Andrea Graziosi, professore di Storia contemporanea nell’Università di Napoli Federico II e uno dei maggiori esperti di storia sovietica, ucraina e dell’Europa orientale, ha pubblicato il volume Occidenti e modernità. Vedere un mondo nuovo, Il Mulino, Bologna, 2023 (16 euro) che ora in queste pagine cerchiamo di recensire.
Il libro è stato finora salutato dai media mainstream come “straordinario” e “sapienziale” e Graziosi è stato omaggiato dalla sua casa editrice con la Lettura 2022 nell’aula magna di Santa Lucia nell’Università di Bologna (26 novembre 2022). Indubbiamente, il libro di Graziosi è da leggere perché affronta la questione cruciale della fine dell’epoca storica apertasi nel 1946 con la formazione dell’alleanza tra Stati Uniti (all’epoca considerati da Graziosi “ancora culturalmente ed etnicamente europei” (p. 15)), Europa Occidentale, Canada e le loro appendici asiatiche e oceaniche che aveva dato vita all’”Occidente” contemporaneo (quella di Occidente, secondo Graziosi, “è una categoria intellettuale, e quindi mobile, storicamente e geograficamente” (p. 12)1. Il libro di Graziosi è ricco di analisi, argomentazioni, spunti, suggestioni, provocazioni, ricostruzioni di dibattiti politico-intellettuali, indicazioni bibliografiche, utilizzando ampiamente i materiali e contributi della ricerca storica.
È un libro molto ambizioso che aspira di contribuire ad innovare le “categorie che costruiamo per leggere una realtà che, evolvendo, rende quelle stesse categorie sempre più sfocate” (p. 7). Secondo Graziosi, quelle “con cui siamo cresciuti e abbiamo interpretato il Novecento, e le nostre stesse vite, s[on]o ormai logore” (p. 9)2. L’obiettivo intellettuale dell’autore è quello di vedere e comprendere le cause e le conseguenze di questa crisi della civiltà Occidentale, e fare i conti col nuovo mondo cresciuto sia dentro i suoi confini che al di fuori. Il suo vuole essere un approccio “realista etico” che presuppone “la capacità di vedere la realtà per quella che è, con le sue tendenze oscure e gli elementi positivi che pure esistono” (p. 184). “Solo così è possibile capire cosa si possa fare per porre le basi di un futuro capace di garantire il massimo possibile di libertà e dignità umana, e quindi di un nuovo Occidente, che è cosa non facile né scontata” (p. 25).
In realtà, il punto di vista da cui lo stesso Graziosi sostiene di guardare l’Occidente e il mondo è quello della liberaldemocrazia (anche se poi non definisce mai cosa essa sia concretamente, al di là di indicare il connubio tra libertà e democrazia), con l’obiettivo di una sua rigenerazione e di individuarne un futuro possibile. L’ambizione dell’autore è di “arrivare a costruire un discorso razionale coerente e capace di contribuire a un futuro migliore, un discorso la cui mancanza è forse la maggiore debolezza del liberalismo odierno. Per fare ciò, le vecchie teorie su cosa costituisse un <mondo giusto> e su come fosse possibile realizzarlo devono essere abbandonate perché le realtà che le alimentavano e le rendevano credibili semplicemente non esistono più. Le buone idee e gli ideali devono invece essere conservati, ma dotati di nuova sostanza, e devono essere individuati nuovi obiettivi, derivati da un’analisi dei nostri tempi e non di quelli trascorsi. La sfida diventa quindi quella di identificare fattori e forze in grado di contrastare questa crisi nonché politiche che, facendo leva su di essi, possano aiutarci a arginarla e sperabilmente a invertirla. Gli strumenti principali in grado di aiutarci a farlo sono la ragione, che è anche la più alta espressione dell’unità del genere umano, e i principi morali che quella stessa ragione ci ha permesso di concepire, un realismo etico che ci aiuti capire come costruire il mondo più libero e giusto possibile per gli individui che lo abitano” (p. 184).
Queste le premesse e le ambizioni teorico-politiche, ora vediamo le categorie e l’approccio conoscitivo utilizzati. In chiusura proveremo a considerare i risultati in termini di politiche operative che lo sforzo analitico di Graziosi è in grado di produrre per stare al passo con l’obiettivo esplicitamente dichiarato (rigenerare la liberaldemocrazia) e l’ambizione di contrastare il declino dell’Occidente.
Occidenti e Modernità (plurali)
Graziosi rifiuta gli approcci teorico-analitici-conoscitivi della realtà socio-economica presente delle società occidentali che si rifanno al marxismo e non gradisce neanche l’utilizzo della categoria analitica del “capitalismo”3. Al posto del termine “capitalismo” (che nelle rare volte in cui viene usato da Graziosi, viene declinato unicamente nelle dimensioni di progresso scientifico-tecnologico e di crescita economica), Graziosi utilizza la categoria (ideologica) del “Moderno” definito come “il prodotto in continua evoluzione del veloce cambiamento avviatosi in Europa centroccidentale circa quattro secoli fa, un cambiamento strettamente legato allo sviluppo scientifico, tecnico ed economico. Pur tra tante contraddizioni, esso ha permesso la crescita di una libertà degli individui declinabile in modi molto diversi e si è identificato col <progresso>, antesignano del nostro miglioramento continuo” (p. 35)4).
Fatta questa scelta, Graziosi distingue la storia del “Moderno” (“capitalismo”) in tre fasi più una “minore” (il socialismo storico): 1. un “primo Moderno occidentale” che va grosso modo dal XVIII secolo alla prima metà del Novecento; 2. un “Moderno minore”, sorto con la vittoria dei bolscevichi nel 1917 ed esauritosi con il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991; 3. un “Moderno maggiore” avviatosi nel 1946 ed esauritosi nel 1975, con i “Trenta gloriosi”; e 4. un “Moderno maggiore maturo” che comprende la fase storica regolata dal paradigma neoliberista. Per ognuna di queste fasi, Graziosi identifica delle caratteristiche distintive, le elenca e le discute.
