Dopo decenni di richieste da parte delle popolazioni indigene, il Vaticano “rinnega” la “dottrina della scoperta” che ha legittimato per secoli l’espropriazione delle terre da parte dei regni cattolici europei come premessa del genocidio fisico e culturale, della riduzione in schiavitù e dell’era coloniale. Tematiche che ho cercato di ricostruire nel libro Suprematismo bianco. Alle radici di economia, cultura e ideologia della società occidentale, DeriveApprodi, Roma, 2023.
Il Vaticano ha “sconfessato” la “dottrina della scoperta”, un corpus giuridico costruito nei secoli XV e XVI sulla base di una serie di “bolle papali” che è stato utilizzato per legittimare l’espropriazione delle terre (le terre erano considerato terra nullius – terre libere – se non fossero state occupate dai cristiani1, la presunta superiorità razziale dei popoli (bianchi) cristiani europei, il soggiogamento, la disumanizzazione, lo sfruttamento e la riduzione in schiavitù delle popolazioni (“colorate”) indigene in Africa e nelle Americhe da parte dei regni colonialisti cristiani europei. Il 30 marzo il Dicastero per la cultura e l’educazione e il Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale del Vaticano hanno reso pubblica una dichiarazione in cui si afferma che la dottrina – che ancora oggi informa le politiche e le leggi dei governi – non fa parte degli insegnamenti della Chiesa cattolica.
Il documento del Vaticano sostiene che le bolle papali sono state “manipolate a fini politici da potenze coloniali concorrenti per giustificare atti immorali contro i popoli indigeni che sono stati compiuti, a volte, senza l’opposizione delle autorità ecclesiastiche”.
“Senza mezzi termini, il magistero della Chiesa sostiene il rispetto dovuto a ogni essere umano”, si legge nel documento. “La Chiesa cattolica quindi ripudia quei concetti che non riconoscono i diritti umani intrinseci dei popoli indigeni, compresa quella che è diventata nota come la ‘dottrina’ legale e politica ‘della scoperta’”.
Il Vaticano non ha offerto alcuna prova che le tre bolle papali che sono state interpretate come una giustificazione per il colonialismo e imperialismo europeo e del primo sviluppo della tratta degli schiavi dei secoli XV e XVI da parte di portoghesi e spagnoli (un espansionismo successivo alla “reconquista” della penisola iberica dal dominio arabo musulmano) – Dum Diverse di papa Niccolò V nel 1452 (l’anno prima della caduta dell’Impero d’Oriente di Costantinopoli da parte dell’impero Ottomano) che autorizzava Alfonso V del Portogallo a conquistare saraceni e pagani e a consegnarli alla “servitù perpetua“2, Romanus Pontifex di papa Niccolò V nel 14553 e Inter Caetera di papa Alessandro VI (Borgia, originario di Valencia) nel 1493 che estese il concetto della cessione di sfere di influenza esclusive alla Spagna e al Portogallo, che fu esteso alle Americhe, limitando il potere portoghese a favore di quello spagnolo e affermando che una nazione cristiana non aveva il diritto di stabilire il dominio su terre precedentemente dominate da un’altra nazione cristiana4 – siano state formalmente abrogate, annullate o rigettate, come hanno spesso affermato i funzionari vaticani. Ma il documento cita una successiva bolla papale, Sublimis Deus di Paolo III del 1537, che riaffermava che i popoli indigeni erano esseri umani pienamente razionali che non dovevano essere privati della loro libertà o del possesso dei loro beni, e non dovevano essere ridotti in schiavitù anche se erano pagani5.
