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Il movimento comunista nella Bielorussia di Lukashenko

di Franco
Ferrari

La sezione bielorussa del Partito Comunista dell’Unione Sovietica ha assistito all’avvento di Gorbaciov e alla crisi del suo progetto riformatore senza particolare entusiasmo e collocandosi, prudentemente, sulle posizioni della corrente più conservatrice. A seguito degli effetti del fallito tentativo di colpo di Stato in Urss nell’agosto del 1991, il partito è stato ufficialmente disciolto senza offrire alcuna resistenza. Nei successivi mesi è iniziato un processo di ricostituzione di una formazione politica ispirata allo stesso orientamento ideologico del partito dichiarato illegale. Il 7 dicembre del 1991 veniva fondato il Partito dei Comunisti di Bielorussia (PKB) per iniziativa soprattutto di quadri regionali e funzionari intermedi del vecchio partito sovietico[1].

In Bielorussia, per ragioni politiche, economiche e culturali la spinta anticomunista e in favore della dissoluzione dell’Unione sovietica è stata più debole e frammentata che in altre ex repubbliche sovietiche. Le tendenze nazionaliste più aggressive non hanno trovato molto seguito, essendo la stessa identità bielorussa più fragile perché non basata su distinzione etniche. La spinta politica anticomunista e antisovietico molto forte in altre repubbliche dell’ex Unione Sovietica si è andata indebolendo anche alla luce degli effetti negativi che produceva in altre parte dell’Unione tra terapie economiche ultraliberiste e conflitti etnici. Il mutamento di clima consentiva alla Corte Suprema di rimuovere l’interdizione legale del Partito Comunista di Bielorussia (KPB). Nell’aprile del 1993, sotto la direzione dell’ultimo ex segretario del partito sovietico, Anatoli Malofeev, si riformava il KPB.

Fra i due partiti comunisti (KPB ne PKB) non esistevano differenze ideologiche o politiche rilevanti e questo consentiva l’unificazione delle due formazioni all’interno del Partito dei Comunisti di Bielorussia (PKB)[2].  Nelle elezioni presidenziali del 1994, nelle quali veniva eletto per la prima volta Aleksandr Lukashenko, sulla base di una campagna elettorale anti-corruzione di stile populista, i comunisti dopo aver presentato al primo turno un proprio candidato che raccoglieva solo il 4,2% dei voti, decidevano di votare contro entrambi i candidati presenti al secondo turno.

Nel 1995, veniva rieletto il Soviet Supremo nel quale i comunisti riuscirono a conquistare significative posizioni grazie al sostegno del 22% degli elettori[3].

Una volta conquistata la presidenza, Lukashenko ha proceduto rapidamente alla ristrutturazione del sistema politico, approfittando delle incertezze e delle contraddizioni delle varie forze di opposizione. Nel 1996, attraverso un referendum popolare, riusciva ad introdurre una Costituzione che gli garantiva la quasi totalità del potere. Secondo i critici il risultato era stato manipolato con l’aggiunta di un milione di voti a favore della nuova Costituzione, aggiunto nelle ultime ore di votazione[4].

Al Soviet Supremo regolarmente eletto, nel quale la sinistra aveva una presenza significativa, Lukashenko contrapponeva una Assemblea nazionale nella quale erano nominati solo suoi sostenitori. Per i comunisti del PKB, l’operazione si configurava come una forma di colpo di Stato. I comunisti si dividevano fra coloro che decidevano di schierarsi con Lukashenko e la maggioranza del PKB che invece contrastava la deriva autoritaria imposta dal nuovo Presidente.

La scissione comunista tra pro e anti Lukashenko

La minoranza decideva di ridare vita al Partito Comunista di Bielorussia (KPB) che entrava a far parte stabilmente della maggioranza presidenziale, mentre l’altro partito comunista rimaneva una forza di opposizione. Nel 2006, su pressione di Lukashenko, il KPB proponeva la fusione dei due partiti, dando vita ad un Congresso di riunificazione al quale però partecipavano solo pochi esponenti del PKB[5].

Nello stesso anno invece il PKB tentava di unire le forze di sinistra che erano schierate contro il regime. Gli interlocutori dell’operazione erano il Partito Socialdemocratico di Bielorussia “Hramada”e il Partito delle donne bielorusse “Nadzeya”. La Convenzione che dava vita all’Unione delle Forze di Sinistra si dovette tenere in una città ucraina, oltre il confine, data l’impossibilità di disporre di una sede a Minsk[6]. L’iniziativa fu però di breve durata, dato che il leader dei socialdemocratici si trovava in prigione e il partito femminile venne dissolto dal governo. Questo fallimento confermava anche la più generale difficoltà a trovare uno spazio significativo per una schieramento progressista alternativo sia al regime che all’opposizione nazional-liberale.