Crisi demografica e riproduzione sociale
La tesi centrale di Graziosi è che “il motore principale della crisi del Moderno maggiore [e soprattutto di quello maturo] è quello demografico, a sua volta il prodotto dei comportamenti e quindi delle preferenze dei suoi abitanti” (p. 45). Sono state queste preferenze (psicologiche e intellettuali) individuali in un contesto sociale di aumento di benessere, libertà individuale e istruzione che nel giro di pochi decenni hanno ribaltato l’andamento demografico delle società occidentali a grande prevalenza con popolazioni di pelle bianca5. Nel “Moderno maggiore maturo”, il cambiamento demografico è stato ed è caratterizzato da un rapidissimo calo della natalità (calo della fecondità sotto il livello di riproduzione di 2,2 figli per donna fertile), accompagnato da una riduzione della mortalità infantile, e un aumento della speranza di vita (grazie a vaccini, antibiotici, sulfamidici, ricerca scientifica, cure mediche e migliori condizioni di alimentazione e vita), passata dai circa 55 anni del 1945 a più di 80 anni in quattro decenni. Graziosi ci tiene a sottolineare che questo è un cambiamento che colpisce maggiormente l’Europa (e la componente bianca della popolazione degli Stati Uniti), ma investe quasi tutto il mondo (la crescita della popolazione mondiale ha cominciato a rallentare nel 1977, 1,8%, e oggi è di circa l’1%).
La riduzione della natalità sotto il livello di riproduzione (per i bianchi europei occidentali e statunitensi a partire dalla metà degli anni ’70 del secolo scorso), in associazione col brusco innalzamento della speranza di vita, “ha creato in breve tempo un nuovo tipo di società moderna essenzialmente diversa, anche perché più fragile, della precedente” (p. 53), la “società del Moderno maggiore maturo di cui si occupa il libro” (p. 19). Oggi, ad esempio, in Italia i minori di 18 anni sono il 17,8% della popolazione, mentre più del 23% ha più di 65 anni e quasi il 12% più di 75.
L’incapacità di “un modello economicamente vitale” (il “capitalismo regolato”) di riprodursi dal punto di vista demografico (denatalità) cominciò ad essere visibile negli anni ’70 (“Moderno maggiore”) ed è divenuta conclamata a partire dagli anni ’90 (“Moderno maggiore maturo”). Volendo dare una spiegazione del fenomeno con un punto di vista liberaldemocratico, Graziosi elenca una serie di possibili spiegazioni che fanno perno sulle scelte (psicologiche) individuali (“vivere come persone”)6 (pp. 61-66): “l’illusione di eternità generata dal crescere continuo della speranza di vita” che avrebbe prodotto sia “la convinzione di una quasi eterna giovinezza che faceva ritenere possibile rimandare <all’infinito> scelte come quelle legate alla procreazione” sia “un senso fortissimo di indipendenza del sé (legato anche allo sviluppo dei sistemi di protezione sociale e di quelli pensionistici), che rendeva a sua volta possibile mettere da parte la necessità della riproduzione”; “la crescita dell’autonomia e dell’indipendenza di donne che hanno gradualmente conquistato una libertà di scelta sempre maggiore” dal dominio maschile, “spesso associata alla disponibilità di metodi contraccettivi più semplici ed efficaci” (pillola e aborto), alle “battaglie per i diritti riproduttivi delle donne” e al lavoro (salariato) fuori della famiglia della donna “che ha aumentato il costo psicologico dei figli, diventati sinonimo di rinuncia, mentre l’aumento e il prolungamento della scolarità li trasformava nell’immediato in un peso economico e in un ostacolo a una vita più piacevole e confortevole”7.
La conclusione di Graziosi è che il desiderio di “vivere come persone” si è accompagnato alla “percezione che esso era ostacolato e non favorito dalla nascita di figli”. Una volta “raggiunti determinati livelli di benessere, l’essere umano non è un <animale sociale>, o meglio non lo è in una prospettiva di specie. I singoli individui continuano infatti a vivere socialmente, ma lo fanno preferendo sé stessi, come del resto è naturale, anche quando questa preferenza entra in contraddizione con la riproduzione sociale.” (p. 70).
Arrivato a questa conclusione Graziosi può solo fare un accorato appello supportato da una doppia minaccia (p. 70): “Perché le società liberaldemocratiche del Moderno maggiore maturo abbino un futuro, insomma, occorre che gli individui prendano coscienza di questa contraddizione e decidano di porvi rimedio, prima che questo rimedio:
- venga trovato da regimi politici autoritari che è già facile immaginare, coi loro appelli alla necessità della stabilità del sistema sociale, del disciplinamento della vita sessuale, della difesa delle tradizioni della famiglia, della nazione e della religione (sembra l’ideologia putiniana, sono parole di Corrado Gini di quasi un secolo fa);
- oppure venga imposto da una sperabilmente improbabile regressione della condizione umana, legata per esempio al riscaldamento globale”.
In realtà, prendendo per buono il ragionamento sviluppato da Graziosi, paradossalmente dovrebbe bastare far scendere i “determinati livelli di benessere” per far cambiare gli orientamenti psicologici degli individui e farli tornare a fare figli. Nel Moderno maggiore maturo, ossia nel capitalismo regolato dal neoliberismo, almeno nei paesi occidentali, soprattutto dopo la crisi del 2008 e poi con la pandemia CoVid-19 e la guerra Russia-Ucraina, i livelli di benessere degli individui (di lavoratori, famiglie e piccoli imprenditori) sono certamente diminuiti o rimasti stazionari (mentre sono aumentati quelli del 10% già ricco)8, ma come riconosce lo stesso Graziosi la crisi della denatalità si è aggravata ulteriormente9.
Appare dunque evidente che la spiegazione psicologica offerta da Graziosi non è soddisfacente. Occorre quindi provare a ragionare sul ruolo centrale che rivestono la riproduzione sociale e il “lavoro di cura”10 in società capitalistiche regolate dal neoliberismo, utilizzando altre categorie euristiche.