La “dottrina della scoperta” ha inaugurato un’era di espropriazione delle terre, violenza, tratta schiavistica e genocidio delle popolazioni indigene. Il filosofo Montesquieu (1689-1755) notava amaramente nei Pensieri (RCS Libri, Milano, 2010, p. 39) che «Gli Spagnoli dimenticarono i doveri dell’uomo a ogni passo che fecero nella conquista delle Indie, e il papa, che mise loro le armi in mano, che consegnò il sangue di tanti popoli, li dimenticò ancor di più». La bolla papale di Alessandro VI ha regalato le Americhe alla Spagna e l’Africa (l’Atlantico meridionale) al Portogallo. Una spartizione confermata dal trattato di Tordesillas del 1494 tra Spagna e Portogallo: a ovest del meridiano nord-sud 46° 37’ O, 1.770 chilometri a ovest delle isole di Capo Verde, le terre sarebbero state tutte di pertinenza della Spagna, mentre a est del Portogallo6 che mantenne il monopolio della tratta degli schiavi per l’economia delle piantagioni nella seconda metà del XV secolo e nella prima metà del XVI. Gli olandesi presero il sopravvento in questo commercio nella seconda metà del XVI secolo e l’inizio del XVII, mentre la Francia acquisì il predominio nella seconda metà del XVII secolo per poi perderlo a vantaggio degli inglesi che nel frattempo avevano acquisito il controllo delle «isole dello zucchero» nei Caraibi.
A questo proposito è bene ricordare che quando Bartolomé de Las Casas (1484-1566), un ex colonizzatore delle Indie Occidentali diventato dominicano, fece la sua famosa argomentazione7 secondo cui i popoli indigeni che venivano sistematicamente distrutti dalle razzie, dalle malattie (come vaiolo, varicella e morbillo) portate e usate dagli europei come armi biopolitiche, e dalla schiavitù erano in realtà esseri umani con un’anima che dovevano essere convertiti al cristianesimo e quindi non dovevano essere sottoposti a un trattamento disumano – «Tutta questa gente di ogni genere fu creata da Dio senza malvagità e senza doppiezze […]» – questo ragionamento non venne esteso agli africani che venivano ridotti in schiavitù. Mentre gli indigeni del continente americano, seppure considerati una forma umana di tipo inferiore, potevano essere esentati dalla schiavitù e convertiti poiché avevano un’anima in quanto esseri visti come almeno parzialmente umani, questa considerazione non venne estesa agli africani considerati dei «maledetti» e alla stregua di «bestie» senz’anima8. Dei «selvaggi» senza una civiltà, ossia senza storia, religioni codificate, conoscenze scientifiche, scrittura, Stato o governo organizzato, arti, agricoltura e città. Sopprimendo la storia, la cultura e la società dell’Africa, non certo per ignoranza, gli europei hanno trasformato gli africani e le persone di discendenza africana nell’«altro», in «esseri umani senza umanità», per giustificare il furto della loro umanità e poterli trattare in modo disumano come beni mobili, come merci. E, in quanto merci, 12,5 milioni di africani sono stati deportati, marchiati, sfruttati per il lavoro, ipotecati, scambiati, acquistati, venduti, usati come garanzia per ottenere prestiti per il finanziamento delle piantagioni, dati in dono e eliminati con la violenza9.
Il cardinale Michael Czerny, un gesuita canadese il cui Dicastero è coautore della dichiarazione, ha sottolineato che le bolle papali originali erano state abrogate da tempo e che l’uso del termine “dottrina” – che in questo caso è un termine legale, non religioso – ha portato a secoli di confusione sul ruolo della Chiesa. Le bolle papali originali, ha detto, “sono state trattate come se fossero documenti didattici, magisteriali o dottrinali, ma erano una mossa politica ad hoc. E penso che ripudiare solennemente una mossa politica ad hoc possa generare più confusione che chiarezza”10. Ha sottolineato che la dichiarazione non riguardava solo mettere le cose in chiaro, ma “scoprire, identificare, analizzare e cercare di superare quelli che oggi possiamo solo chiamare gli effetti duraturi del colonialismo”11.
Per decenni, leader delle popolazioni indigene e sostenitori di queste comunità avevano esortato la Chiesa cattolica a revocare la “dottrina della scoperta”, che affermava che gli “scopritori” europei potevano rivendicare ai loro regni di appartenenza – a cominciare da Portogallo e Spagna – qualsiasi territorio non ancora “scoperto” e abitato dai cristiani. Le bolle papali hanno svolto un ruolo chiave nella conquista e spartizione europea dell’Africa e delle Americhe, e i loro effetti sono ancora avvertiti dalle popolazioni indigene.
