Questo testo era stato scritto per essere incluso nel mio libro Il suprematismo bianco. Alle radici dell’economia, ideologia e cultura della società occidentale, DeriveApprodi, Roma, 2023, nelle librerie entro questo febbraio. Purtroppo, per ragioni di spazio l’ho dovuto tagliare, ma ora mi sembra utile condividere queste riflessioni con i lettori di Transform! Italia. Buona lettura! ]
C’è guerra di classe, va bene, ma è la mia classe, la classe ricca, che sta facendo la guerra, e stiamo vincendo.
Warren E. Buffet
Il populismo reazionario che da ormai un decennio investe le società occidentali è in grado di attirare, oltre che i ceti più vulnerabili, anche gli elettori ricchi, in quanto il pregiudizio e l’ostilità possono essere ugualmente prevalenti tra le fasce più abbienti della popolazione. Mols e Jetten parlano di «paradosso della ricchezza»1 e sostengono che le fasce più abbienti percepiscono che i confini tra il loro gruppo e quelli socialmente inferiori (come il ceto medio) sono permeabili, e quindi si percepiscono insidiate dal pericolo di un declino della propria posizione. Cercano di rafforzare i meccanismi di legittimazione dei propri livelli di reddito e di ricchezza che giustificano che altri stiano peggio, o perfino che restino esclusi dall’accesso a fondamentali diritti e opportunità. In loro cresce il timore che la propria ricchezza si possa dissipare in un breve lasso di tempo per l’instabilità politica o per quella economica (ad esempio, a seguito dei crolli delle azioni in borsa o della crisi dell’impresa familiare), e accumulano risentimento credendo di essere colpiti dalle misure di austerità implementate dai governi più duramente degli altri gruppi.
I veri ricchi, come ha osservato Francis Scott Fitzgerald ne Il grande Gatsby, «sono diversi da te e me», perché la loro ricchezza li rende «cinici dove noi siamo fiduciosi» e li fa pensare che siano «migliori di noi». I super ricchi americani – nel 2022, tre multimiliardari, Elon Musk, Jeff Bezos e Bill Gates possedevano più ricchezza della metà inferiore della società americana, ossia di 160 milioni di americani – sono consapevoli che nel medio e lungo termine queste dinamiche sociali ed economiche così inique (basti pensare che i maschi americani più ricchi vivono 15 anni in più rispetto ai maschi americani più poveri, mentre per le donne la differenza è di 10 anni) non sono sostenibili e in molti, oltre a fare la tradizionale beneficenza filantropica, vivono nell’ansia che il paese possa insorgere contro di loro e che nel prossimo futuro possano scoppiare gravi disordini, sommosse, tensioni razziali e conflitti sociali.
I super ricchi vivono in un’atmosfera paranoica (in linea con il «paranoid style» presente nella storia della politica americana che venne denunciato dallo storico Richard Hofstadter nel 19642 ) e temono l’arrivo del collasso ambientale, di una catastrofe (come nei casi degli uragani Katrina e Irma o di un’esplosione nucleare o di una tempesta solare), di una pandemia (come il coronavirus CoVid-19), di una guerra civile, di una rivoluzione, di un hacking digitale che distrugge tutto o di un collasso del governo e delle istituzioni. Una situazione di crollo dell’apparato statale che viene chiamata wrol – without rule of law – cioè «fine dello stato di diritto»3. Per questo si preparano a sopravvivere («survivalism») rifugiandosi in bunker sotterranei con armi automatiche e provviste4 o predisponendo vie di fuga in rifugi dorati in isole sperdute o in case di lusso in Alaska e Nuova Zelanda5, un arcipelago di oltre 600 isole che ai loro occhi offre distanza e sicurezza, ma dove di recente, proprio per contenere il «caro-casa» e bloccare la «invasione» dei super ricchi americani e cinesi, il governo laburista ha bloccato la possibilità di acquistare case da parte di stranieri non residenti6.