I comunisti di opposizione hanno subito numerosi interventi repressivi da parte del governo, compresa la sospensione del diritto di poter agire legalmente per sei mesi, sulla base di motivazioni pretestuose avanzate dal Ministero della Giustizia. Pressoché impossibile poter distribuire legalmente il proprio giornale “Tovarish”, stampato in Russia, dato il rifiuto dei distributori statali di inoltrare i giornali di opposizione alle edicole.

Nell’ottobre del 2009, i comunisti di opposizione hanno aderito al Partito della Sinistra Europea, mentre contemporaneamente decidevano di cambiare nome. Al fine di cercare di intercettare nuove adesioni, soprattutto fra le nuove generazioni, decisero di chiamarsi Partito della Sinistra Bielorussa “Un mondo giusto”. Mantenevano però la vecchia sigla e anche il simbolo tradizionale della falce e martello. Inoltre continuano a considerarsi eredi di Marx e di Lenin e a definirsi come “comunisti di opposizione”[7].

Da parte sua il KPB, ha potuto operare senza le restrizioni legali che colpivano l’altro partito. In entrambi i casi, il numero degli iscritti è piuttosto basso. Nel 2008 venivano calcolati rispettivamente 6.000 iscritti per il partito pro-Lukashenko e 3.000 per quello anti-Lukashenko[8]. Inoltre molti iscritti sono anziani. D’altra parte la debolezza delle forze politiche in Bielorussia è un dato generalizzato dovuto al fatto che tutto il potere fa capo al Presidente della Repubblica, il quale può governare per decreti e nomina personalmente quasi tutta la nomenklatura, inclusi i dirigenti delle aziende statali e i circa 1.300 giudici di tutti i tribunali nazionali e locali..

Il KPB è rappresentato in Parlamento. Nelle ultime elezioni del 2019 ha ottenuto 11 seggi corrispondenti ad oltre 500.000 voti, dato che va preso con beneficio di inventario data la scarsa attendibilità dei risultati elettorali ufficiali. E’ il maggiore dei partiti che sostengono Lukashenko. La maggioranza dei parlamentari eletti risultano come indipendenti, ma sono tutti sostenitori del Presidente, il quale non ha mai voluto costituire un proprio partito politico. Da quando Lukashenko ha imposto una Costituzione che gli attribuisce tutto il potere, il Parlamento è stato sempre costituito da suoi sostenitori, tranne nella legislatura eletta nel 2014, quando è stato consentito l’accesso di due parlamentari di opposizione. Si trattava in quel momento, per il regime, di migliorare i rapporti con l’occidente.

Ai due partiti sopra richiamati, va aggiunta una terza formazione, il Partito Comunista Operaio di Bielorussia (BKRP), il quale finora non ha però avuto il riconoscimento legale. E’ stato formato nel 2009 da una minoranza del PKB che ha rifiutato il cambio di nome del partito e da militanti del KPB al quale rimprovera una politica opportunista di sostegno ad un regime borghese. Dichiara di contare su 1.500 iscritti[9].

I tre partiti comunisti hanno allineamenti internazionali diversi. Mentre il PKB di Kalyakin aderisce al Partito della Sinistra Europea e ha ottimi rapporti con la Linke tedesca, il KPB pro-Lukashenko è alleato con il PC della Federazione Russa di Zyuganov, invece il Partito Comunista Operaio è vicino all’omonimo partito russo, critico da sinistra di Zyuganov e fa parte dell’Iniziativa Europea guidata dal PC Greco.

Nella attuale crisi i tre partiti hanno posizioni contrastanti. Il PKB sostiene il movimento di opposizione e chiede nuove elezioni ma cerca di mantenere un profilo autonomo dalle forze nazional-liberali. Alcuni suoi militanti sono stati incarcerati nelle corso delle manifestazioni popolari dell’opposizione[10]. Il KPB ha avallato i dubbi risultati delle elezioni presidenziali e partecipa alle manifestazioni in favore di Lukashenko. Nonostante un dato elettorale ufficiale che gli attribuisce il 10% dei voti, i militanti presenti in piazza sono molto pochi.  Infine il BKRP, pur criticando il regime ha preso posizioni maggiormente ostili nei confronti dell’opposizione che vede come uno strumento dell’imperialismo[11].

Sono credibili i risultati delle elezioni n Bielorussia?

Il leader del PKB, Kalyakin, dopo le elezioni parlamentari del 2019, ha pubblicato un’ampia relazione nella quale vengono denunciate varie forme di manipolazione delle elezioni[12]. Oltre ad escludere abitualmente candidati di opposizione che sembrano disporre di un consenso significativo (anche attraverso arresti illegittimi), diversi sono i meccanismi, ormai pienamente rodati, con i quali è stato possibile falsificare i risultati elettorale.

