“Se non fosse per questa maledetta guerra, l’amministrazione del Rojava sarebbe in grado di fornire il servizio sanitario necessario ai suoi 5 milioni di abitanti. Purtroppo, la necessità di difenderci è molto reale, con le continue incursioni e minacce dell’esercito turco e delle milizie dell’estremismo salafita. Se non potessimo difenderci non ci sarebbe nemmeno il Rojava né un servizio sanitario.”
Non ha dubbi su questo punto il dott. Jwan Alkhalaf, Responsable delle relazioni esterne dell’autorità sanitaria dell’Amministrazione Autonoma Democratica della Siria del Nord Est (DAANES), il Ministero della sanità di fatto del territorio che dal 2012 è amministrato con un sistema di autogoverno che si ispira al concetto del confederalismo democratico proposto da Abdullah Ocalan.
Incontro dott. Alkhalaf nella sede di Un Ponte Per dove è di passaggio verso la Siria dopo aver partecipato all’ottava conferenza sulla Siria dell’Unione Europea, nella quale, per la prima volta, un esponente dell’Amministrazione Autonoma ha potuto partecipare nella sua veste ufficiale. Sinora, infatti, per l’Europa la DAANES non esisteva. Forse un passo verso un riconoscimento formale? È quello che si spera. Era a Bruxelles per perorare la richiesta del passaggio dall’emergenza alla costruzione del sistema sanitario. Alkhalaf guarda avanti, oltre la guerra.
Il servizio sanitario del Rojava è pubblico, universale e gratuito secondo l’articolo 19 del Contratto Sociale che regge il Rojava (Social Contract Charter). Il General Health Policy Paper definisce un concetto avanzato di salute: “Il diritto fondamentale alla salute implica il diritto a condizioni di vita dignitose, alla riduzione dell’inquinamento, all’accesso all’acqua potabile e adeguate condizioni igienico-sanitarie, alla sicurezza alimentare, al diritto al lavoro e ad un’equa partecipazione ai beni sociali, con un’adeguata protezione dei soggetti vulnerabili”. Obiettivo ambizioso per realizzare il quale l’amministrazione non ha risorse sufficienti e dipende nella attuale situazione dagli aiuti internazionali.
Difficile gestire la salute di milioni di persone, mi dice, con un budget a disposizione di solo 12 milioni di dollari l’anno. Quando va bene. “Lo scorso anno non li abbiamo nemmeno avuti tutti a disposizione per la riduzione delle entrate dovuta al bombardamento turco degli impianti petroliferi e inoltre non abbiamo ancora un sistema fiscale autonomo”.
In questa situazione, ad esempio, la completa gratuità non è economicamente sostenibile “Stiamo sperimentando l’introduzione di un ticket in alcuni ospedali anche per limitare gli sprechi ed abbiamo visto dei miglioramenti, ma restiamo comunque ancorati all’obiettivo di realizzare integralmente quanto previsto dal Contratto Sociale.”
La nuova Social Contract Charter, approvata nel dicembre 2023, è stata rinegoziata con la partecipazione di tutte le componenti della ampia e diversificata società del Rojava. È l’equivalente di una Costituzione e stabilisce l’architettura istituzionale dell’autogoverno, la suddivisione in cantoni autonomi, la divisione dei poteri, il processo elettorale con la tutela di tutte le comunità, i principi base dell’amministrazione e i diritti e doveri dei cittadini. Il Contratto Sociale prevede che le cariche apicali siano condivise da un uomo e una donna.
“La proposta del Confederalismo Democratico, pur nelle difficoltà di una sua implementazione in una condizione di guerra, sta dimostrando che è possibile la convivenza pacifica tra popolazioni con diverse lingue, religioni, tradizioni culturali, come è il Rojava e come è gran parte del Medio Oriente. La sua sperimentazione sta andando avanti e molte comunità stanno superando una diffidenza iniziale dovuta alla presenza maggioritaria della popolazione kurda. Noi pensiamo che il Confederalismo Democratico potrebbe essere una soluzione a tanti conflitti, compreso quello israelo-palestinese.
Il sistema sanitario pubblico dell’amministrazione autonoma consiste attualmente in 185 strutture di base, 29 ospedali, 18 centri mobili, il 53% dei quali parzialmente o totalmente sostenute da Ong straniere e dalla Mezzaluna Rossa Curda, attraverso le quali vengono veicolati gran parte degli aiuti internazionali che tuttora gli stati donatori e le Nazioni Unite si rifiutano di indirizzare direttamente verso l’autorità sanitaria dell’autogoverno. Perché l’offerta di servizi sanitari sia in linea con gli standard internazionali la struttura dovrebbe quasi raddoppiare. Da anni Un Ponte Per, che sostiene, in partnership con la Mezzaluna Rossa, una parte consistente delle strutture pubbliche, svolge un’azione di lobbying nei confronti dei donatori per il finanziamento diretto dell’Autorità senza passare attraverso le Ong. È nell’ambito di queste attività di advocacy che UPP ha lavorato per la partecipazione ufficiale del dott. Alkhalaf all’incontro di Bruxelles.
