Questo è il titolo della lettera delle detenute del carcere “Lorusso Cotugno” di Torino con la quale annunciano un mese di sciopero della fame a staffetta per ricordare a tutti che in carcere si vive e si muore anche durante la campagna elettorale. “Scriviamo da una cella della sezione femminile delle ‘Vallette’… Ognuna di noi, dal 24 agosto al 25 settembre, farà alcuni giorni di sciopero della fame: ‘a staffetta’ ognuna di noi vuole esprimere solidarietà per tutti coloro che sono morti suicidi, soli dentro una cella bollente… Ognuna di noi, aderendo a questa iniziativa non violenta vuole esprimere lo sdegno e il dissenso per il menefreghismo di una certa politica e delle istituzioni! Per noi e per i tutti i reclusi la ‘cattività’ in cui ci vorreste tenere a vita è inaccettabile. Mentre voi non ci nominate, noi vi accompagniamo fino al giorno delle elezioni, poi dopo si aprirà l’ennesimo capitolo… Ci negate una riforma da anni… Ciononostante non ci zittiamo! Chiediamo il supporto e la solidarietà di tutti coloro che si occupano di diritti di far arrivare le nostre voci ovunque… serva! Le voci nostre e dei compagni che non ce l’hanno fatta! Un abbraccio prigioniero. Le ragazze di Torino”.
Le “ragazze di Torino” non sono influencer e la loro iniziativa non sembra destinata ad avere eco negli impegni che i partiti e le coalizioni stanno assumendo prima del 25 settembre (che poi intendano mantenerli è un’altra questione…). Eppure durante questa lunga e caldissima estate che sta terminando si è parlato di carcere un po’ di più di quanto si faccia abitualmente, a causa delle alte temperature che, sommate al sovraffollamento e alle deficienze strutturali della maggioranza degli istituti penitenziari (che sono in molti casi vecchissimi1), hanno reso così difficile la vita quotidiana che l’autorizzazione all’acquisto di alcuni ventilatori a spese dei detenuti e l’acquisto di 4 congelatori da parte di un’amministrazione locale hanno fatto notizia.
Ci si è anche accorti, quest’estate, che in carcere si muore qualche volta di malattia e di vecchiaia, perché l’età media dei detenuti è elevata, ma soprattutto di suicidio. Dall’inizio dell’anno ce ne sono stati 58, di cui 15 solo ad agosto. Un’enormità (più dell’1 per mille del totale della popolazione detenuta, come se si fossero suicidate oltre 45.000 adulti liberi dall’inizio del 2022, mentre il numero medio è 4.000 all’anno tra la popolazione oltre i 15 anni) che normalmente non fa notizia. La morte (per aver inalato il gas del fornelletto da campeggio che si trova in tutte le celle) di Donatella Hado, 27 anni, tossicodipendente, in carcere per reati di lieve entità contro il patrimonio, avvenuta nella notte tra l’1 e il 2 agosto nella casa circondariale Montorio di Verona, ha portato i media a commentare i dati sui suicidi soprattutto perché il magistrato di sorveglianza che seguiva la donna ha scritto una lettera aperta nella quale ascrive questo suicidio al fallimento del sistema2.
E quando un sistema fallisce è necessario un reset, bisogna ripensarlo e riorganizzarlo completamente, non bastano piccoli aggiustamenti.
Ben venga la circolare dell’attuale capo DAP3, trasmessa ai Provveditori e ai direttori degli istituti che ha l’obiettivo di rinnovare, anche con il coinvolgimento delle autorità sanitarie locali, gli strumenti di intervento e le modalità per prevenire i suicidi (in attuazione di un piano che risale a 5 anni fa e che evidentemente non è servito a molto), anche se dovremo aspettare di vedere quali misure concrete verranno messe in atto, soprattutto in considerazione della scarsità di educatori, assistenti sociali e psicologi. Sarebbe meritevole l’accoglimento della richiesta dell’associazione Antigone che, con la della campagna “Una telefonata allunga la vita”, chiede di abolire il limite regolamentare di 10 minuti a settimana per i colloqui telefonici, una misura che non richiede alcun intervento legislativo e che consentirebbe di tenere allacciato un filo con le persone care nei momenti, inevitabili, in cui sembra di non potercela fare.
