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Il Recovery plan per principianti e qualche conto per l’Italia

di Paola
Boffo

La proposta della Commissione europea Il momento dell’Europa: riparare e preparare per la prossima generazione presentata a Parlamento e Consiglio lo scorso 27 maggio è stata predisposta su incarico del Consiglio UE, riunitosi in videoconferenza il 23 aprile, che aveva convenuto di “lavorare per la creazione di un fondo per la ripresa, che è necessario e urgente. Il fondo dovrà essere di entità adeguata, mirato ai settori e alle aree geografiche dell’Europa maggiormente colpiti e destinato a far fronte a questa crisi senza precedenti. Abbiamo pertanto incaricato la Commissione di analizzare le esigenze esatte e di presentare con urgenza una proposta all’altezza della sfida che ci troviamo ad affrontare. La proposta della Commissione dovrebbe chiarire il nesso con il QFP, che in ogni caso dovrà essere adeguato per affrontare l’attuale crisi e le relative conseguenze”.

Dopo un grave ritardo la Commissione ha iniziato dal 13 marzo a mettere a punto una risposta coordinata per contrastare l’impatto economico del coronavirus e a avviare provvedimenti concreti: sul sito della Commissione si può trovare una cronistoria delle azioni di contrasto alla pandemia.

L’iniziativa Next Generation UE è anche esito di un ampio dibattito fra gli attori politici, gli economisti che a livello internazionale hanno redatto appelli, le istituzioni (si veda la Risoluzione del Parlamento Europeo del 17 aprile 2020), l’iniziativa sottoposta ai leader il 26 marzo dal governo italiano con la lettera del 25 marzo, che ribadiva la proposta già avanzata sul tavolo del Consiglio nella video conferenza del 17 marzo per una iniziativa comune relativa a ‘coronavirus’ bond o anche un fondo di garanzia europeo.

Del consiglio del 26 marzo abbiamo reso conto qui. La proposta italiana, che aveva raccolto l’adesione di altri otto Capi di stato (Belgio, Francia, Grecia, Irlanda, Lussemburgo, Portogallo, Slovenia, Spagna), ha avviato un lavoro diplomatico, cui non è stato estraneo l’invito di Bergoglio nel suo messaggio urbi et orbi del 12 aprile 2020 nella domenica di Pasqua, nel quale chiedeva all’Europa l’adozione di “una soluzione innovativa”, e che è approdato alla necessaria sintesi politica nell’accordo Franco-tedesco del 18 maggio 2020.

Il Parlamento Europeo, nella Risoluzione del 15 maggio scorso, aveva richiesto che questo Fondo avesse la dimensione di 2000 miliardi, mentre la Presidente della Commissione aveva precedentemente ipotizzato di poter mettere in campo 1000 miliardi.

L’accordo Macron – Merkel proponeva “500 mld di spesa di bilancio UE” in forma di grant (sovvenzioni, dono, come si dice nel contesto internazionale), e cioè nella forma utilizzata per la Politica di Coesione, finanziata tramite emissioni comuni dell’UE, e quindi senza aumentare il debito nazionale degli Stati Membri.

Ora, la proposta di von der Leyen aggiunge 250 miliardi di prestiti agli Stati ai 500 miliardi di sovvenzioni, e si articola in una serie di misure da veicolare attraverso i Programmi dell’Unione.

Che cosa è il Recovery Plan

Come è noto Next Generation EU è una proposta della Commissione, che ha il potere di iniziativa legislativa, è portata al Consiglio UE che dovrà prendere una posizione costruita in negoziato fra gli Stati membri che sarà confrontata con la posizione a sua volta assunta dal Parlamento Europeo per arrivare all’approvazione di un regolamento.

In realtà il pacchetto legislativo è molto ampio: oltre trenta proposte riguardano il Quadro Finanziario Pluriennale 2021 – 2027. Dopo esattamente due anni dalla prima proposta della Commissione, oggetto di un lungo negoziato mai andato a buon fine, è stato necessario predisporre una nuova proposta, perché lo strumento Recovery va necessariamente collegato al nuovo bilancio. Per cercare di pervenire più rapidamente a un accordo sul bilancio modificato si è partiti dalla posizione raggiunta in Consiglio nel febbraio scorso.