Nella fase storica del capitalismo regolato (1946-1975) in Europa, Stati Uniti e altre appendici dell’Occidente si è cercato di disinnescare la contraddizione tra produzione economica e riproduzione sociale (e quindi di invertire quella che Graziosi identifica come la latente crisi della denatalità delle società occidentali) schierando il potere statale dalla parte della riproduzione, creando il welfare state, lo stato sociale11. Gli Stati nazionali democratici si sono assunti il compito di contrastare gli effetti corrosivi dello sfruttamento e della disoccupazione di massa sulla riproduzione sociale (sacrificando però l’emancipazione delle donne). Attraverso la sottoscrizione di “compromessi socialdemocratici” (compromessi di classe) nel contesto geopolitico della Guerra Fredda, l’interesse a breve termine dei capitalisti a spremere il massimo profitto dal lavoro salariato è stato subordinato a delle politiche finalizzate a sostenere un’accumulazione di lungo termine (moderazione dell’aumento di produttività, redditività e salari per realizzare una crescita continua), salvando il capitalismo dalla sua stessa propensione ad auto-destabilizzarsi e dallo spettro della rivoluzione (socialista) in un’epoca di mobilitazione politica di massa. Gli Stati hanno cercato di stabilizzare la riproduzione sociale attraverso l’investimento di risorse pubbliche nel sistema sanitario, nell’istruzione, nell’assistenza all’infanzia e nelle pensioni di anzianità, alleggerendo le pressioni materiali sulla vita familiare e favorendo l’incorporazione politica12. Uno sforzo che è stato integrato dai servizi offerti dalle aziende (si pensi al welfare aziendale creato da una grande azienda come la FIAT che per i propri dipendenti e le loro famiglie prevedeva dopolavoro, “colonie” marine e montane e borse di studio per i figli, attività sportive e per il tempo libero, assistenza medica ecc.). Secondo la logica Fordista, i lavoratori e le loro famiglie sono stati anche trasformati in consumatori (da cui il “consumismo”). Grazie alla sindacalizzazione (che ha determinato salari più alti) e alla spesa del settore pubblico (che ha anche creato nuovi posti di lavoro per il ceto medio), i decisori politici hanno potuto reinventare la famiglia, trasformandola in uno spazio privato adatto al consumo domestico di oggetti di uso quotidiano prodotti in serie nelle catene di montaggio. Si è affermata così anche l’idea secondo cui la dignità della classe lavoratrice richiedesse “il salario familiare” che ha avuto anche l’effetto di rafforzare l’autorità maschile all’interno del gruppo domestico (secondo il modello del maschio capo famiglia che porta a casa il pane) e di riaffermare un forte senso della differenza di genere (con la donna relegata ad essere casalinga)13.
Il regime del capitalismo regolato dallo Stato si è dissolto nel corso di una crisi prolungata, iniziata negli anni ’60 e acuitasi nel decennio successivo14. Il nuovo regime neoliberista, dopo aver deindustrializzato i paesi dell’Occidente, ha dato vita nel giro di pochi anni al capitalismo finanziarizzato globale in cui ancora viviamo15. Questo stesso regime che ha tagliato gli investimenti nelle infrastrutture dell’assistenza sociale e sanitaria pubblica (mettendo in discussione l’esigibilità dei diritti sociali, quelli che Graziosi considera “diritti acquisiti”, ossia dei “privilegi”), ha anche fatto a pezzi i sindacati (un tempo la più salda base di appoggio della socialdemocrazia) e abbassato i salari (con la diffusione di lavoro precario e gig economy), abolendo il “salario familiare” (per cui i salari tendono a scendere al di sotto dei costi socialmente necessari della riproduzione sociale) e imponendo un aumento delle ore di lavoro retribuito per la famiglia (anche le donne sono state reclutate nella forza lavoro salariata), anche da parte di coloro che prestavano il lavoro primario di cura. Scaricando il lavoro di cura sulle famiglie e sulle comunità e sottraendo loro le energie necessarie per svolgerlo, la tendenza intrinseca del capitalismo a destabilizzare la riproduzione sociale l’ha trasformata in un’acuta crisi assistenziale e di riproduzione. Tra l’altro l’avvento del CoVid-19 ha intensificato questo aspetto della crisi, scaricando nuovi e importanti compiti di cura sulle famiglie e sulle comunità (cura e istruzione dei bambini in spazi domestici ristretti e non adatti a tali scopi), in particolare sulle donne, che continuano a svolgere la maggior parte del lavoro di cura non retribuito16.
Sarebbe il caso di prendere atto che sono state e sono le caratteristiche del capitalismo neoliberista (più che le psicologie delle persone) che hanno sottratto risorse emotive e materiali alle famiglie (trasferendole ai ricchi e alle grandi corporations), risorse che dovrebbero essere dedicate al lavoro di cura, a mettere al mondo e socializzare i giovani, prendersi cura degli anziani, mantenere gli aggregati domestici, costruire comunità, sostenere i significati condivisi, le disposizioni affettive e gli orizzonti valoriali alla base della cooperazione sociale, inasprendo una crisi di vasta portata, non solo della cura, ma della riproduzione sociale nella più ampia accezione del termine17.
A partire dalla fine degli anni ’70 governi conservatori e progressisti hanno proceduto ad effettuare sempre maggiori tagli pubblici e privati al welfare nello stesso periodo nel quale milioni di donne cercavano di entrare nel mercato del lavoro con l’obiettivo di emanciparsi (dall’autorità maschile), sostenere il reddito delle loro famiglie – il cosiddetto «doppio reddito familiare» – e acquisire o mantenere gli standard di vita della classe media18. E questo vale anche per il numero crescente di single mothers.
Negli Stati Uniti, dal 1960 al 2012, la percentuale di famiglie a doppio reddito con minori di 18 anni è passata dal 25% al 60%. Con il passaggio al paradigma di regolazione neoliberista, la progressiva precarizzazione del lavoro, l’erosione dei diritti sociali (i diritti “più costosi” rispetto a quelli politici e civili, perché spesso diritti positivi a prestazione) e dei salari reali dei lavoratori, la necessità di dover svolgere più lavori contemporaneamente per cercare di sfuggire alla condizione infernale di working-poor, sono fattori che hanno ridotto il tempo che le donne sono in grado di dedicare al lavoro di cura e alla famiglia, mentre sappiamo che il lavoro domestico, compresa l’assistenza all’infanzia, rappresenta un’enorme quantità di produzione socialmente necessaria. Ma questo, in una società basata sulla produzione di merci e sulla mercificazione dei servizi (molti dei quali a bassa qualificazione e molto frammentati), di solito non è considerato «vero lavoro», ma attività “improduttive” perché ad esse non viene attribuito alcun valore monetario (non vengono retribuite o sono sottopagate) in quanto avvengono al di fuori del circuito commerciale, del mercato e del lavoro salariato, dell’accumulazione del valore dell’economia ufficiale, in case, quartieri ed organizzazioni della società civile ed enti pubblici.