Gli appelli a revocare la “dottrina della scoperta” erano stati manifestati pubblicamente in modo più forte lo scorso anno quando Papa Francesco ha fatto un viaggio in Canada durante il quale ha chiesto scusa alle popolazioni indigene per il ruolo della Chiesa cattolica nelle loro sofferenze, passate e presenti, dovute all’espropriazione delle loro terre e agli abusi diffusi che hanno avuto luogo nelle cosiddette scuole residenziali, frutto di politiche di assimilazione forzata, promosse dalle autorità governative dell’epoca, intese a eliminare le loro culture indigene12. In Canada i popoli indigeni si battono ancora per il riconoscimento dei loro diritti dei quali sono stati espropriati dal colonialismo francese ed inglese a partire dal XVI secolo13, con l’Inghilterra che ha perduto «l’America», ma ha conservato il Canada (dove gli inglesi erano arrivati nel 1497 con la spedizione esplorativa del navigatore italiano Giovanni Caboto, inviato dal re Enrico VII), acquisendo il Quebec dalla Francia nel 1763 (dopo la Guerra dei Sette Anni, nota anche come Guerra franco-indiana che pose fine alla presenza della Francia come una potenza terrestre in nord America) e completando l’estensione dall’Atlantico al Pacifico tra il 1759 e il 1948. Tra la fine del 1800 e gli anni ’90, più di 150 mila bambini Inuit, First Nations e Metis in tutto il Canada sono stati sottratti alle loro famiglie e comunità e obbligati a frequentare le istituzioni di assimilazione forzata, che erano piene di violenze fisiche, psicologiche e sessuali.
I leader indigeni hanno accolto con favore la dichiarazione vaticana, anche se ha continuato a prendere le distanze dal riconoscere l’effettiva colpevolezza della Chiesa. Phil Fontaine, ex capo nazionale dell’Assemblea delle Prime Nazioni in Canada che faceva parte della delegazione che ha incontrato Papa Francesco in Vaticano prima del viaggio dello scorso anno e poi lo ha accompagnato per tutto il tempo, ha detto che la dichiarazione è stata “meravigliosa“. Ha detto che ha risolto una questione in sospeso e ora pone la questione di fronte alle autorità civili per rivedere le leggi sulla proprietà che citano la dottrina. “Il Santo Padre aveva promesso che, al suo ritorno a Roma, avrebbero iniziato a lavorare su una dichiarazione destinata a placare i timori e le preoccupazioni di molti sopravvissuti e di altri preoccupati per il rapporto tra la loro Chiesa cattolica e il nostro popolo, e ha fatto come aveva ha detto che avrebbe fatto“.
Michele Audette, un senatore Innu che era uno dei cinque commissari responsabili della conduzione dell’inchiesta nazionale sulle donne e ragazze indigene scomparse e assassinate in Canada, ha detto alla Canadian Broadcasting Corporation che l’annuncio l’ha lasciata incredula. “È grande“, ha detto. “Quella dottrina ha fatto in modo che non esistessimo o che non fossimo addirittura riconosciuti… È una delle cause profonde del motivo per cui la relazione è così disastrosa”.
Ora la palla è nel campo dei governi, negli Stati Uniti e in Canada, ma in particolare negli Stati Uniti dove la dottrina è incorporata nelle leggi. Ad esempio, la “dottrina della scoperta” è stata citata di recente in una decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti del 2005 che coinvolgeva la nazione indiana Oneida e scritta dalla defunta giudice Ruth Bader Ginsburg.
Questo ripudio formale della “dottrina della scoperta” da parte del Vaticano è il risultato del duro lavoro e dell’advocacy da parte della leadership e delle comunità indigene. Una dottrina che non sarebbe mai dovuta esistere.