L’importo complessivo proposto del QFP, pari a 1.100 miliardi di euro, è leggermente inferiore alla proposta di 1.134,6 miliardi di euro presentata due anni fa (entrambi sono a prezzi costanti 2018). Nel frattempo, però, le previsioni sull’RNL sono state riviste al ribasso e l’attuale proposta in percentuale dell’RNL (stimata all’1,12%) è praticamente la stessa della proposta del 2018 in percentuale dell’RNL (1,11%).

E bisogna modificare corrispondentemente tutti i regolamenti che istituiscono i programmi e i fondi (compresi FSE+, FESR, ecc.). Bisogna anche apportare modifiche alle norme relative al bilancio 2014 – 2020 per poter consentire l’utilizzo di 11,5 miliardi di euro fin dal secondo semestre 2020 destinati a REACT-EU, lo strumento di sostegno alla solvibilità e il Fondo europeo per lo sviluppo sostenibile. Poi ci sono tutte le comunicazioni e i documenti tecnici della Commissione che descrivono le premesse, forniscono le analisi e prospettano l’uso delle risorse e le modalità per l’emissione dei titoli comuni e il loro rimborso.

Quindi proviamo, dopo una prima lettura di alcuni documenti fra i quali è pure difficile orientarsi per principianti come noi, a presentare quello che abbiamo capito di alcuni aspetti, con grave ritardo rispetto agli articoli, alle polemiche, ai conteggi e ai giudizi già espressi nella settimana che si conclude oggi. Cerchiamo di evidenziare i punti positivi e alcuni aspetti critici.

Si tratta di una iniziativa senza precedenti nell’UE, nel senso che non ci sono iniziative precedenti di portata similare, che metterebbe in atto un pezzo di politica monetaria comune, con l’emissione di titoli e la gestione di prestiti, e una politica fiscale, con la definizione di politiche e di orientamenti per gli investimenti. Seppure l’UE abbia già emesso titoli (nel periodo 2010-19 l’UE ha emesso in tutto 69mld) con questo Strumento l’emissione è in relazione decuplicata.

Lo strumento sarà rafforzato dal nuovo bilancio dell’UE a lungo termine per il periodo 2021-2027, portando la potenza di fuoco finanziaria totale del bilancio dell’UE a 1.085 miliardi di euro.

Dell’impostazione generale del programma abbiamo già scritto nell’articolo cui rimandiamo anche per la consultazione dei documenti ufficiali. In questa sede ci soffermiamo sull’analisi del fabbisogno stimato dai servizi della Commissione, sul finanziamento del programma e sull’allocazione delle risorse per linea di investimento e per paese, con una stima dell’impatto netto per l’Italia.

L’analisi dei fabbisogni svolta dalla Commissione

Liquidità delle imprese

La Commissione stima che tra il 25% e il 35% delle imprese nell’Unione con più di 20 dipendenti subiranno una carenza finanziaria entro la fine del 2020, dopo aver esaurito il capitale circolante e le riserve di liquidità. Nello scenario peggiore, che contempla un prolungamento delle misure di contenimento, queste quote potrebbero aumentare rispettivamente al 35% e al 50%.

Ciò significa che circa 180.000-260.000 aziende europee che impiegano circa 25-35 milioni di dipendenti potrebbero subire una carenza finanziaria e arrivare al fallimento. La corrispondente carenza di liquidità da coprire potrebbe variare tra € 350 miliardi e € 500 miliardi nello scenario di base e tra € 650 miliardi e € 900 miliardi nello scenario peggiore. I principali settori interessati a problemi di liquidità sono i servizi alberghieri e le attività di ristorazione; il settore delle arti, divertimento e svago; e in misura minore il commercio all’ingrosso e al dettaglio, i trasporti e la manifattura.

Le risorse necessarie per coprire il fabbisogno sono calcolate intorno ai 720 miliardi di euro nel 2020 nello scenario di base fino a 1.200 miliardi di euro nello scenario peggiore.

Il fabbisogno per gli investimenti pubblici e privati

In totale, le esigenze di investimento nell’UE a 27 (pubblico e privato) ammontano ad almeno 1.500 miliardi di euro nel 2020 e nel 2021 addizionali. La realizzazione di questi investimenti contribuirebbe una ripresa dalla crisi di Covid-19 e una transizione verso un’economia più pulita e più produttiva.

