicative che gli consentono di essere maggiormente presente sulla scena mediatica, ma il profilo del partito sembra piuttosto rivolto al passato, in un contesto sociale che risulta profondamente mutato. E per ora i risultati elettorali non sono stati all’altezza delle ambizioni.

I critici della sua gestione, che si sono raccolti in un documento alternativo che ha ottenuto meno del 20% dei consensi degli iscritti pur avendo il sostegno di due ex segretari nazionali come Pierre Laurent e Marie-George Buffet, ritengono che la linea politica scelta sottovaluti l’importanza delle tematiche non strettamente socio-economiche (come la questione ambientale) e sia eccessivamente conflittuale nei confronti di France Insoumise rischiando di mettere in pericolo l’unità a sinistra. Una posizione, quest’ultima, sulla quale insiste in particolare la deputata Elsa Faucillon.

L’emergere di un importante movimento di protesta, nel quale i comunisti sono fortemente impegnati, può aiutare a far prevalere la spinta unitaria sulle tendenze centrifughe. Mentre sul piano strettamente istituzionale si profila la scadenza delle elezioni europee del prossimo anno. La France Insoumise ha proposto la presentazione unitaria di tutti i partiti che formano la Nupes. Una strada che per ora è stata esclusa dai Verdi che in genere alle elezioni europee ottengono risultati migliori che nelle altre scadenze elettorali, e si ritengono in grado di superare, anche da soli, la soglia di sbarramento del 5%. Resta per ora incerta la decisione di socialisti e comunisti. Se darà frutti il “tango” tra il palazzo e la piazza di cui ha parlato Sandrine Rousseau, allora anche lo scenario del prossimo anno potrà cambiare favorevolmente e rafforzare significativamente la presenza della sinistra al parlamento europeo.

Franco Ferrari

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