L’opposizione è quasi completamente esclusa dalla formazione dei seggi, nei quali sono invece presenti sostenitori di Lukashenko. Per maggiori precauzione i presidenti di seggio sono generalmente dirigenti e capi di aziende statali che devono il loro ruolo direttamente al Presidente della Repubblica. Spesso gli altri componenti dei seggi sono dipendenti che lavorano in quelle stesse aziende e quindi altamente ricattabili dato che in Bielorussia sono previsti solo contratti di lavoro temporaneo.

La manipolazione del voto avviene soprattutto in due modi. Innanzitutto gonfiando il numero di coloro che votano anticipatamente rispetto alla domenica elettorale. Le organizzazioni che cercano di controllare la correttezza del voto hanno verificato come il numero effettivo di coloro che votano anticipatamente risulti in generale molto inferiore a quello che emerge dalle registrazione effettuate nei seggi elettorali. Analoghe valutazioni sono state avanzate anche per le elezioni presidenziali dell’agosto scorso. Quando i dati degli osservatori e quelli ufficiali coincidono la partecipazione è molto più bassa  del 40% dichiarato nazionalmente. In molti seggi, il numero dei votanti ufficiale risulta anche doppio rispetto a quello effettivamente accertato

La stessa operazione di gonfiamento del numero dei votanti viene spesso effettuata anche sul dato di  coloro che si recano al seggio. Ciò è avvenuto in modo particolare per le elezioni parlamentari dello scorso anno che hanno registrato uno scarso interesse e una limitata mobilitazione degli elettori. Per le presidenziali si è riscontrata in alcune sezioni l’operazione contraria. Avendo gonfiato il numero degli elettori che hanno votato anticipatamente, le commissioni elettorali hanno dovuto ridurre drasticamente il dato di quelli che si sono presentati di persona, per evitare che il totale risultasse molto più alto del numero degli elettori complessivi.

In generale, né ai pochi rappresentanti dell’opposizione, né agli osservatori (diversi dei quali arrestati durante le votazioni) è possibile verificare direttamente le schede votate. Difficile dire pertanto quanti siano stati i numeri effettivi, ma si può ritenere ragionevolmente che un numero consistente dei 4 milioni e 600.000 voti attribuiti a Lukashenko nelle elezioni di agosto siano fittizi e frutto di manipolazioni contabili. 

Probabilmente lo stesso meccanismo di manipolazione ha operato anche in precedenti occasioni, ma allora vi era la consapevolezza diffusa che Lukashenko godesse di un reale consenso anche per l’assenza di una vera alternativa. Nelle elezioni presidenziali di quest’anno, per effetto del degrado della situazione economica e della cattiva gestione della vicenda Covid, lo scarto fra i risultati ufficiali e il sentimento diffuso di stanchezza verso il regime è emerso con troppa evidenza per non suscitare una forte opposizione.


[1] Mark, Rudolf A., Le Parti Communiste en Bielorussie entre conformisme et lutte pour la survie politique, in Communisme. 1989-2014. En Europe. L’eternel retour des communistes (cur. Stephane Courtois e Patrick Moreau), Vendemiaire, 2014, p. 394.

[2] Mark, Rudolf A., Le Parti Communiste en Bielorussie entre conformisme et lutte pour la survie politique, in Communisme. 1989-2014. En Europe. L’eternel retour des communistes (cur. Stephane Courtois e Patrick Moreau), Vendemiaire, 2014, p. 394.

[3] Feduta, Alexander,  Boguzkij, Oleg,  Martinowitsch, Wiktor, Politische Parteien in Belarus als notwendiger Bestandteil der Zivilgesellschaft: Seminardokumentation, Friedrich Ebert Stiftung, 2003, p. 36.

[4] Maslyukov Valentin, A Report from Minsk, Monthly Review, settembre 1998.

[5] Mark, Rudolf A., Le Parti Communiste en Bielorussie entre conformisme et lutte pour la survie politique, in Communisme. 1989-2014. En Europe. L’eternel retour des communistes (cur. Stephane Courtois e Patrick Moreau), Vendemiaire, 2014, p. 394.

[6] https://naviny.by/node/37643.

[7] http://spravmir.org/2020/04/22/%d0%bb%d0%b5%d0%bd%d0%b8%d0%bd%d1%83-150/.

[8] Mark, Rudolf A., Le Parti Communiste en Bielorussie entre conformisme et lutte pour la survie politique, in Communisme. 1989-2014. En Europe. L’eternel retour des communistes (cur. Stephane Courtois e Patrick Moreau), Vendemiaire, 2014, p. 394.

[9] https://www.initiative-cwpe.org/en/news/Communist-Party-of-the-Workers-of-Belarus-00001/.

[10] https://www.giovanicomunisti.it/2020/08/25/bielorussia-quale-futuro/.

[11] https://arbejderen.dk/udland/hvideruslands-kommunister-st%C3%A5r-splittede-i-vurderingen-af-historiske-protester.

[12] http://spravmir.org/.

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