Vale la pena di sottolineare che già prima della crisi, il livello degli investimenti pubblici nell’UE a 27 era insufficiente per mantenere costante lo stock di capitale pubblico in percentuale del PIL. Gli investimenti pubblici netti, vale a dire la formazione lorda di capitale fisso meno i consumi di capitale fisso, ammontavano solo allo 0,3% del PIL nell’UE-27 nel 2019, un livello che, se mantenuto, porterebbe a una veloce riduzione del capitale pubblico in percentuale del PIL. La stabilizzazione dello stock di capitale in relazione alla produzione in modo da non erodere la capacità dell’economia dell’UE di sostenere la crescita richiederebbe un aumento degli investimenti pubblici (rispetto ai piani di previsione della primavera 2020) di circa 100 miliardi di euro all’anno. Gli investimenti pubblici tendono a essere i più bassi negli Stati membri con un debito elevato, come l’Italia, la Grecia e il Portogallo.

Il supporto all’occupazione e alle spese sociali

Oltre il breve termine, le pressioni sui bilanci pubblici dei regimi di disoccupazione rimarranno elevate nel medio termine, poiché si prevede che la disoccupazione rimarrà al di sopra del livello pre-Covid anche dopo il 2021. Ciò contribuisce ad aumentare i disavanzi pubblici e i livelli del debito e può esercitare pressioni sulle spese pubbliche per investimenti. Cumulato nel periodo fino al 2027, la maggiore spesa per le indennità di disoccupazione dovuta all’impatto di Covid è stimata a 150 miliardi di euro entro il 2027.

La pandemia di Covid-19 ha accentuato la necessità di riorientare i sistemi sanitari dell’UE. L’analisi delle variazioni della spesa pubblica su questi componenti tra i sistemi sanitari degli Stati membri consente di stimare i requisiti di spesa aggiuntivi. È probabile che queste esigenze di spesa superino i 70 miliardi di euro, pari a circa lo 0,6% del PIL dell’UE, anche se con ampie variazioni tra i paesi. Gli elementi chiave nell’attuazione di tali investimenti saranno le buone pratiche di governance e il raggiungimento di un miglioramento continuo dell’accessibilità, della qualità e dell’efficienza dei sistemi sanitari, anche attraverso un’enfasi sulla digitalizzazione intelligente e sul rafforzamento della prevenzione della salute.

Tenendo conto delle necessità di assistenza sanitaria aggiuntiva, le stime delle esigenze di investimento supplementari nel settore delle infrastrutture sociali sono state aumentate a 192 miliardi di euro all’anno. Queste stime coprono le esigenze di investimento per alloggi a prezzi accessibili, assistenza sanitaria e di assistenza a lungo termine, istruzione e formazione permanente, con la salute e l’assistenza a lungo termine che rappresentano il 62% degli investimenti necessari.

Il sostegno al debito pubblico degli Stati

Le esigenze supplementari di finanziamento dei governi dovute all’impatto della crisi Covid-19 sono stimate a quasi 1.700 miliardi di euro per gli Stati membri dell’UE nel 2020 e nel 2021. Questa stima si basa sull’impatto di maggiori spese e minori entrate fiscali rispetto a uno scenario di base pre-crisi che prevedeva già un fabbisogno finanziario lordo di 3.700 miliardi di euro, raggiungendo un totale di circa 5.400 miliardi di euro. Questa stima include le esigenze di finanziamento per coprire le spese correnti e degli investimenti dei governi nel 2020 e nel 2021, i finanziamenti necessari per rinnovare il debito sovrano in scadenza, ma non include il fabbisogno per gli investimenti già contemplato nei paragrafi precedenti.  

Il fabbisogno finanziario raggiungerà livelli eccezionali a partire da maggio 2020 e comporterà volumi molto elevati di emissione di debito a scadenze a breve termine, il che potrebbe creare effetti di spiazzamento per il debito con rating inferiore. La liquidità rimane una sfida e nonostante il programma PEPP della BCE stanno emergendo tensioni di mercato, creando sfide per tutti gli Stati membri dell’UE, in particolare per i paesi a debito più elevato. Le convenienti condizioni di finanziamento dei prestiti dell’UE possono contribuire ad alleviare la pressione a breve termine sulle finanze pubbliche degli Stati membri e consentire di attuare le misure necessarie per favorire la crescita ed evitare divergenze crescenti.