Il loro manifesto è il libro The sovereign individual: how to survive and thrive during the collapse of the welfare state, pubblicato nel 1997 da Simon & Schuster, i cui co-autori sono James Dale Davidson, un investitore privato specializzato nel consigliare i ricchi su come trarre profitto dalle catastrofi economiche, e il defunto Lord William Rees-Mogg, a lungo direttore del Times (il cui figlio, Jacob Rees-Mogg, è deputato e ex-Ministro ultra-conservatore pro-Brexit britannico)7. Il libro-manifesto è un testo apocalittico e distopico che preconizza il collasso della civiltà occidentale basata sullo Stato-nazione, rimpiazzata da deboli confederazioni di città-Stato corporative, con la presa del potere da parte di una «élite cognitaria» globale, una classe di individui sovrani in grado di controllare enormi risorse (una sorta di neo-feudalesimo oligarchico).
Inoltre, molte delle persone più ricche della Silicon Valley (come Peter Thiel, oltre che co-fondatore di PayPal, uno dei primi investitori in Facebook e un libertario e tecno-elitista convinto8, o Serge Faguet) e di Wall Street (come Julian Robertson, guru degli hedge funds), stanno investendo a piene mani nel «business dell’immortalità» per migliorare chi è già in salute e costituire una nuova élite di super uomini potenziati in grado di controllare i propri algoritmi biochimici9, applicando a sé stessi forme di biohacking (che uniscono l’alta tecnologia dell’intelligenza artificiale, wellness, interventi anti-invecchiamento) – per cui c’è chi, come gli sviluppatori dell’intelligenza artificiale Sam Altman e Ray Kurzweil, che cerca di caricare la sua mente nei supercomputer, chi dorme su materassi elettromagnetici, fa continui esercizi fisici sotto la guida di personal trainer, segue rigide diete alimentari, si fa fare trasfusioni di cellule staminali e prende fino a 150 pillole «cognitive» al giorno. Finanziano a piene mani la ricerca nell’ingegneria genetica (modifiche del DNA e dei telomeri) e biomedica (organi artificiali), medicina rigenerativa, nanotecnologie e interfacce cervello-intelligenza artificiale.
Di recente, Facebook ha comprato per circa un miliardo di dollari Ctrl-Labs, una startup che sta studiando il modo di comunicare con i computer tramite segnali cerebrali (il pensiero) con l’obiettivo di utilizzare la tecnologia a interfaccia neurale di Ctrl-Labs per sviluppare un braccialetto «che dia alle persone il controllo dei loro dispositivi come una naturale estensione del movimento».
Inoltre, con l’avvento delle tecnologie della biologia sintetica ora i geni possono essere prodotti e modificati ripetutamente. La capacità di progettare cose viventi che questa evoluzione tecnico-scientifica fornisce rappresenta un cambiamento fondamentale nel modo in cui gli esseri umani interagiscono con la vita del pianeta, potenzialmente di maggiore impatto rispetto al sorgere dell’agricoltura o dello sfruttamento dei combustibili fossili.
Per i super-ricchi, il futuro della tecnologia riguarda solo una cosa: fuggire dal resto dell’umanità e dall’apocalisse che loro stessi stanno producendo. Cercano di accumulare abbastanza denaro per isolarsi dalla realtà terrestre devastata, elevarsi al di sopra dei comuni mortali ed approntare la propria exit strategy. Secondo un acuto storico scenarista come Yuval Noah Harari, «due processi insieme – la bioprogettazione abbinata alla crescita dell’intelligenza artificiale – potrebbero avere come conseguenza la divisione dell’umanità in una ristretta classe di superuomini e in una sconfinata sottoclasse di inutili Homo Sapiens. A peggiorare la già nefasta situazione, con la perdita di importanza economica e potere politico delle masse, lo Stato perderà gran parte dei motivi per investire in salute, educazione e welfare. È pericoloso essere superflui. Il futuro delle masse dipenderà allora dalla buona volontà di un’élite. Forse ci sarà buona volontà per alcuni decenni. Ma in un momento di crisi – nel caso per esempio di una catastrofe climatica – sarà facile essere tentati di scaricare le persone superflue»10.