L’effetto dei tagli alle spese e ai servizi sociali da parte dei governi, dunque, è stato di fatto uno scaricamento del peso del lavoro di cura su donne, famiglie, comunità e municipalità locali, allorquando è progressivamente diminuita la loro capacità di svolgerlo in modo adeguato, per mancanza di tempo e/o risorse umane e finanziarie. Questo ha portato ad una generalizzata crisi della riproduzione sociale, testimoniata dal crollo degli indici di natalità in tutti i paesi ricchi, e ad una nuova organizzazione dualistica della stessa riproduzione sociale, mercificata per coloro che possono permetterselo e privatizzata per quanti non possono farlo. Alcune componenti femminili della seconda categoria (insieme a donne immigrate venute dai paesi poveri del Sud globale o della periferia europea, spesso razzializzate, che mandano rimesse alle loro famiglie in patria) forniscono lavoro riproduttivo e di cura per coloro che appartengono alla prima in cambio di bassi salari, molto spesso senza benefits, ferie pagate o congedi per malattia e senza il sostegno di un sindacato, o sono impiegate nell’assistenza sanitaria, il settore del lavoro in più rapida crescita in un paese come gli Stati Uniti19.
Con il regime neoliberista il capitalismo (il processo di accumulazione) si è svincolato dalle sue basi sociali e si è rivoltato contro di esse. La logica della produzione economica ha prevalso su quella della riproduzione sociale, destabilizzando i processi stessi da cui dipende e compromettendo le capacità sociali e demografiche, sia domestiche sia pubbliche, necessarie a sostenere il processo di accumulazione nel lungo periodo. Con il prevalere del capitalismo neoliberista si è diffusa anche una ideologia liberal-individualista favorevole alla parità di genere che suppone che le donne siano uguali agli uomini in ogni ambito e meritevoli di pari opportunità (anche attraverso lo strumento dell’affirmative action, criticato duramente da Graziosi, p. 163-168) nella realizzazione dei propri talenti, anche e soprattutto nella sfera della produzione economica (proclamando l’ideale della famiglia a doppio reddito). La riproduzione, al contrario, viene inquadrata come un residuo arretrato, un ostacolo al progresso da rimuovere (o da rinviare sine die, anche attraverso la procedura del congelamento degli ovuli), in un modo o nell’altro, sulla via della liberazione.
Conseguenze della crisi del Moderno maggiore maturo
Le conseguenze identificate da Graziosi della crisi del Moderno maggiore maturo (capitalismo regolato dal neoliberismo) sono tante e comprendono tra le altre:
- il riemergere di un mondo multipolare (come prova del declino della supremazia euro-americana bianca) contrassegnato “da sgradevoli reazioni di rivincita e rivalsa” (la Russia di Putin, l’America di Trump e del Make America Great Again, la “Global Britain” della Brexit, la teoria dello “scontro delle civiltà” e i nazionalismi razzisti, xenofobi e autoritari/illiberali, con “leader che promett[o]no di rovesciare le sgradevoli tendenze in atto, seguite da sempre più rapide disillusioni”);
- l’esplosione del debito pubblico e privato;
- il logoramento del “nesso che un tempo legava riformismo e razionalità” (p. 85) e il cambiamento di senso delle stesse riforme: “Le classi dirigenti hanno goduto di un lungo periodo in cui riformare voleva dire dare di più…” (p. 122), mentre ora “sono chiamati a fare scelte (riforme) che pesano sui rappresentati che si sentono ingannati e traditi. Questi ultimi sono quindi attratti da chi predica soluzioni semplici e in linea con quelle del passato, senza vedere i costi altissimi che esse avrebbero per il loro stesso benessere futuro” (p. 123);
- la diffusione di una “angoscia generata dalle aspettative decrescenti” che viene “rafforzata anche dalla crescita del timore e dell’ansia per la mobilità sociale verso il basso” (p. 85) legata anche dal “passaggio dalla proprietà al reddito”, almeno per i ceti medi (p. 86);
- la diffusione di una nuova paura della morte tra una popolazione sempre più anziana che guarda “al passato invece che al futuro” (i Trenta Gloriosi), sempre più chiusa e lamentosa rispetto al nuovo;
- la perdita di centralità politica e la progressiva marginalizzazione dei giovani20;
- un profondo cambiamento della stratificazione sociale, con anche la nascita e diffusione di nuove “società plurali” in Europa che devono confrontarsi con il problema della “linea del colore” evidenziata da WEB Du Bois nel 190321, “l’approfondimento della faglia che divide cittadini [i “cittadini nativi”] ed esseri umani [gli immigrati] in base ai loro diritti” (p. 94) e la glorificazione identitaria del concetto di “popolo” (in senso herderiano).
Crisi della politica: critica del progressismo e dei conservatori/reazionari
Secondo Graziosi nell’odierna società moderna sono entrati in crisi i principali modelli politici: quello fondato su “avanguardie” (il partito di massa che opera come intellettuale collettivo) e la liberaldemocrazia (Graziosi si domanda se la liberaldemocrazia “come noi la conosciamo sia nata con la (se non dalla) crescita economica, e si sia affermata prima e sviluppata poi grazie ad essa…”; p. 127).
Graziosi scrive pagine in larga parte condivisibili per criticare le forze politiche e i movimenti sociali progressisti22, contrari alle gerarchie di genere, sesso, “razza”, etnia e religione, nonché le forze politiche e i movimenti sociali del populismo conservatore e reazionario che si dichiarano paladini della protezione (e riproduzione) sociale, detestano le classi dirigenti (definite élite o establishment) considerate lontane dal “popolo”23 e formano “un nuovo bacino reazionario strutturale”24.