Gli effetti dello Strumento Next Generation EU

La Commissione ritiene probabile che Next Generation UE abbia un effetto positivo permanente sul PIL reale dell’UE a 27. Si stima che l’investimento mobilitato aumenti i livelli reali del PIL dell’UE di circa l’1¾% nel 2021 e nel 2022, passando al 2¼% entro il 2024. Anche dieci anni dopo, si stima che i livelli del PIL reale siano almeno dell’1% più alti rispetto allo scenario di base (senza il Programma).

Si stima che fino a due milioni di posti di lavoro aggiuntivi vengano creati nell’UE attraverso il funzionamento dello strumento a medio termine. Si prevede che i livelli occupazionali nel periodo 2021-2024 saranno in media circa dell’1% più alti rispetto a uno scenario di base, che equivale a circa 2 milioni di posti di lavoro. L’effetto positivo sull’occupazione deriva principalmente dalla maggiore domanda dovuta agli investimenti mobilitati tra il 2021 e il 2024. Dal 2025 in poi, l’effetto positivo sull’occupazione lascia gradualmente il posto a un aumento dei salari reali all’aumentare della produttività a causa dell’effetto di investimenti aggiuntivi.

Il pacchetto complessivo è “autofinanziato”, poiché una grande parte del finanziamento sostiene gli investimenti pubblici che hanno un moltiplicatore maggiore di uno, il che significa che un euro in più negli investimenti pubblici porta a più di un euro in più della quota di PIL. A sua volta, ciò porta a una riduzione del rapporto debito / PIL nel primo anno (effetto denominatore). Gli effetti positivi assunti dall’ulteriore erogazione di finanziamenti al settore privato aumentano le entrate del governo tramite stabilizzatori automatici. Nel complesso, il rapporto debito pubblico / PIL nell’UE a 27 scende a circa ¾ di un punto percentuale nel breve periodo e scende ulteriormente al di sotto dei livelli di base nel medio-lungo termine. Entro il 2030, il rapporto debito / PIL medio nell’UE è stimato essere inferiore di quasi 3 punti percentuali rispetto allo scenario di base.

Il rapporto debito / PIL nell’UE diminuirebbe in media leggermente nel 2021 e nel 2022 (di circa ½ pp) e diminuirebbero ulteriormente al di sotto dei livelli di riferimento a lungo termine a causa degli effetti favorevoli del denominatore derivanti da una crescita più forte in Europa.

Il finanziamento di Next Generation UE

Per finanziare Next Generation EU è necessario modificare la proposta relativa al sistema di risorse proprie che la Commissione aveva già studiato per il QFP, al fine di reperire gli ulteriori 750 miliardi di euro necessari mediante l’assunzione di prestiti sui mercati dei capitali, che saranno rimborsati una volta che l’Unione sarà tornata su una traiettoria di crescita positiva.

La Commissione dovrà essere autorizzata a contrarre prestiti sui mercati dei capitali per conto dell’Unione, fino a concorrenza di 750 miliardi di EUR a prezzi 2018. Gli importi ottenuti saranno trasferiti ai programmi dell’Unione in conformità dello strumento dell’Unione europea per la ripresa. Gli importi dei prestiti contratti sui mercati dei capitali saranno rimborsati tramite il bilancio dell’UE a partire dal 2028. Tutte le passività saranno rimborsate integralmente entro il 2058.

Gli importi dovuti dall’Unione in un dato anno per il rimborso del capitale non supereranno il 7,5 % dell’importo massimo dei prestiti contratti per le spese. Gli stanziamenti operativi in bilancio per la spesa supplementare per il pagamento degli interessi negli esercizi 2021-2027 ammonta a circa 20 miliardi di euro.