Alla struttura pubblica si affiancano 59 cliniche del settore privato non regolamentato, senza ancora standard da rispettare e orientato dalla redditività. Esso di fatto solo una parte affluente e cittadina della comunità. Tuttavia, il documento di salute pubblica lo riconosce come parte del sistema sanitario generale, ne prevede la regolamentazione indicando però che, in ogni caso “l’interesse dei beneficiari deve prevalere sugli interessi dei promotori delle strutture private.”
“Dobbiamo passare dall’emergenza alla ricostruzione. Stiamo costruendo comunque la sanità del futuro e più ancora che la mancanza di fondi che, riteniamo sia temporanea perché prima o poi la guerra finirà, quello che ci preoccupa è la carenza di personale sanitario ed in particolare di personale specializzato.” In complesso sono attualmente in servizio circa 1000 medici per servire una popolazione di 5 milioni di abitanti. Ne servirebbero 6000, i medici specializzati sono quasi inesistenti. “Per affrontare questo deficit già sei anni fa abbiamo fondato una scuola di medicina e quest’anno finalmente abbiamo i primi 20 laureati, ma è evidente che questo è insufficiente.” C’è poi il problema della fuga dei medici dal sistema sanitario pubblico. “Dobbiamo pagare il personale in moneta locale, non possiamo farlo in dollari, ma con l’inflazione galoppante il valore del denaro siriano siete talmente svalutato che mentre prima l’equivalente di uno stipendio di un medico era di 5-600 dollari ora non arriva a 200” Il settore privato e persino quello sostenuto dalla Ong riesce a offrire stipendi migliori. In alcuni casi anche oltre 1.000 dollari. Inoltre, ci spiega, molti medici non sono locali, ma provengono da altre zone della Siria. In qualunque momento, con un cambiamento delle condizioni politiche, potrebbero lasciare il nostro territorio.
Altre carenze cruciali, guardando al futuro, sono le capacità gestionali e gli squilibri territoriali con le città meglio servite delle zone rurali. A questo tenta di far fronte il servizio di cliniche mobili, ma servirebbe molto di più. Con l’aiuto di esperti e anche un convegno internazionale tenutosi a Beirut si sta inoltre progettando complessivamente il sistema sanitario, rispecchiato nel General Health Policy Paper del gennaio 2023. Ma la sua piena realizzazione dipenderà oltre che dalle risorse economiche e umane soprattutto dalle condizioni politiche. Il piano riconoscimento dell’autonomia del NES e del suo autogoverno, lo sviluppo di una Siria democratica e soprattutto la pace.
L’ultima domanda è di carattere politico sulla situazione interna siriana e nel Medio Oriente.
“In questo momento la nostra preoccupazione principale, il nostro avversario strategico sono le milizie estremiste salafite al soldo della Turchia e la Turchia stessa. Proviene da loro la sfida militare quotidiana alla tranquillità e alla sicurezza della nostra popolazione, ma anche la sfida politica alla vocazione democratica e laica nella nostra rivoluzione, che, non dimenticatelo, vede la liberazione della donna al primo posto. Con gli estremisti islamici abbiamo quindi un confronto di carattere strategico.”
Le relazioni con il governo di Damasco sono relazioni molto difficili perché “i due pilastri su cui si fonda la nostra proposta per il futuro della Siria sono il decentramento e la democrazia. Esattamente il contrario di quello che il governo di Bashar al Assad persegue. Siamo tra due fuochi ostili che si combattono a vicenda. E tutt’ora non ci viene riconosciuto di essere parte della soluzione, speriamo che la posizione europea stia evolvendo.”
Non ha dubbi però il ministro “se dovessimo scegliere il male minore non potremmo certamente scegliere quello delle milizie islamiste.” Il suo giudizio è molto critico anche nei confronti di altri attori statali interni l’area mediorientale. Insieme alle ingerenze esterne a destabilizzare l’area non c’è solo Israele, anche i paesi come la repubblica islamica dell’Iran e l’Arabia Saudita con le altre monarchie del Golfo che sono un fattore perenne di conflitto e instabilità.
Saluto il responsabile della sanità dell’unica democrazia del Medio Oriente rinnovando l’impegno a restare a fianco della lotta democratica delle popolazioni curde. Un impegno che dura da 30 anni, da quando all’inizio degli anni ‘90 Un Ponte Per andò ad incontrarli alle falde dell’Ararat nel Kurdistan turco.
Fabio Alberti
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