Un mondo in cui l’umanità cercherebbe di percorrere la strada del dottor Frankenstein e potrebbe finire per essere divisa non più solo in diverse classi sociali, ma addirittura «in diverse caste biologiche o persino in diverse specie», con una casta superiore di entità super-intelligenti che potrebbe decidere di costruire muri o colonie spaziali su altri pianeti (Luna e Marte) per tenere fuori le masse dei «barbari» divenuti ormai irrilevanti perché la loro forza lavoro sarebbe sostituita da quella di fedeli e meno costosi robot e cyborg prodotti in serie e dotati di intelligenza artificiale, in grado di dare vita ad una «robonomics»11. Da questo punto di vista, grazie alla combinazione di bioingegneria, interfacce cervello-intelligenza artificiale e ingegneria sociale, sembra ormai a portata di mano la possibile costruzione di quel «mondo nuovo» distopico preconizzato dalle visioni fantascientifiche di grandi scrittori come Aldous Huxley, George Orwell (memorabile la sua descrizione dello Stato di sorveglianza), Isaac Asimov, Philip K. Dick, Anthony Burgess, James D. Ballard, Cormac McCarthy e dei narratori cyberpunk degli anni ’80 (William Gibson, Bruce Sterling, Pat Cadigan, Rudy Rucker e altri), oltre che di grandi registi cinematografici come Stanley Kubrick con 2001: Odissea nello Spazio, Ridley Scott con Blade Runner, Steven Spielberg con Minority Report, James Cameron con la saga Terminator, le sorelle Lana e Lilly Wachowski con The Matrix e Peter Weir con The Truman Show.
Per questo molti dei teorici dell’intelligenza artificiale – guidati dal filosofo Nick Bostrom12 – sostengono che lo scenario apparentemente fantascientifico di un’intelligenza artificiale cosciente che sfugge al controllo umano (e in effetti la storia della programmazione informatica è piena di piccoli errori che hanno scatenato catastrofi) e si impadronisce del mondo, rappresenta una minaccia esistenziale per l’umanità così enorme che è ora di prendere provvedimenti – da parte dei parlamenti, dei governi, dell’ONU e degli altri organismi internazionali – per evitare che ciò accada. Affidarsi alla super-intelligenza artificiale potrebbe essere un’enorme minaccia per la sopravvivenza dell’umanità ed è possibile che ad un certo punto la stessa comunità dell’intelligenza artificiale possa seguire l’esempio del movimento anti-nucleare degli anni ’40 del secolo scorso quando, dopo i bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki, gli scienziati si unirono per cercare di limitare ulteriori test nucleari.
Negli ultimi tre decenni, una parte rilevante degli ultraricchi americani – con i fratelli Koch, Dick e Betsy DeVos e Lynde e Harry Bradley in prima fila – ha finanziato a piene mani la filantropia di orientamento conservatore. La loro agenda è stata quella di cambiare il dibattito pubblico in modo che fosse più accomodante nei confronti della loro visione del mondo neoliberista e anarcocapitalista, contraria alla regolamentazione della finanza, al miglioramento del salario minimo, ai controlli sulle industrie inquinanti e alla creazione di un’assistenza sanitaria universale. Finanziano accademici che negano il cambiamento climatico o propugnano un «nazionalismo climatico» (ponendo l’accento sul pericolo che il cambiamento climatico pone agli interessi nazionali), sostengono think-tanks del libero mercato, stringono alleanze con gruppi religiosi conservatori, finanziano stazioni televisive e radio populiste e creano «istituti aziendali» all’interno delle università, che consentono loro, non ai consigli universitari, di selezionare gli accademici.
Allo stesso tempo, c’è anche un altro crescente segmento «illuminato» di ultraricchi americani – guidato da Bill e Melinda Gates e da George Soros – che promuove l’idea di cambiamento sociale e che aspira a guidarlo. Vogliono essere adulati, si aspettano di essere elogiati come eroici creatori di posti di lavoro e come esempi di uomini d’affari innovativi e moralmente integri e responsabili che non hanno beneficiato di un «sistema truccato». La maggior parte dei miliardari, ha affermato Zuckerberg, sono semplicemente «persone che fanno cose veramente buone e che aiutano un sacco di altre persone; e per questo sono ben ricompensati».