In particolare, la critica sistematica di Graziosi è indirizzata contro il “neoliberismo progressista” che celebra la “diversità”, la meritocrazia25 e l’”emancipazione”, mentre ha smantellato le protezioni sociali e ha esternalizzato la riproduzione sociale, abbandonando la popolazione alle predazioni del capitale e ridefinendo l’emancipazione stessa in termini di mercato. Graziosi sostiene che le forze politiche progressiste veicolano “precetti morali” (anzi, “moralistici”) che formano “un insieme di <pulsioni benevolenti>”, un “buonismo” delle intenzioni e dei sentimenti che guarda ai popoli e non alle classi, all’individuo e non al collettivo, ai diritti collettivi di gruppi specifici e non all’uguaglianza di fronte alla legge, al merito, ancorché accompagnato dalle pari opportunità, al posto dell’uguaglianza, ai limiti allo sviluppo e non allo sviluppo, all’ecologia e non alla conquista della natura, al piccolo è bello e non ai grandi progetti (p. 135). Secondo Graziosi, il progressismo ha costruito un “bellissimo mondo virtuale dei diritti” che ora si spezza, “provocando frustrazione e senso di impotenza” (p. 151).
Esortazioni sulle cose da fare: la montagna liberaldemocratica partorisce il topolino
Graziosi ritiene che per rigenerarsi la liberaldemocrazia deve saper “affrontare la crisi demografica, i problemi del ‘multiculturalismo’, i limiti del progressismo odierno ecc.”. Più in generale, secondo Graziosi, “dobbiamo abbandonare la bella illusione – che è stata temporaneamente e per ragioni molto particolari <vera> per qualche decennio [i Trenta gloriosi] – che la storia collettiva così come la vita individuale possano essere regolate dal principio del <miglioramento continuo> e dell’ampliamento continuo dei diritti”(pp. 9-10)26. Come deve essere abbandonato il “buonismo ingenuo” coltivato dalle forze politiche progressiste, caratterizzato da “l’illusione del miglioramento continuo e lo scambio persistente dei propri desideri, spesso riletti come diritti, con la realtà” (p. 11). Questo, secondo Graziosi, anche perché la realtà sarebbe caratterizzata da un elemento costitutivo imprescindibile, “il Male”: la “passione per la sopraffazione, [i]l desiderio di chiusura e di controllo, [i]l continuo riprodursi dell’ingiustizia e [l]’inevitabilità della sofferenza e della morte”(p. 11).
Dopo le tante pagine dedicate ad analisi e diagnosi, Graziosi redige una sua lista di esortazioni sulle cose da fare per uscire dall’impasse in cui si trova impantanato l’Occidente. Ritiene che sarebbe opportuno (p. 173):
- “abbandonare un moralismo” che “può apparire elitario, paternalistico e anche sprezzante specie a chi si sente oggi ferito dai veloci cambiamenti del mondo moderno”, “senza sacrificare i principi morali, ma trattandoli per quello che sono”;
- “rinunciare ad una parareligione di diritti collocati al di fuori della storia, attrezzandosi a difendere quelli che si possono difendere e riconoscendone di nuovi, se ne venissero rivendicati di sostenibili e moralmente condivisibili”;
- “abbandonare l’ideologia del <merito> e sostituirla con quella dei talenti”;
- “mettere da parte … un discorso delle pari opportunità basato sui diritti collettivi di questa o quella minoranza definita da questo o quello status e discretamente positiva”;
- “riconoscere la preminenza di un discorso repubblicano” (sull’uguaglianza e la diversità);
- “rinunciare a piani vincolanti a favore di ragionamenti aperti sul futuro” (la critica fa riferimento al PNRR);
- “abbandonare ogni apocalitticismo e antiscientismo perché solo la conoscenza, il progresso tecnico e un saggio uso di prezzi e incentivi ci possono aiutare a far fronte ai problemi creati dallo sviluppo” (qui i riferimenti sono alla questione del riscaldamento globale, alle teorie della decrescita, al nucleare, che Graziosi considera “l’unica grande fonte di energia possibile a relativo basso costo che non aggrava il riscaldamento globale”, p. 172,).
Inoltre, Graziosi è favorevole ad una politica a favore dell’immigrazione “più attiva e razionale possibile, anche attraverso la creazione di un’Agenzia nazionale di alto livello, coordinata con un simile organismo europeo, che sappia mettere a frutto le migliori esperienze e gestisca quantità e composizione dell’immigrazione (in base a criteri come necessità, competenze, più o meno elevato grado di <distanza> culturale e individuale rispetto alla popolazione residente ecc.) e condizioni, diritti, e integrazione degli immigrati fino all’accesso alla cittadinanza” (p. 189). Secondo Graziosi, l’immigrazione è “un’opportunità straordinaria e un rimedio che non sarà sempre a nostra disposizione” perché “il serbatoio dei paesi di emigrazione è infatti destinato a esaurirsi”.
Infine, riferendosi agli effetti negativi delle attuali dinamiche demografiche sullo sviluppo economico, oltre alle misure al punto precedente relativo all’immigrazione, secondo Graziosi, questi possono essere attenuati:
- “seguendo esempi virtuosi di intervento statale tipo quello francese, vale a dire varando politiche amichevoli verso le famiglie con figli per permettere alla fecondità effettiva di avvicinare quella desiderata” (2-3 figli per donna);
- “stimolando l’accelerazione dell’ingresso dei giovani nell’età adulta e fluidificando il mercato del lavoro” (qui Graziosi non specifica il significato di “fluidificando” che potrebbe essere interpretato come una ulteriore deregolamentazione);
- “cercando per quanto possibile di ridurre il peso dell’allungamento della speranza di vita sulle giovani generazioni, affrontando razionalmente i problemi che esso pone e operando per sfruttare le risorse che potrebbe creare” (qui il riferimento è al peso considerato eccessivo delle pensioni).
Per concludere, dobbiamo ringraziare Graziosi per averci portato a riflettere e ragionare sui fondamenti strutturali e storici della crisi attuale che ha al suo centro la questione della crisi profonda della cura e delle riproduzione sociale che si manifesta con chiara evidenza nel catastrofico andamento demografico (denatalità e invecchiamento della popolazione), almeno in Occidente. Dal nostro punto di vista, è evidente che questa crisi non si risolverà “mettendo un pezza” alle politiche sociali, ma occorre una radicale riorganizzazione del rapporto tra produzione e riproduzione sociale (superando la rapace sottomissione della seconda alla prima), volta a delineare un orientamento sociale che non sacrifichi né l’emancipazione né la protezione sociale, e che quindi permetta a persone di ogni classe, genere, sesso e colore della pelle di coniugare le attività socio-riproduttive con un lavoro sicuro, interessante e ben remunerato.