Alessandro Scassellati
- La prima formulazione di questo principio risale alla bolla Terra Nullius di papa Urbano II durante il primo appello alla “crociata” nel 1095 e ha rappresentato il dispositivo politico-giuridico dell’espansione europea. Una formulazione giuridica che ha trovato particolare espressione nella giurisprudenza ottocentesca dei tribunali di diversi paesi, secondo la quale la scoperta di terre da parte dei colonizzatori concedeva a loro il diritto esclusivo di estinguere, mediante acquisto o conquista, il titolo o il possesso di quelle terre da parte delle popolazioni indigene. La più importante di queste decisioni legali che si rifacevano alle antiche bolle papali fu quella emanata dalla Corte Suprema degli Stati Uniti nel 1823 che stabiliva che la proprietà e la sovranità sui territori precedentemente abitati dalle popolazioni indigene dovevano passare automaticamente agli europei grazie alla loro “scoperta”[↩]
- “Vi concediamo con questi documenti, con la nostra Autorità Apostolica, pieno e libero permesso di invadere, ricercare, catturare e soggiogare i Saraceni e i pagani e ogni altro non credente e nemico di Cristo ovunque si trovino, così come i loro regni, ducati, contee, principati e altri beni […] e ridurre le loro persone in servitù perpetua”. Papa Callisto III ha ribadito la bolla nel 1456 con Inter caetera, rinnovata da papa Sisto IV nel 1481 e papa Leone X nel 1514 con Precelse denotionis.[↩]
- Le Romanus Pontifex sono due bolle papali emesse nel 1436 da papa Eugenio IV e nel 1455 da papa Niccolò V che elogiano il re cattolico Afonso V del Portogallo per le sue battaglie contro i musulmani, avallando le sue spedizioni militari nell’Africa occidentale e incaricandolo di catturare e sottomettere tutti i saraceni, i turchi e altri non cristiani per ridurre le loro persone alla schiavitù perpetua. I capi della Chiesa sostenevano che la schiavitù serviva da deterrente naturale e influenza cristianizzante per il comportamento “barbaro” tra i pagani. Dopo la bolla Dum Diverse, i capi della Chiesa avallarono la posizione della Corona del Portogallo sostenendo che aveva diritto al dominio su tutte le terre a sud di Capo Bojador (all’altezza delle Isole Canarie) in Africa. Lo scopo principale della bolla era quello di vietare ad altri re cristiani di violare la pratica del commercio e della colonizzazione del re del Portogallo in queste regioni, in particolare durante la competizione portoghese e castigliana per l’ascesa sulle nuove terre scoperte. È bene ricordare la sequenza che in meno di un secolo conduce i portoghesi, dopo la conquista di Ceuta nel 1414, a spingersi sempre più a Sud lungo le coste dell’Africa fino a doppiare il Capo di Buona Speranza con Bartolomeu Diaz nel 1488, poi a navigare sino all’India con Vasco De Gama dieci anni più tardi, mentre Pedro Alvares Cabral scopre il Brasile nel 1500.[↩]
- Con una successiva bolla, Dudum siquidem, papa Alessandro VI concedeva ai monarchi cattolici Isabella I di Castiglia e Ferdinando II d’Aragona “tutte le isole e i continenti di qualsiasi genere, trovati e da trovare, scoperti e da scoprire, che sono o possono essere o possono sembrare essere sulla rotta della navigazione o viaggiare verso ovest o sud, sia che si trovino nelle parti occidentali, sia nelle regioni del sud e dell’est e dell’India”.[↩]