Come saranno spese le risorse di Next Generation UE

Bisogna fare riferimento direttamente alla proposta di Regolamento che istituisce lo strumento per scoprire che:

Lo strumento sostiene la ripresa all’interno dell’Unione a seguito della pandemia di Covid-19, finanziando in particolare le seguenti misure per ovviare alle conseguenze economiche negative della pandemia:

  1. misure per ripristinare l’occupazione e la creazione di posti di lavoro e i sistemi sanitari;
  2. riforme e investimenti volti a rinvigorire il potenziale di crescita, a rafforzare la coesione tra gli Stati membri e ad aumentarne la resilienza;
  3. misure di sostegno a favore delle imprese che hanno subito l’impatto economico della pandemia, in particolare misure a beneficio delle piccole e medie imprese, anche mediante investimenti finanziari diretti in tali imprese;
  4. misure di sostegno a favore di imprese economicamente sostenibili ma alle prese con problemi di solvibilità a causa dell’impatto della pandemia di Covid-19, anche mediante investimenti finanziari diretti in tali imprese;
  5. misure volte a rafforzare l’autonomia strategica dell’Unione nelle catene di approvvigionamento fondamentali, anche mediante investimenti finanziari diretti nelle imprese;
  6. misure di sostegno a favore della ricerca e dell’innovazione in risposta alla pandemia di Covid-19;
  7. misure di sostegno per migliorare il livello di preparazione dell’Unione alle crisi e per consentire una risposta rapida ed efficace dell’Unione in caso di gravi emergenze; tra queste figurano misure per migliorare la resilienza strategica dei sistemi sanitari dell’Unione, così da consentire una risposta rapida ed efficace dell’Unione nell’eventualità di una nuova crisi sanitaria transfrontaliera; le misure comprendono la costituzione di scorte di forniture ed apparecchiature mediche essenziali e l’acquisizione delle infrastrutture necessarie per mantenere livelli di presidi medici e medicinali essenziali adeguati alle situazioni di crisi;
  8. misure di sostegno affinché la transizione giusta verso un’economia climaticamente neutra non sia compromessa dalla pandemia di Covid-19;
  9. misure di sostegno per parare l’impatto della pandemia di Covid-19 sull’agricoltura e lo sviluppo rurale.

Lo strumento sostiene altresí i paesi partner nella scia della crisi, per ripristinarne e rafforzarne le relazioni commerciali ed economiche con l’Unione e migliorarne la resilienza.

Le risorse previste si compongono di 433,2 miliardi di euro per sovvenzioni a fondo perduto e strumenti finanziari (di garanzia), ed in particolare:

  • 50 miliardi di euro per i programmi della politica di coesione nel periodo 2014 – 2020
  • 310 miliardi di euro per il sostegno a riforme e investimenti, nell’ambito di un programma di finanziamento della ripresa e della resilienza economica e sociale
  • 7,7 miliardi di euro per un programma relativo alla salute
  • 2 miliardi di euro per programmi relativi alla protezione civile
  • 13,5 miliardi di euro per programmi relativi alla ricerca e all’innovazione
  • 30  miliardi di euro per programmi di sostegno ai territori nella transizione verso un’economia climaticamente neutra
  • 15  miliardi di euro per lo sviluppo nelle zone rurali
  • 5 per l’assistenza umanitaria al di fuori dell’Unione

Inoltre lo Strumento prevede prestiti agli Stati membri fino a 250 miliardi di euro per un programma di finanziamento della ripresa e della resilienza economica e sociale mediante il sostegno a riforme e investimenti.

Infine 66,8 miliardi di euro servono per accantonamenti per garanzie e relativa spesa in relazione ai seguenti programmi:

  • 30,3 miliardi per il sostegno di operazioni di investimento nel settore delle politiche interne dell’Unione
  • 26 miliardi di euro per rafforzare la solvibilità di imprese economicamente sostenibili nell’Unione
  • 10,5 miliardi di euro per la promozione della crescita economica sostenibile e inclusiva al di fuori dell’Unione.

L’allocazione delle risorse e le condizioni di attuazione

La distribuzione delle risorse fra i Paesi dipende da una serie di parametri diversi per ciascun programma, molti dei quali non sono ancora noti. Inoltre, un sistema di calcolo perfezionato che contemplasse tutte le combinazioni fra parametri, tipologia di contributo (sovvenzione o prestito), modalità di gestione (diretta o concorrente), modalità di erogazione, obblighi di restituzione (nel caso dei prestiti), differenza fra le risorse spettanti e contributo di un paese al bilancio, ci potrebbe dare l’importo potenzialmente disponibile per l’Italia.