Molti di questi ultraricchi si ritengono altruisti e sostengono finanziariamente movimenti sociali iniziati da altri che cercano di cambiare aspetti specifici della società. Più spesso, avviano nuove iniziative autonome gestite non in modo democratico, e che non riflettono realmente la ricerca di soluzioni collettive o universali, ma piuttosto privilegiano l’uso del settore privato e delle sue appendici universitarie, di comunicazione e istituzionali/fondazionali filantropiche, nate principalmente per eludere le tasse e mantenere il controllo delle corporations che accumulano ricchezza. Sostengono che la soluzione ai problemi del mondo attuale – prevenire il riscaldamento globale, promuovere la diversità e l’inclusione, eliminare la povertà, prepararsi alle nuove pandemie – debba essere trovata nel mercato privato, nelle tecnologie sviluppate dalle imprese e nell’azione volontaria gestita in modo imprenditoriale, non nella vita politica pubblica, nella democrazia partecipativa, nell’azione di governanti eletti e responsabili nei confronti di cittadini/elettori, nella legge, nell’intervento redistributivo e regolativo statale13. Il magnate del computer Michael Dell, la 39esima persona più ricca al mondo, ad esempio, a Davos 2019 ha affermato che: «Mi sento molto più a mio agio con la nostra capacità […] di allocare quei fondi rispetto che a darli al governo».
Sono convinti che la tassazione tolga la libertà di scegliere di essere dei benefattori virtuosi e che gli strumenti, le mentalità e i valori che li hanno aiutati ad essere dei vincenti, siano il segreto per rimediare alle ingiustizie sociali. Per cui, paradossalmente, coloro che con metodi predatori e spesso monopolistici (o semplicemente per avere ereditato giganteschi patrimoni finanziari dai loro padri o nonni) sono tra i maggiori beneficiari dell’attuale sistema economico, ma anche tra i maggiori responsabili delle crescenti disuguaglianze sociali, si mobilitano per difendere le loro rendite di posizione, mentre pretendono di presentarsi come salvatori dell’umanità da un’epoca di disuguaglianze e catastrofe ambientale. Dei riformatori che vogliono «cambiare il mondo per renderlo un posto migliore».
Ma, nel migliore dei casi, questi paladini del «filantrocapitalismo» cercano di curare i sintomi, non di affrontare le cause profonde del disagio sociale. La filantropia è la disposizione dell’animo a iniziative umanitarie che si traduce in attività dirette a realizzarle, mentre il filantropo è senza dubbio una persona generosa che aiuta il prossimo, ma è altresì una persona molto ricca che usa una parte del suo cospicuo patrimonio per iniziative caritatevoli. Sentimento e carità, non diritti.
Attraverso la filantropia gli ultraricchi migliorano la propria immagine pubblica e condizionano il dibattito pubblico, spostando l’attenzione da soluzioni politicamente più radicali che potrebbero risolvere i problemi per tutti, ma metterebbero in discussione le basi e la legittimità della loro enorme ricchezza. Finanziano progetti per nutrire gli affamati, creare posti di lavoro per «soggetti deboli», costruire alloggi di housing sociale e migliorare i servizi, ma tutto questo lavoro a fin di bene può essere spazzato via da tagli alla spesa pubblica, prestiti predatori o bassi livelli di retribuzione. Essendo le persone che più hanno da perdere da un vero cambiamento sociale, di fatto, per loro la società dovrebbe essere cambiata secondo modalità che non cambiano il sistema economico sottostante che ha permesso loro di essere dei vincitori ma, allo stesso tempo, ha favorito l’acuirsi di molti problemi sociali, economici ed ambientali che essi ora vorrebbero cercare di risolvere con la beneficenza.
Un’operazione «gattopardesca», una sorta di «smokescreen», di cortina fumogena di autodifesa conservatrice in linea con l’affermazione «se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi» dell’aristocratico Tancredi Falconeri nel romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Così ci sono i finanzieri di Goldman Sachs e BlackRock che cercano di cambiare il mondo attraverso iniziative «win-win» (soluzioni vantaggiose per tutti) come i «green bonds», l’investimento ESG (ossia attento alle politiche aziendali in campo ambientale, sociale e della governance), l’«impact investing» nei «purpose-driven brands» (portafogli basati su attività che curano l’ambiente e portano benefici per la società), il «social venture capital» e il miglioramento della qualità della governance. Oppure, aziende tecnologiche come Uber e Airbnb che si dipingono come strumenti che danno potere ai poveri, consentendo loro di fare gli autisti o di affittare stanze delle loro case ai turisti, ma operano per deregolamentare i settori dei taxi e dell’accoglienza turistica, erodere i diritti dei lavoratori e aumentare il controllo delle corporations su privacy e dati delle persone. O finanzieri che cercano di convincere il mondo dell’associazionismo sociale che la ricerca di una maggiore uguaglianza debba essere perseguita accettando posti nei consigli di amministrazione e posizioni di leadership. Ancora, grandi corporations costruite e gestite in modi discutibili che si dichiarano impegnate nel perseguire la responsabilità sociale d’impresa e lo «stakeholder capitalism», tenendo conto del benessere dei consumatori, dei dipendenti, dei fornitori, della comunità in cui opera l’impresa. D’altra parte, sappiamo che i consumatori tendono a premiare le imprese che appaiono eticamente responsabili, oppure possono causare danni seri attraverso i boicottaggi, coordinati sui social media, a quelle che violano apertamente i princìpi di equità e correttezza.