- La Corona portoghese aveva autorizzato l’importazione di schiavi africani nel 1440. Il mandato esecutivo della bolla papale Sublimis Deus del 1537 – le pene ecclesiastiche (interdetto e scomunica) per ogni violazione dei termini del documento – che proibiva la riduzione in schiavitù dei non cristiani, venne però annullato dal papa dopo le proteste della monarchia spagnola. Papa Paolo III sanzionò pubblicamente la schiavitù a Roma nel 1545, la riduzione in schiavitù degli inglesi che sostenevano Enrico VIII dopo la sua scomunica, e l’acquisto di schiavi musulmani nel 1548. La dichiarazione del Vaticano sostiene che “nel corso della storia, i Papi hanno condannato atti di violenza, oppressione, ingiustizia sociale e schiavitù, compresi quelli commessi contro le popolazioni indigene. Numerosi sono stati anche gli esempi di Vescovi, sacerdoti, religiose e religiosi e fedeli laici che hanno dato la vita in difesa della dignità di quei popoli”. Ma, ammette che “allo stesso tempo, il rispetto per i fatti della storia esige un riconoscimento della debolezza umana e delle mancanze dei discepoli di Cristo in ogni generazione. Molti cristiani hanno commesso atti malvagi contro i popoli indigeni per i quali gli ultimi Papi hanno chiesto perdono in numerose occasioni”.[↩]
- Questa divisione del mondo ha fatto entrare la scoperta dell’America da parte di Cristoforo Colombo nel dominio dei re cattolici di Castiglia, ma il Brasile, scoperto da Pedro Alvares Cabral nel 1500, è finito al Portogallo.[↩]
- Il genocidio e l’espropriazione dei popoli indigeni proseguì nonostante che nella bolla Sublimis Deus del 1537, Papa Paolo III avesse scritto: “Noi definiamo e dichiariamo […] che [, ..] i detti indiani e tutte le altre persone che potrebbero essere successivamente scoperte dai cristiani, non sono affatto esseri privati della libertà o del possesso dei propri beni, anche se estranei alla fede cristiana; e che possano e debbano, liberamente e legittimamente, godere della loro libertà e del possesso dei loro beni; né dovrebbero essere in alcun modo ridotti in schiavitù; qualora avvenga il contrario, è nullo e privo di effetto”. Ancora nel 1550, re Carlo V di Spagna arrivò ad indire un dibattimento a Villadolid per deliberare se gli amerindi avessero un’anima o meno. Ma, i partecipanti, fra i quali de Las Casas, non riuscirono a prendere una decisione. Alla fine Carlo V decise di adottare i principi della bolla Sublimis Deus come base per le Nuove Leggi anche se tali leggi furono spesso ignorate dagli stessi coloni e conquistatori.[↩]
- La schiavitù degli africani venne apparentemente giustificata sulla base della Bibbia ed in particolare del passo della Genesi 9: 24-27, che sembrava suggerire che fosse tutto il risultato del «peccato». Nel brano della Genesi, si dice che gli africani sono i discendenti di Cam (o Canaan), figlio di Noè, che fu maledetto da suo padre dopo aver visto la sua forma nuda. «Quando Noè si fu risvegliato dall’ebbrezza, seppe quanto gli aveva fatto il figlio minore; allora disse: Sia maledetto Canaan! Schiavo degli schiavi sarà per i suoi fratelli! Disse poi: Benedetto il Signore, Dio di Sem, Canaan sia suo schiavo! Dio dilati Iafet e questi dimori nelle tende di Sem, Canaan sia suo schiavo!» Pio IX, ancora nel 1873, inviterà tutti i credenti a pregare affinché sia scongiurata la maledizione di Noè pendente sull’Africa. Inoltre, nella Genesi 10, la «Tabella delle Nazioni» descrive le origini delle diverse «razze» e rivela che uno dei discendenti di Cam è «Cush» – Cush e i «Cushiti» erano persone associate alla regione del Nilo del Nord Africa. Col tempo, il collegamento che gli europei hanno stabilito tra peccato, schiavitù, colore della pelle e credenze avrebbe condannato gli africani. Nella Bibbia, la schiavitù fisica o spirituale è spesso una conseguenza di azioni peccaminose, mentre l’oscurità è associata al male. La giustificazione veniva non solo dalla Bibbia ma anche da Aristotele, per il quale alcuni popoli erano semplicemente «schiavi per natura». Una visione poi ripresa da San Tommaso e dall’influente facoltà teologica di Salamanca nel XV e XVI secolo. Inoltre, gli africani furono considerati «pagani» privi del cristianesimo, anche se gli studiosi ora suggeriscono che il cristianesimo abbia raggiunto l’Africa già all’inizio