Alessandro Scassellati
- Per Graziosi questa categoria ha avuto diverse incarnazioni nel corso della storia, a partire da quella ateniese fino a quella odierna, ma è collegata “al valore di una libertà e dignità individuali declinabili in modi diversi sempre cresciute accanto e insieme a oppressione e ingiustizia. Ogni Occidente può quindi e fondatamente essere giudicato colpevole di ipocrisia, l’ipocrisia tra occidenti e libertà è anche un inganno, e alcuni di questi Occidenti hanno corso il rischio di degenerare, o sono degenerati, in sistemi imperiali brutali, associati a ideologie ripugnanti, come è successo alla versione europeo-continentale dopo che la prima guerra mondiale ne determinò il <tramonto>. La conquista del mondo da parte del primo occidente europeo può essere anche raccontata sottolineando il ruolo della rivoluzione tecnico-scientifica e industriale, con le sue ricadute in termini di potenza militare, come hanno fatto e fanno i regimi repressivi sia in Europa che fuori di essa. Resta tuttavia il dato, incontestabile, che in ciascuno degli Occidenti che si sono succeduti nel tempo, la libertà e la dignità delle persone sono comunque sopravvissute e cresciute incomparabilmente più che altrove, ed è per questo che ci sono cari” (p. 12).[↩]
- Secondo Graziosi, “non solo perché esse erano <false> anche quando erano piene di vita e di forza, ma perché anche le categorie e le interpretazioni, come tutti gli oggetti storici, deperiscono e alla fine si inabissano, o cambiano talmente di significato da diventare creature nuove, malgrado portino il vecchio nome” (p. 9).[↩]
- Ovviamente, la categoria analitica del capitalismo può essere articolata in relazione al processo storico, dal capitalismo mercantile dei secoli XVI-XVIII, a quello liberal-industriale-coloniale del XIX e prima metà del XX, a quello regolato dallo Stato del Fordismo-Keynesismo dal 1946 al 1975, fino al capitalismo finanziarizzato regolato dal neoliberismo dell’epoca attuale. Comunque, è interessante l’osservazione di Graziosi su Maynard Keynes (che fu presidente della Malthusian League) che “fondava la necessità di usare le leve della politica economica e monetaria scoperte grazie alla prima guerra mondiale” (pp. 36-37) per tenere in vita “società moderne condannate dalla demografia alla stagnazione e quindi bisognose di stimoli continui” (p. 56), rendendo inevitabile l’aumento del peso e del ruolo economico dello Stato per sostenere la domanda aggregata e quindi il processo di accumulazione.[↩]
- Graziosi sostiene di voler “ragionare sui sistemi che questo progresso hanno espresso, e ai fini di questa analisi Capitalismo e Socialismo sono cattive categorie. A causa del loro carattere binario e oppositivo esse impediscono infatti di vedere la varietà del reale, che comprende innumerevoli tipi di società, composte da parti rette da logiche diverse, che convivono in maniera più o meno conflittuale. Soprattutto, entrambe le categorie, e in specie la prima, si prestano a essere trasformate in soggetti autonomi ai quali diventa possibile, ma resta sbagliato, imputare il farsi della storia. Esse nutrono cioè <teorie del complotto> (le cose succedono perché così vuole il <capitalismo>, o la cospirazione comunista) e distolgono l’attenzione dall’attività e dalle scelte degli esseri umani. La storia è invece il prodotto di queste ultime in condizioni date ma modificabili” (p. 37). A questo proposito è bene ricordare come la pensasse Marx: “Gli uomini fanno la propria storia, ma non la fanno in modo arbitrario, in circostanze scelte da loro stessi, bensì nelle circostanze che trovano immediatamente davanti a sé, determinate dai fatti e dalle tradizioni” (Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte, 1852.[↩]
- Dopo il 1945 avevano potuto contare per un paio di decenni sul drenaggio e lo svuotamento del serbatoio contadino interno ancora esistente (migrazione giovane dalle aree rurali a quelle urbano-industriali) e sul momentaneo baby boom post seconda guerra mondiale. Almeno fino agli anni ’40 il mondo contadino aveva mantenuto il controllo dell’attività di creazione e mantenimento dei legami sociali nelle famiglie, nei villaggi e nelle reti di parentela allargate, regolata localmente dalle consuetudini e dalla chiesa, lontana dall’azione dello Stato e relativamente al riparo dal processo di accumulazione.[↩]
- Poi, Graziosi passa in rassegna anche altre spiegazioni come la crisi della famiglia nucleare “tradizionale” (marito, moglie e due-tre figli) con il crollo dei matrimoni, l’aumento delle famiglie unipersonali e dei figli nati fuori del matrimonio, svuotata delle sue funzioni (assunte dalla scuola, altre agenzie istituzionali ed esperti di vario tipo), aprendo la strada ad un crollo dell’autorità paterna, al “permissivismo” e alla perdita di un ruolo economico-imprenditoriale (azienda contadina). È bene ricordare che la famiglia nucleare “tradizionale” è stata un’invenzione della prima fase dell’industrializzazione, quando gli industriali reclutavano donne e bambini per il lavoro nelle fabbriche e nelle miniere, pagandoli una miseria e costringendoli a lavorare a lungo in condizioni pericolose e nocive per la salute. Un fenomeno che ha innescato una crisi della riproduzione sociale tra le classi povere e lavoratrici, ma anche un panico morale tra le classi medie, scandalizzate da ciò che interpretavano come la distruzione della famiglia e la desessualizzazione delle donne proletarie. Pertanto, la famiglia nucleare “tradizionale” è nata, almeno in Europa, con la legislazione protettiva che ha cercato di stabilizzare la riproduzione sociale limitando lo sfruttamento delle donne e dei bambini nel lavoro di fabbrica. Una misura che è stato anche un tentativo di consolidare l’autorità maschile su donne e bambini (potestà maritale e genitoriale), soprattutto all’interno della famiglia (anche se i salari sono rimasti al di sotto del livello necessario per mantenere una famiglia e le condizioni sanitarie, igieniche e abitative del tutto inadeguate). Le donne sono state così condannate alla “casalinghizzazione” e ad essere gli “angeli del focolare”.[↩]