Le risorse che alla fine perverranno effettivamente dipendono dalle modalità di accesso: per esempio, nel caso del dispositivo per la ripresa e la resilienza ciascun Paese deve presentare il suo Piano per la ripresa e la resilienza, che definisce il programma di riforme e investimenti dello Stato membro interessato per i quattro anni successivi, e potrà presentare richieste entro il limite del rispettivo contributo finanziario massimo, che per l’Italia è pari a 63,380 miliardi sui 310 disponibili, ovvero il 20,45%, la quota più alta. Il parametro è calcolato con un metodo basato sulla popolazione, l’inverso del prodotto interno lordo (PIL) pro capite e il relativo tasso di disoccupazione.

Tale contributo sarà erogato per fasi di attuazione e al completamento delle riforme e degli investimenti previsti dal Piano.

Il documento tecnico della Commissione da alcune informazioni sulla metodologia adottata, in generale, per Next Generation UE. Il quadro si basa sul raggruppamento degli Stati membri in tre gruppi:

– Paesi con PIL pro capite superiore alla media UE: Austria, Belgio, Germania, Danimarca, Francia, Finlandia, Irlanda, Lussemburgo, Olanda, Svezia

– Paesi con PIL pro capite inferiore alla media UE (con debito elevato): Cipro, Grecia, Spagna, Italia, Portogallo

– Paesi con Pil pro capite inferiore alla media UE (con debito basso): gli altri Paesi UE-27 non inclusi nei gruppi precedenti.

Lo Strumento implica un’importante ridistribuzione tra gli Stati membri. il Fondo andrà a favore di “settori e regioni più colpiti”. Questo significa che i Paesi riceveranno a seconda del bisogno (per esempio, in proporzione a quanto hanno sofferto dello shock COVID), ma saranno responsabili del rimborso in base alle possibilità (come per qualsiasi strumento del QFP, infatti, il contributo è collegato alla quota di ciascun paese nel bilancio dell’UE, che è basata sul reddito nazionale lordo). La differenza tra ciò che un Paese otterrà e ciò che dovrà ripagare è di fatto un vero e proprio trasferimento potenziale, che ridistribuisce esplicitamente le risorse tra i paesi.

Le simulazioni presuppongono che la stessa chiave di allocazione si applichi a tutti i componenti del pacchetto (sovvenzioni, prestiti, finanziamento aggiuntivo a InvestEU). Il gruppo con un PIL pro capite superiore alla media riceve il 24,5% del pacchetto, il gruppo con PIL inferiore alla media (debito basso)” riceve il 25,0%, e il gruppo con PIL inferiore alla media (debito elevato), dove c’è l’Italia insieme ad altri quattro paesi, riceve circa il 50,6%.

La quota più grande del pacchetto complessivo è destinata a stimolare gli investimenti pubblici in forme di sovvenzioni e prestiti: 451 miliardi di euro (su un importo di 750 miliardi di euro) sarà fornito sotto forma di sovvenzioni mentre 250 miliardi di euro costituiscono le risorse sotto forma di prestito agli Stati membri per finanziare gli investimenti pubblici. I prestiti saranno rimborsati gradualmente in 20 anni dagli Stati membri beneficiari.

Secondo la tabella presente nel documento della Commissione la situazione dell’Italia sarebbe la seguente:

ITALIA  
Criterio di allocazione 20,40%
PIL (mld) 1.788
PIL pro capite  €   26.860,00
Quota nel PIL EU-27 12,80%
Quanto riceve (mld) 153
Quanto contribuisce (mld) 96,3
Netto (mld) 56,7
Netto (% del PIL) 3,17%
   

Sulla base di questi calcoli l’Italia sarebbe l’unico Paese usualmente contributore netto che in questo caso diventa beneficiario netto: la Germania ha un netto di -133,3 miliardi, la Francia -52,3, la Svezia -36,6, l’Olanda -31, l’Irlanda -15, l’Austria -14, il Belgio -13,5, la Danimarca -12,2, Lussemburgo -3,4, la Repubblica Ceca -0,6. Solo la Spagna riceverebbe un contributo netto superiore all’Italia e pari a 82,2 miliardi.