del II secolo d.C. e che le comunità cristiane del Nord Africa siano state tra le prime al mondo. Tuttavia, gli europei hanno senza dubbio rifiutato di riconoscere l’importanza del cristianesimo africano in quanto sembrava inconciliabile con l’ambiente culturale del continente. Più in generale, in Europa è stata oscurata la precedente conoscenza del passato africano e anche del proprio: dall’influenza dell’antico Egitto nello sviluppo della civiltà greca, dell’Africa nella Roma imperiale e dell’Islam (arabo, persiano, turco e africano) nella storia economica, politica e intellettuale dell’Europa (Cfr. Schultz R., Avventurieri in terre lontane. I grandi viaggi esplorativi e la comprensione del mondo nell’antichità, Keller, Rovereto 2022). La negazione della storia ai popoli africani richiese tempo: diverse centinaia di anni, a cominciare dall’emergere degli europei occidentali dall’ombra della dominazione musulmana. In questo modo, come ha sostenuto Cedric Robinson, «è stato concepito il “Negro“» (Black marxism. The making of the black radical tradition, University of North Carolina Press, Chapel Hill 1983/2000, https://files.libcom.org/files/Black%20Marxism-Cedric%20J.%20Robinson.pdf, p. 4). Nonostante nel 1462 papa Pio II avesse dichiarato che la schiavitù fosse un «delitto enorme» (magnum scelus) e che gli africani battezzati non dovevano essere ridotti in schiavitù, l’emergere di colonie nelle Americhe e la necessità di trovare manodopera ha visto gli europei rivolgere la loro attenzione all’Africa, sostenendo che la tratta transatlantica degli schiavi avrebbe consentito agli africani, in particolare ai «maomettani», di entrare in contatto con il cristianesimo e la «civiltà» nelle Americhe, anche se come schiavi. È stato persino affermato che gli alisei favorevoli dall’Africa alle Americhe fossero la prova di questo progetto provvidenziale. A metà del XV secolo il papa portoghese Niccolò V concesse al suo paese di origine il diritto di evangelizzare, conquistare e deportare «in schiavitù perenne» gli africani, bollati come nemici della Cristianità insieme ai saraceni. I successori Callisto III, Sisto IV, Leone X e Alessandro VI non fecero altro che confermare e ampliare i diritti concessi al Portogallo. Solo nel 1839, con una bolla di Gregorio XVI, la Chiesa Cattolica ha riconosciuto gli africani come esseri umani al pari di tutti gli altri.[↩]
- Nel Nord America, le persone ridotte in schiavitù non potevano sposarsi legalmente. Fu loro impedito di imparare a leggere e di incontrarsi privatamente in gruppi. Non avevano alcun diritto sui propri figli, che potevano essere acquistati, venduti e scambiati nelle aste insieme a mobili e bestiame o in negozi che nelle vetrine pubblicizzavano «Negri in vendita». Gli schiavisti e i tribunali non onoravano i legami di parentela con madri, fratelli, cugini. Nella maggior parte dei tribunali, non avevano un valore legale. Le persone schiavizzate non potevano possedere, lasciare in eredità ed ereditare nulla. Gli schiavisti potevano violentare, torturare o uccidere le loro proprietà africane e afrodiscendenti senza conseguenze legali.[↩]
- Czerny ha enfatizzato il segno eminentemente politico delle antiche bolle papali, da contestualizzare nel periodo storico dei secoli XV e XVI: “dobbiamo pensare che una Bolla è una decisione o un decreto con un sigillo, ma non è magistero, non è dottrina, non è insegnamento. È un qualcosa di puntuale che un Papa fa come capo di Stato in rapporto con altri capi di Stato. Verso la fine del Quattrocento, il Papa ha voluto mettere ordine ed evitare la guerra tra la Corona spagnola e la Corona portoghese nel loro affanno di colonizzare il cosiddetto Nuovo Mondo. Non si trattava tanto di aprire una nuova strada, ma di controllare ciò che accadeva e ciò che era inevitabile. Il Papa ha utilizzato i suoi strumenti nello sforzo di mettere ordine. Nel farlo ha usato un linguaggio ed espressioni che per noi oggi sono totalmente inaccettabili, ma all’epoca era il modo in cui la gente parlava. Il Papa voleva mantenere la pace”.[↩]