- Secondo Graziosi, bisogna tener conto anche delle spiegazioni che fanno leva su “un individualismo fondato sulla ricerca del piacere personale” (che l’autore considera una “manifestazione di un comportamento umano normale”), con il manifestarsi della “rivoluzione sessuale” concentrata “sull’esperienza personale immediata” (p. 67). “Questo perché, raggiunto un certo livello di benessere e di presa di coscienza individuale, finché è loro possibile gli esseri umani preferiscono in maggioranza massimizzare il loro benessere in quanto singoli” (p. 69).[↩]
- Lo stesso Graziosi ammette che in pochi anni, a partire dall’ultimo decennio del Novecento, c’è stata una rapida sostituzione delle aspettative crescenti – che Graziosi definisce come “miglioramento continuo” – con quelle decrescenti (in linea con l’analisi suggerita dal conservatore Cristopher Lasch), accompagnata da “fondamentali cambiamenti psicologici nonché di modi e stili di vita” (p. 21), “un generale senso di perdita di status e di angoscia per il venire meno del <futuro>, sensazioni che dopo il 2008 si sono trasformate in impoverimento reale in alcuni paesi, tra cui il nostro” (p. 43). Con la progressiva perdita dei “diritti acquisiti” (in realtà diritti sociali) e questi cambiamenti non è aumentata la natalità, ma la percezione della disuguaglianza e la sensazione di avere meno opportunità di quante ve ne fossero in passato (suffragata da pensioni meno generose, lavoro precario, salari/stipendi più bassi in termini reali, perdita della sicura preminenza rispetto alle forze di lavoro di continenti e popolazioni prima emarginate, colonizzate ed espropriate ecc.).[↩]
- Se prendiamo l’Italia, ad esempio, i dati demografici mostrano che è il paese più vecchio d’Europa e la natalità segna il passo: 464 mila nati nel 2017, 439.747 nel 2018, 400.249 nel 2021, e le stime dicono che nel 2022 per la prima volta dal 1861 saranno nati in Italia meno di 400 mila bambini. Il paese ha continuato a crescere grazie all’apporto degli immigrati stranieri (nel 2022 5 milioni 30.716, ma anch’essi ora in diminuzione) fino al 2014, quando i residenti avrebbero raggiunto il numero di 60 milioni 795.612. Da allora la discesa è stata a precipizio. All’inizio del 2022 eravamo 58 milioni 983 mila, ossia 253 mila in meno rispetto all’inizio 2021.[↩]
- La riproduzione sociale comprende una serie di attività necessarie per prendersi “cura” delle famiglie, per mantenere gli aggregati domestici, per sostenere le comunità, per nutrire le amicizie, per costruire reti politiche e per forgiare solidarietà. Spesso definite come lavoro di cura, queste attività sono indispensabili per il funzionamento della società, alimentano gli esseri umani, sia nel quotidiano sia sul piano generazionale, e tengono in vita i legami sociali. Nelle società capitaliste, inoltre, assicurano la fornitura di forza lavoro salariata da cui il capitale ricava il plusvalore.[↩]
- Non a caso, parlando dei “grandi sistemi di welfare”, Graziosi nota che noi “siamo stati abituati a ritenere conquiste di battaglie civili rese possibili dallo sviluppo e al tempo stesso strumenti della gestione di quest’ultimo. Essi sono stati concepiti anche come strumenti per fronteggiare i problemi di società di cui si temeva la stagnazione demografica” (p. 81). A questo proposito, Graziosi cita il Beveridge Report del 1942 e il lavoro di Alva Myrdal, la teorica del welfare svedese, entrambi frutto della preoccupazione di garantire la riproduzione sociale della popolazione nella relazione con la produzione.[↩]
- In ogni caso, sono stati soprattutto gli uomini e le donne delle classi lavoratrici a guidare la lotta per i servizi pubblici e per estenderne l’accesso in modo universalistico (a tutta la popolazione, anche se alcuni segmenti sono comunque rimasti esclusi). Per loro, in gioco c’era la piena appartenenza alla società come cittadini democratici, e quindi dignità, diritti e rispettabilità, nonché sicurezza e benessere, tutti elementi che si riteneva richiedessero una vita familiare stabile.[↩]
- Non a caso i sistemi di welfare hanno assunto una forma duale: un’assistenza stigmatizzata alle donne (definite da Reagan “regine del welfare”) in quanto madri e ai bambini poveri che non avevano accesso al salario maschile, e una previdenza sociale rispettabile per coloro che erano considerati (almeno potenzialmente) lavoratori.[↩]
- Negli anni ’60 c’è stata la critica politica della nuova sinistra che ha messo in discussione in modo radicale le esclusioni imperialiste, di genere e razziali, nonché il paternalismo burocratico, in nome dell’emancipazione (femminismo e antirazzismo). Poi, negli anni ’70 il sistema è entrato in crisi sul piano economico, con la stagflazione, la crisi della produttività e il calo del tasso di profitto nei settori industriali che hanno determinato la fine del Fordismo/Keynesismo, dando via libera ai neoliberisti interessati a togliere le catene della regolazione ai mercati e i vincoli della protezione sociale. Da notare che Graziosi, ex militante della nuova sinistra, oggi considera “l’imputazione del razzismo al <capitalismo>” come fasulla: “Il <razzismo> (considerare cioè alcune popolazioni come intrinsecamente inferiori alla propria e quindi ad esse asservibili) è il prodotto normale delle espansioni conquistatrici e della vertigine da successo che è loro associata” (p. 113). Per un punto di vista diverso, si veda il mio libro: Suprematismo bianco. Alle radici di economia, cultura e ideologia della società occidentale, DeriveApprodi, Roma, 2023).[↩]