Ma, qualunque sia il bene che questi ultraricchi e le global corporations che essi controllano potrebbero fare, l’instancabile spinta verso l’efficienza, la sistematica distruzione del potere dei sindacati, la massimizzazione del valore per gli azionisti, l’avvelenamento dell’ambiente naturale e l’evasione o elusione delle tasse (non pagano la loro giusta quota anche grazie agli incentivi fiscali per le donazioni filantropiche) minano la qualità e le basi stesse dello Stato democratico, privando necessariamente la maggior parte delle persone della loro dignità, del loro potere sociale e politico, della loro voce, dei loro diritti e della possibilità di incidere sullo stato reale delle cose, migliorando l’istruzione e l’assistenza sanitaria universale e riducendo la povertà e i disagio abitativo. Il presidente Theodore Roosevelt dava un duro giudizio dei ricchi filantropi come John D. Rockefeller, esponente di spicco della generazione dei robber barons cinici costruttori dei grandi imperi monopolistici del capitalismo americano convertitosi alla filantropia industriale, sostenendo che «nessuna quantità di beneficenza nello spendere tali fortune può in alcun modo compensare la cattiva condotta nell’acquisirle». La risposta di Roosevelt ai robber barons era di applicare delle norme antitrust e di tassare la ricchezza. Un’imposta federale sui redditi venne introdotta nel 1913, la tassa di successione fu emanata nel 1916 e l’imposta sulle plusvalenze nel 192214.
Thomas Paine (1737–1809), un rivoluzionario, politico intellettuale, filosofo illuminista e studioso britannico, estensore de I diritti dell’uomo (1791) e dell’opuscolo di 47 pagine Common Sense contro i «ruffiani incoronati» che divenne virale nelle colonie americane quando fu pubblicato nel gennaio 1776, viene considerato uno dei «padri fondatori» degli Stati Uniti d’America e riteneva che la ricchezza estrema dovesse essere tassata perché mina l’uguaglianza essenziale per il funzionamento del governo repubblicano. Il giovane storico olandese Rutger Bregman ha suscitato scandalo per aver detto al meeting di Davos 2019 che «il re è nudo», che la volontà degli ultraricchi del «club dei globalisti» di impiegare parte delle loro ricchezze nelle fondazioni filantropiche, piuttosto che vederla spesa da uno Stato legittimo, è una forma di anarchismo e una «cazzata»: «sento persone che parlano il linguaggio della partecipazione, della giustizia, dell’uguaglianza e della trasparenza, ma nessuno solleva il vero problema dell’elusione fiscale e dei ricchi che semplicemente non pagano la loro giusta quota»15. Se nel mondo vigesse un’equa distribuzione delle risorse non ci sarebbe tanto spazio per la filantropia, perché non ci sarebbero più i pochi plutocrati o oligarchi che detengono più della metà delle risorse del pianeta.
D’altra parte, negli Stati Uniti, il paese dove le statistiche mostrano che la filantropia è più diffusa e massiccia, appena un quinto del denaro donato dai grandi donatori va ai poveri. Molto va alle arti, alle squadre sportive e ad altre attività culturali, e la metà va all’istruzione e all’assistenza sanitaria. Le donazioni più grandi nel settore dell’istruzione nel 2019, però, sono andate alle università e alle scuole d’élite frequentate dagli stessi ricchi.
Gli ultra ricchi filantropi dicono di volere una società più giusta, ma non sono disponibili a discutere su quali debbano essere gli strumenti realmente necessari, come se ad una conferenza dei vigili del fuoco «nessuno avesse il permesso di parlare dell’acqua», ha affermato Bregman. Apple, Google, Amazon e tante altre aziende come loro e anche i loro azionisti pretendono di essere considerati dei soggetti socialmente responsabili, ma il primo elemento della responsabilità sociale dovrebbe essere quello di pagare una giusta quota di tasse.