Ma serve di più.
Serve diminuire stabilmente la quantità di persone che entra in carcere attraverso un intervento legislativo rilevante di depenalizzazione, a cominciare dalla modifica delle norme sulle droghe, con l’effetto anche di deflazionare i tribunali.
È necessario ridurre considerevolmente e permanentemente il numero di persone che sta in carcere in attesa di giudizio (in questo momento sono oltre 8.000 i detenuti che non sono stati ancora processati nemmeno in primo grado), mettendo mano almeno a quella norma che consente di disporre la detenzione cautelare per prevenire la commissione di un reato analogo4.
È urgente limitare fortemente l’ingresso in carcere di persone condannate a una pena breve (fino a 4 anni) prevedendo che le misure alternative siano la norma e il carcere l’eccezione5.
Serve migliorare le strutture, non solo ampliando le celle, dotandole di acqua calda e servizi igienici adeguati, ma ampliando gli spazi per lo studio, le attività trattamentali, lo sport e la socialità6, impegnando ben più risorse di quelle esigue stanziate dal PNR per le ristrutturazioni (0,13 miliardi).
È necessario prevedere spazi idonei per i colloqui con familiari e amici, che devono essere più lunghi, più frequenti e più privati e spazi idonei per quelle che vengono chiamate pudicamente “visite coniugali”, poiché parlare di sessualità (figuriamoci fuori dal matrimonio tra un uomo e una donna) sembra una bestemmia, perfino a coloro che non pensano al carcere come a una forma accettabile di vendetta.
È irrinunciabile assumere un maggior numero di educatori, assistenti sociali e psicologi, che sono insufficienti per affrontare i compiti loro assegnati e decisamente sotto la media dei Paesi del Consiglio d’Europa in rapporto alla popolazione detenuta, mentre il numero degli operatori di polizia penitenziaria, al contrario di quanto generalmente si sostiene, risulta in linea con la media europea7. Né la polizia penitenziaria ha bisogno di essere dotata di taser. I problemi sono, piuttosto, quello della smobilitazione del Gruppo operativo mobile della polizia penitenziaria (GOM) e dei suoi equivalenti locali (responsabili, tra l’altro, delle violenze nella caserma di Bolzaneto nel 2001 e di quelle nel carcere di Santa Maria Capua Vetere nel 2020), quelli della formazione degli operatori, dell’accompagnamento e del sostegno psicologico nelle situazioni di stress correlato al lavoro.
È indispensabile incentivare i percorsi di istruzione e di formazione all’interno del carcere anche attraverso l’utilizzo delle tecnologie.
Ma torniamo alla lettera delle “ragazze di Torino” e alla campagna elettorale. Nonostante il gran parlare di giustizia che si è fatto prima della caduta del governo – quando sembrava che non si potesse quasi parlare d’altro che di “riforma Cartabia”, dei suoi meriti e dei suoi limiti, in un infuriare di polemiche sui criteri di formazione del Consiglio superiore della magistratura e di unanime consenso rispetto alla connessione tra intervento complessivo sul tema della giustizia e raggiungimento degli obiettivi del PNRR – nella campagna elettorale in corso la giustizia è tornata a essere poco più che marginale. Di carcere si parla ancora meno.