- La nuova centralità nel processo di accumulazione è stata assunta dal debito, lo strumento con cui istituzioni finanziarie globali fanno pressione sugli Stati affinché taglino la spesa sociale, impongano politiche di austerità (“aggiustamenti strutturali”) e diano il via libera a processi di sfruttamento ed espropriazione delle popolazioni locali (terre, risorse minerarie, energia, acqua ecc.). Allo stesso tempo, la spesa continuativa dei consumatori richiede l’espansione del credito al consumo, che cresce in modo esponenziale. A partire dalla fine degli anni ’70, la finanziarizzazione della vita quotidiana è diventata il principale driver della crescita del PIL degli USA e di molti paesi europei, creando le condizioni per l’esplosione di enormi bolle speculative e crisi finanziarie nei decenni successivi. Inoltre, prestiti personali, mutui ipotecari, polizze assicurative e credito al consumo, ossia le diverse forme di indebitamento delle persone, sono divenuti un modo estremamente efficace per esercitare il controllo sociale: più le persone sono indebitate e meno sono in grado di poter immaginare in futuro nient’altro che non sia semplicemente vivere e lavorare in modo tale da poter ripagare il loro debito, a cominciare da quello, spesso enorme, accumulato per poter studiare e ricevere una laurea universitaria.[↩]
- Molte donne hanno scelto di lasciare il proprio impiego per occuparsi dei figli e di altri familiari, come i genitori anziani. Tante altre sono state licenziate dai datori di lavoro. Quelle che hanno avuto il privilegio di non perdere il posto e di lavorare da remoto, hanno dovuto svolgere al contempo compiti di cura (accudire i bambini costretti a stare a casa). Infine, ci sono state quelle che rientravano nella categoria dei “lavoratori essenziali”, pagati una miseria e trattati come risorse umane sacrificabili, che ogni giorno hanno dovuto fronteggiare la minaccia dell’infezione, con la paura di portarsela a casa.[↩]
- Processi analoghi di sottrazione hanno investito anche la natura, le popolazioni razzializzate e i poteri pubblici e le capacità politiche. Si veda Fraser N., Capitalismo cannibale. Come il sistema sta divorando la democrazia, il nostro senso di comunità e il pianeta, Editori Laterza, Roma-Bari, 2023.[↩]
- A questo proposito, Graziosi sottolinea le “reazioni preoccupate e negative” dei “maschi anziani (ma anche parte di quelli giovani) … [che ] sono stati particolarmente colpiti dalla rapida evoluzione dei ruoli di genere, che sembra sconfessare la loro vita” (p. 89). La “rivoluzione di genere” è “diventata uno dei principali fattori trasversali delle tendenze illiberali presenti in tipi di società e paesi molto diversi, perché ha innescato la reazione e il risentimento di parte degli uomini alla loro perdita di potere, prestigio e autorità nelle società contemporanee” (p. 93).[↩]
- Le femministe occidentali spesso indicano come loro obiettivo il raggiungimento di un “equilibrio tra famiglia e lavoro”. Ma ormai le lotte attorno alla riproduzione sociale includono anche movimenti comunitari per il diritto alla casa, l’assistenza sanitaria, la sicurezza alimentare, un reddito di base incondizionato e un salario di sussistenza. Poi, ci sono le lotte per i diritti dei migranti, dei lavoratori domestici e dei dipendenti dei servizi pubblici, per la sindacalizzazione dei lavoratori che operano nelle case di riposo, ospedali, centri privati per l’assistenza all’infanzia, per la difesa dei servizi pubblici come l’assistenza diurna a disabili e anziani, per una settimana lavorativa più breve e per il congedo di maternità e parentale ben retribuito.[↩]
- Un fenomeno questo che Graziosi fa dipendere dalla “distribuzione della ricchezza, dal tipo di ricorso al debito, dalla struttura della spesa pubblica o dalle politiche in materia di pensioni e garanzie sul lavoro” (p. 86).[↩]
- Graziosi nota che queste “società plurali” sono nate “di fronte alla necessità di assicurarsi nuove fonti di energia umana in aree geografiche sempre più distanti, anche dal punto di vista culturale, linguistico e del colore, complicando, invece di facilitare l’integrazione e l’omogeneizzazione sociale a qualunque livello, nazionale come europeo” (p. 55).[↩]
- Parliamo dei movimenti che si battono contro il razzismo, per il multiculturalismo, per le donne (femminismo), per la liberazione Lgbtq+, per l’ambiente. Una parte rilevante di questi movimenti si sono orientati verso il neoliberismo favorevole al mercato. Graziosi critica il multiculturalismo e si dichiara favorevole all’approccio (assimilazionista laico) francese (pp. 107 e 168).[↩]
- Graziosi riconosce che c’è “un risentimento profondo” e che “a nutrirlo sembra essere l’insoddisfazione verso l’evoluzione delle società occidentali e l’incapacità delle loro élite tradizionali di continuare a garantire – anche solo a livello di promesse e aspettative – quello che era diventato parte integrante del patto sociale che quelle società legittimava, vale a dire una crescita del tenore di vita e un allargamento di diritti sostanziali che erano in realtà privilegi consentiti da condizioni straordinarie. Le élite vengono così accusate di tradimento, un tradimento consumato appoggiando innovazione e globalizzazione, di cui non si percepisce il ruolo di grande alleviatrice da processi negativi in corso. Innovazione e globalizzazione vengono piuttosto identificate con la rottura del patto sociale stretto nei decenni precedenti, con la perdita della posizione dell’Occidente e con quella della conquistata omogeneità, causata dall’arrivo degli immigrati” (pp. 123-124).[↩]
- Secondo Graziosi, la formazione di questo bacino reazionario strutturale è legata “all’invecchiamento; ai nuovi rapporti di genere e al sentimento di svalutazione dei maschi; all’immigrazione e alla comparsa del diverso in condizioni di aspettative decrescenti; alle nuove forme di emarginazione tipiche della <società della conoscenza>; e all’avversione a un cambiamento identificato col peggioramento che spesso trova erroneamente il suo simbolo nella globalizzazione” (p. 124).[↩]
- Graziosi sottopone il concetto del “merito” ad una interessante ed efficace critica. Si vedano le pagine 90-91 e 152-156.[↩]
- Graziosi non ragiona sul fatto che il “miglioramento continuo” e l’”ampliamento continuo dei diritti” non si è applicato, se non in misura minima, alle popolazioni non occidentali. Sono rimasti prerogative pressoché esclusive del <mondo bianco di ceppo europeo>, una minoranza della specie umana (p. 17-18).[↩]