Amazon ha realizzato un profitto di 11,2 miliardi di dollari nel 2018, ma non ha pagato alcuna imposta federale per il secondo anno consecutivo, a causa di vari «crediti d’imposta» non specificati e il tax break per le stock options dei suoi amministratori. Lo stesso è successo per Netflix (un profitto di 845 milioni e zero tasse federali o statali pagate). Il numero di aziende che hanno pagato zero imposte societarie è raddoppiato nel 2018 per effetto della riforma fiscale di Trump del 2017 e tra queste c’erano, oltre Amazon e Netflix, anche altre delle più redditizie corporations (60 delle Fortune 500): Delta Airlines, Chevron, General Motors, EOG Resources, Duke Energy, Occidental Petroleum, Dominion Energy, Honeywell, Deere & Co, American Electric Power, Hulliburton, IBM, Saleforce. Zero tasse per un totale di utili pari a 79 miliardi di dollari nel 2018.
Amazon ha anche costretto Seattle, la sua città natale, a fare marcia indietro su un piano volto a tassare le grandi corporations per finanziare un programma di edilizia popolare per i senzatetto e per una popolazione in crescita che non può permettersi gli altissimi affitti causati in parte dalla stessa Amazon.
Se tutti evitassero e evadessero le tasse come queste società – che, grazie alle catene del valore e all’esercizio dei diritti di proprietà intellettuale hanno di fatto reso inapplicabile il sistema del cosiddetto transfer pricing basato sul principio che le tasse si pagano dove si svolge un’attività economica – la società e lo Stato non potrebbero funzionare, né tanto meno fare quegli investimenti pubblici che hanno portato a Internet, da cui le stesse Google, Apple, Facebook, Amazon e Microsoft dipendono.
Alessandro Scassellati
- F. Mols e J. Jetten, The wealth paradox. Economic prosperity and the hardening of attitudes, Cambridge University Press, Cambridge 2017. [↩]
- R. Hofstadter, The paranoid style in American politics and other essays, Alfred A. Knopf, New York, NY, 1964, https://harpers.org/archive/1964/11/the-paranoid-style-in-american-politics/.[↩]
- Sul significato del termine wrol vedi qui: https://www.dictionary.com/e/acronyms/wrol/.[↩]
- Sul survivalism vedi qui: https://en.wikipedia.org/wiki/Survivalism. J. Turkewitz, A boom time for the bunker business and doomsday capitalists, «The New York Times», 13 August 2019, https://www.nytimes.com/2019/08/13/us/apocalypse-doomsday-capitalists.html.[↩]
- D. Rushkoff, Survival of the richest. Escape fantasies of the tech billionaires, Scribe Publications, London, 2022; The super-rich ‘preppers’ planning to save themselves from the apocalypse, «The Guardian», 4 September 2022, https://www.theguardian.com/news/2022/sep/04/super-rich-prepper-bunkers-apocalypse-survival-richest-rushkoff. M. O’Connell, Why Silicon Valley billionaires are prepping for the apocalypse in New Zealand, «The Guardian», 15 February 2018, https://www.theguardian.com/news/2018/feb/15/why-silicon-valley-billionaires-are-prepping-for-the-apocalypse-in-new-zealand.[↩]
- Il miliardario americano Peter Thiel, co-fondatore di PayPal, ha ottenuto la cittadinanza neozelandese nel 2011, nonostante avesse trascorso solo 12 giorni nel paese. Il percorso abituale per ottenere la cittadinanza richiede che i richiedenti rimangano nel paese come residenti permanenti per almeno 1.350 giorni in cinque anni, ma nel caso di Thiel il governo ha rinunciato all’obbligo sulla base delle sue attività imprenditoriali e filantropiche. Comunque, i piani di Thiel per realizzare un elaborato rifugio simile a un bunker in riva al lago a Wanaka, in una regione alpina dell’Isola del Sud della Nuova Zelanda nota per la sua bellezza naturale e l’isolamento, sono stati vanificati, dopo che il consiglio distrettuale di Queenstown-Lakes ha deciso che il complesso avrebbe avuto un impatto negativo troppo grande sul paesaggio circostante. Thiel voleva costruire «una serie di edifici autonomi, tra cui un rifugio per l’alloggio dei visitatori per un massimo di 24 ospiti, un edificio per il proprietario, insieme agli edifici di gestione del rifugio associati alle infrastrutture, alla gestione del paesaggio, ai giochi d’acqua e allo spazio di meditazione». T. McLure, Billionaire Peter Thiel refused consent for sprawling lodge in New Zealand, «The Guardian», 18 August 2022, https://www.theguardian.com/technology/2022/aug/18/peter-thiel-refused-consent-for-sprawling-lodge-in-new-zealand-local-council.[↩]