- Il punto 6 della dichiarazione del Vaticano afferma: “La “dottrina della scoperta” non fa parte dell’insegnamento della Chiesa cattolica. La ricerca storica dimostra chiaramente che i documenti papali in questione, redatti in un determinato periodo storico e legati a questioni politiche, non sono mai stati considerati espressioni della fede cattolica. Allo stesso tempo, la Chiesa riconosce che queste bolle papali non riflettevano adeguatamente la pari dignità e diritti dei popoli indigeni. La Chiesa è anche consapevole che i contenuti di questi documenti sono stati manipolati a fini politici da potenze coloniali concorrenti per giustificare atti immorali contro le popolazioni indigene che sono stati compiuti, a volte, senza opposizione da parte delle autorità ecclesiastiche. È giusto riconoscere questi errori, prendere atto dei terribili effetti delle politiche di assimilazione e del dolore vissuto dalle popolazioni indigene, e chiedere perdono. Inoltre, Papa Francesco ha esortato: «Mai più la comunità cristiana può lasciarsi contagiare dall’idea che una cultura sia superiore alle altre, o che sia legittimo impiegare modi per costringere gli altri»”.[↩]
- Nel luglio 2022 Papa Francesco si è recato in Canada per un «pellegrinaggio di penitenza» per scusarsi per gli abusi subiti dai bambini dei popoli indigeni – Métis (meticci indigeni e non indigeni), Inuit e First Nations (in gran parte Cree, Iroquois e Maskwacis) – per mano delle scuole residenziali gestite da cattolici e da altre confessioni cristiane. Tra il 1881 e il 1996, a seguito dell’Indian Act del 1874 e di altre leggi successive, più di 150 mila bambini indigeni furono separati dalle loro famiglie, privati delle loro lingue e valori ancestrali e dati in adozione forzata o portati in scuole residenziali con l’obiettivo della distruzione culturale e dell’assimilazione forzata alla società maggioritaria bianca. Molti bambini sono morti di fame e sono stati picchiati e abusati sessualmente in un sistema definito «genocidio culturale» dalla Commissione canadese per la verità e la riconciliazione nel 2015. Mentre i leader canadesi erano a conoscenza dell’alto numero di bambini che morivano nelle scuole residenziali cattoliche dal 1907, la questione è stata portata in primo piano solo nel 2021 con la scoperta di oltre 200 tombe anonime in corrispondenza o vicino a ex-scuole residenziali nella British Columbia e altre 750 nel Saskatchewan. I leader delle Prime Nazioni canadesi hanno chiesto alla Chiesa Cattolica un risarcimento finanziario, la restituzione di manufatti indigeni, il rilascio dei registri scolastici, il sostegno all’estradizione di un accusato abusatore e l’annullamento della “dottrina della scoperta”. Il comitato per le relazioni esterne di Haudenosaunee aveva detto al papa che era necessaria un’azione di rottura con il passato chiara e netta da parte della Chiesa, in particolare con la revoca delle bolle papali. “Le scuse ai popoli indigeni senza azione sono solo parole vuote. Il Vaticano deve revocare queste bolle papali e difendere i diritti delle popolazioni indigene sulle loro terre nei tribunali, nelle legislature e in altre parti del mondo“, ha affermato il comitato in una dichiarazione del luglio 2022.[↩]
- Oggi, i Maskwacis, come molte altre Prime Nazioni, lottano con infrastrutture fatiscenti, povertà, dipendenze, suicidi e alti tassi di disoccupazione, mentre l’Alberta Transportation ha asfaltato diverse strade nella comunità di Ermineskin dei Maskwacis e ha migliorato le infrastrutture circostanti appositamente per la visita del Papa.[↩]