Nei programmi c’è poco e molto vago, almeno nella loro forma sintetica. Quando va bene un richiamo al principio costituzionale del reinserimento dei detenuti (attraverso il lavoro) insieme al proposito di destinare “quote significative di fondi per assicurare supporto psicologico” (PD); un po’ di depenalizzazione e di misure alternative (legalizzazione della cannabis e delle droghe leggere; “riforma dell’istituto della detenzione soprattutto per i reati minori, attraverso un più ampio utilizzo delle misure alternative e investimenti nel reinserimento sociale dei detenuti”; interventi “sul sistema carcerario inadeguato e non degno di un paese civile e democratico”; “stop all’abuso della custodia cautelare”: UP); un accenno vago alla necessità di “ridurre il sovraffollamento e migliorare la qualità della vita delle persone detenute” e la proposta di migliorare “la qualità di preparazione del personale penitenziario adibito alla custodia a qualsiasi livello gerarchico” (SI-Verdi); il “rafforzamento del sistema dell’esecuzione penale alternativa alla detenzione in carcere” e “interventi di riforma dell’ordinamento penitenziario e di edilizia carceraria” (A-IV). Quando va male una “maggiore attenzione alla polizia penitenziaria e accordi con gli stati esteri per la detenzione in patria dei detenuti stranieri” (FdI-Lega-FI).
Nelle interviste e nelle conferenze stampa di presentazione delle liste c’è un po’ di più e non è quasi mai un bel sentire8, con l’eccezione di Clemente Mastella, che ha proposto un indulto per risolvere subito il problema del sovraffollamento. Da solo non basterebbe, ovviamente, anche se risolverebbe per un certo periodo di tempo il problema del sovraffollamento. Sarebbero invece necessari interventi contemporanei sulle norme che riempiono le carceri, in modo da evitare che il problema si ripresenti nel giro di poco tempo (come è accaduto anche dopo l’indulto del 2006, perché il populismo penale ha molti fan). Ma sarebbe un buon punto di partenza. E sarebbe normale, in un Paese normale, promulgare un’aministia e un indulto alla vigilia dell’entrata in vigore di un provvedimento (la “riforma Cartabia”) che interviene sulla procedura penale e sul sistema sanzionatorio.
Maria Pia Calemme
- 39 dei 191 istituti penitenziari sono stati costruiti prima del 1900.[↩]
- Nella lettea di Vincenzo Semeraro si legge: “Ogni volta che una persona detenuta si toglie la vita significa che tutto il sistema ha fallito. Nel caso di Donatella, io ero parte del sistema visto che seguivo il suo caso da sei anni. Quindi, come il sistema, anche il sottoscritto ha fallito”.[↩]
- Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, afferente al Ministero della giustizia.[↩]
- La norma è quella del comma c dell’art. 274 del codice di procedura penale. Secondo Fabio Roia, presidente vicario del Tribunale di Milano, il 95% delle misure cautelari viene disposta sulla base dell’ultimo presupposto, perché gli altri (rischio di inquinamento delle prove e pericolo di fuga) sono difficili da dimostrare (intervista del 4/6/2022 di Virginia Piccolillo, Corriere della sera). Si ammette, in questo modo, che si tratta di un escamotage per detenere persone che, invece, dovrebbero rimanere fuori dal carcere (si veda sulla questione della carcerazione preventiva, il precedente articolo Più repressione, please).[↩]
- C’è una previsione, seppure non assoluta, in questo senso nella cosiddetta riforma Cartabia, che prevede la possibilità di disporre le misure alternative in sentenza.[↩]
- “Ho visto stanze fredde e umide, senza acqua calda, con scarichi non funzionanti, con spazi angusti per il trattamento e la ricreazione; al di là di alcune realtà d’eccellenza, soprattutto al centro nord, ho visto ambienti desolati e desolanti, detenuti prostrati e personale di polizia penitenziaria afflitto da troppi turni e incombenze” ha raccontato l’ex capo del DAP Petralia (https://lavialibera.it/it-schede-917-bernardo_petralia_dap_giudice_detenuti_carcere).[↩]
- Rapporto SPACE: SPACE-I_2021_FinalReport.pdf (unil.ch).[↩]
- Penso, per esempio, a Giulia Buongiorno, ministra in pectore della giustizia insieme a Carlo Nordio, che sembra ritenere, come Giorgia Meloni, che le pene debbano essere tutte scontate in carcere (intervista a La Stampa del 30/8/22).[↩]