articoli

Il termometro della Meloni

di Giuseppe
Aragno

Non illudiamoci. Le manganellate assestate con furia cieca e impunita a chi protestava per l’orribile strage dell’esercito israeliano non vivono di vita propria rispetto al Governo, deciso a far passare una riforma costituzionale che promette esiti devastanti. In discussione sono, infatti, non solo la marginalizzazione delle funzioni del Presidente della Repubblica, ma il ridimensionamento di un Parlamento umiliato dal ruolo totalmente centrale di un Presidente del Consiglio che avrà sostanzialmente, se non formalmente, facoltà di sciogliere le Camere che gli votano contro e gli negano la fiducia.

Le manganellate anticipano quanto hanno in mente Meloni e la banda di inquietanti figuri che forma l’Esecutivo. I silenzi della Presidente del Consiglio non sono segni di imbarazzo e non servono a prender tempo. Per la Meloni sono un termometro: colpisce e misura il calore della risposta. Se la temperatura è alta, fa un passo indietro, se non è alta, si prepara a colpire di nuovo. Rassicurata dalla risposta debole della popolazione e passata la riforma, ci metterà di  fronte al fatto compiuto. Siamo vicini all’esito naturale, quasi fatale di un dato patologico che non si è combattuto: il prepotere dell’Esecutivo, rafforzato dall’aumento dei decreti d’urgenza su temi che urgenti non sono, dalla sequela ininterrotta di scelte decisive per il futuro del Paese, ripetutamente imposte a colpi di fiducia. Una vera e propria espropriazione delle funzioni del Parlamento che purtroppo ha fatto il possibile e l’impossibile per delegittimarsi.

Su binari paralleli viaggiano veloci, quasi fuori controllo, e completano il quadro, la costosa macchina degli armamenti, il ritorno alla guerra ripudiata e lo smantellamento del sistema formativo pubblico. La storia è maestra ma, se non c’è chi la ascolti, predica nel deserto.

Soprusi e violenze fecero da battistrada al fascismo e non a caso più che il fascio littorio, il simbolo dell’odioso regime di Mussolini rimane il manganello. In un Paese in cui più il tempo passa, più un governo votato da quattro gatti, nato  male e peggio cresciuto, naviga a vista, in rotta di collisione con i diritti sanciti dalla Costituzione, non è inutile ricordarlo: è un questo clima che il manganello impazza.

A partire dalla fine dell’Ancien Régime, l’arte del governare non consiste nella capacità di imporsi alla sovranità popolare scatenando nelle piazze la violenza delle forze dell’ordine; il fine del governo è uno, sacro e vincolante, pena il tradimento: eseguire un mandato cui il popolo l’ha delegato, esercitando le funzioni di tutti i poteri come doveri pubblici e non già come diritti personali.

Di fronte al disordine quotidianamente provocato dalle forze dell’ordine, non è tempo perso ribadirlo: in una democrazia parlamentare l’equilibrio dei poteri nasce dalla natura delle leggi che mirano tutte a rendere gli uomini felici e liberi. Meloni dovrebbe saperlo, lo spessore democratico di un governo non si misura dal listino della Borsa. dalle menzogne ripetute fino a farle diventare realtà, secondo la lezione nazista, e dalla violenza che imbavaglia il dissenso. Si misura da due capacità: quella di saper vincolare i cittadini all’impero del mandato ricevuto e quella che di esercitare il potere impedendo che ci sia chi possa abusarne. Il Governo prima di tutti. Fu questo uno dei grandi problemi che arrovellò politici e pensatori negli anni cruciali della rivoluzione francese e aveva ragione Robespierre: «questo è il grande problema che il legislatore deve risolvere. Questa soluzione è forse il capolavoro della ragione umana».
Un capolavoro di cui non c’è traccia nell’opera di un governo che non ha opposizione nel Palazzo e reprime il dissenso nelle piazze. Un governo che si lascia consigliare da passioni e pregiudizi personali, sicché, mentre offre continui e fondati motivi al malcontento popolare, assume malintesi ruoli pedagogici, si occupa con zelo sospetto del potere dell’Esecutivo e lascia mano libera alla polizia. Tutto ciò è tipico di un potere che si specchia in se stesso ed è fermo al tragico equivoco di chi cede a tentazioni autoritarie. Di un potere che si fa garante dell’ingiustizia, fonte del disordine, e insegue l’ordine col manganello. E’ a questa idea di ordine che guarda Meloni? E noi fin dove intendiamo lasciarci condurre?

Le domande non sono banali e le risposte hanno da essere urgenti e chiare.

Articolo precedente
Una comunista e femminista guida l’opposizione in Galizia
Articolo successivo
Il Paese che dovrebbe e non fa

1 Commento. Nuovo commento

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Compila questo campo
Compila questo campo
Inserisci un indirizzo email valido.