È importante notare che lo Strumento interessa il periodo 2020 – 2024, poiché si concentrerà nei primi anni del periodo di programmazione 2021 – 2027.

A condizione che…

La partecipazione a Next Generation UE comporta, come già detto, la collaborazione fra Stati e Commissione, che monitorerà l’andamento dei Programmi nel contesto del Semestre europeo, in particolare sostenendo gli Stati membri nell’attuazione delle Raccomandazioni, come abbiamo già scritto qui. Come avevamo previsto il “dispositivo per la ripresa e la resilienza” sviluppa i principi e la tipologia di intervento del programma di sostegno alle riforme strutturali (SRSP) che aiuta gli Stati membri a preparare, progettare e realizzare le riforme, assumendo però nel contesto delle misure di contrasto al Covid-19, una dimensione molto più ampia e prevalente nell’ambito di Next Generation UE.

E qui ritorna quella condizionalità macroeconomica già prevista nel Regolamento per disposizioni comuni per i Fondi della Coesione 2021-2017 (anch’esso soggetto a revisione), e osteggiata dall’Italia nel corso del negoziato, che troviamo qui nell’articolo 9 della proposta e che dispone la sospensione dei contributi in caso di non conformità all’articolo 15, paragrafo 7 del RDC, che recita:

“7.     La Commissione presenta al Consiglio la proposta di sospendere totalmente o parzialmente i pagamenti relativi a uno o più programmi di uno Stato membro nei casi seguenti:

  • se il Consiglio decide a norma dell’articolo 126, paragrafo 8, o dell’articolo 126, paragrafo 11, del TFUE che lo Stato membro interessato non ha adottato azioni efficaci per correggere il suo disavanzo eccessivo;
  • se il Consiglio adotta due raccomandazioni successive nella stessa procedura per gli squilibri, a norma dell’articolo 8, paragrafo 3, del regolamento (UE) n. 1176/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, motivate dal fatto che uno Stato membro ha presentato un piano d’azione correttivo insufficiente;
  • se il Consiglio adotta due decisioni successive nella stessa procedura per gli squilibri, a norma dell’articolo 10, paragrafo 4, del regolamento (UE) n. 1176/2011, con cui accerta l’inadempimento dello Stato membro per non aver adottato l’azione correttiva raccomandata;
  • se la Commissione conclude che lo Stato membro non ha adottato misure di cui al regolamento (CE) n. 332/2002 del Consiglio e, di conseguenza, decide di non autorizzare l’erogazione del sostegno finanziario concesso a tale Stato membro;
  • se il Consiglio decide che uno Stato membro non adempie al programma di aggiustamento macroeconomico di cui all’articolo 7 del regolamento (UE) n. 472/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio o alle misure richieste da una decisione del Consiglio adottata a norma dell’articolo 136, paragrafo 1, del TFUE.”

Il compromesso sui “rebates

I cosiddetti rebates (rettifiche o le riduzioni delle entrate) del bilancio dell’UE sono concessi a partire dal 1984 – vertice di Fontainebleau – e prevedono che “qualsiasi Stato membro che sostiene un onere di bilancio eccessivo rispetto alla sua prosperità relativa può beneficiare di una correzione al momento opportuno“. In realtà i paesi che beneficiano degli sconti sono tra i più prosperi dell’UE e presentano bassi livelli di debito pubblico.

La proposta di bilancio attuale afferma che: “nella situazione attuale, dato l’impatto economico della pandemia COVID-19, l’eliminazione graduale delle rettifiche comporterebbe aumenti sproporzionati dei contributi per alcuni Stati membri nel 2021-2027. Per evitare ciò, le attuali rettifiche potrebbero essere gradualmente eliminate in un periodo di tempo molto più lungo di quanto previsto dalla Commissione nella sua proposta nel 2018”.

Questo significa che i rebates rimangono, probabilmente perché la totale eliminazione aumenterebbe il contributo netto dei Paesi Bassi dello 0,15% dell’RNL, della Svezia dello 0,12%, della Germania dello 0,07%, mentre non cambierebbe il contributo netto della Danimarca e ridurrebbe il contributo netto di altri paesi dello 0,05%, in ogni anno (fonte: Bruegel).

Si tratta di un compromesso per incentivare i Frugal Fours ad approvare Next Generation UE.

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