- G. Kaza, The Sovereign individual (How to survive and thrive during the collapse of the welfare state) by James Dale Davidson and Lord William Rees-Mogg, «Foundation for Economic Education», 1 February 1998, https://fee.org/articles/the-sovereign-individual-how-to-survive-and-thrive-during-the-collapse-of-the-welfare-state-by-james-dale-davidson-and-lord-william-rees-mogg/. Sulla figura di Lord William Rees-Mogg vedi qui: https://en.wikipedia.org/wiki/William_Rees-Mogg. Sulla figura del politico conservatore Jacob Rees-Mogg vedi qui: https://en.wikipedia.org/wiki/Jacob_Rees-Mogg.[↩]
- Thiel, un «disgregatore» della Silicon Valley che ha contribuito a fondare PayPal insieme a Elon Musk e ha fatto fortuna come uno dei primi investitori in Facebook, è fautore di una visione antidemocratica, si oppone a qualsiasi livello di redistribuzione della ricchezza delle persone ricche come lui a chiunque altro ed è fortemente ostile alla Cina. In passato, Thiel ha dichiarato: «Non credo più che libertà e democrazia siano compatibili» e si è anche lamentato dell’estensione del diritto di voto alle donne e alle minoranze: «Dal 1920, il vasto aumento dei beneficiari del welfare e l’estensione del diritto alle donne – due gruppi notoriamente difficili per i libertari – hanno reso la nozione di ‘democrazia capitalista’ un ossimoro» (R. Thiel, The education of a libertarian, «Cato Unbound», 13 April 2009, https://www.cato-unbound.org/2009/04/13/peter-thiel/education-libertarian/. Recentemente, Thiel è emerso come una figura sempre più potente e controversa nella politica statunitense, usando la sua fortuna per pompare decine di milioni (almeno 30) nelle campagne di candidati allineati all’agenda di Donald Trump nelle elezioni di midterm del 2022. A. Gumbel, Peter Thiel’s midterm bet: the billionaire seeking to disrupt America’s democracy, «The Guardian», 16 October 2022, https://www.theguardian.com/technology/2022/oct/15/peter-thiel-who-is-he-republican-donor-tech-entrepreneur; A. Shephard, Peter Thiel’s handpicked candidates are train wrecks, «The New Republic», 8 September 2022, https://newrepublic.com/article/167687/peter-thiel-vance-masters-midterms 1.[↩]
- Su questo tema si vedano i libri di Y. N. Harari, 21 lezioni per il XXI secolo, Bompiani, Milano 2018 e Homo deus. Breve storia del futuro, Bompiani, Milano 2017, e l’articolo di S. Marsh, Extreme biohacking: the tech guru who spent $250,000 trying to live for ever, «The Guardian», 21 September 2018, https://www.theguardian.com/science/2018/sep/21/extreme-biohacking-tech-guru-who-spent-250000-trying-to-live-for-ever-serge-faguet.[↩]
- Harari, ivi, 2018, pp. 122-123.[↩]
- . Crews, Robonomics. Prepare today for the jobless economy of tomorrow, «CreateSpace Independent», 2016. Si veda anche: Rosso R., Energia e informazione, lavoro, vita e società, «Transform! Italia», 7 settembre 2022, https://transform-italia.it/energia-e-informazione-lavoro-vita-e-societa/#footnote_0_25742.[↩]
- N. Bostrom, Superintelligence. Paths, dangers, strategies, Oxford University Press, Oxford 2014.
[↩]
- Cfr. Institute for Policy Studies’ (IPS) Gilded giving 2022: How wealth inequality distorts philanthropy and imperils democracy, https://ips-dc.org/report-gilded-giving-2022/.[↩]
- I «robber barons» della cosiddetta Gilded Age (Età Dorata) di oltre un secolo fa (tra il 1895 e il 1905), erano magnati della finanza, acciaio, carbone, petrolio e ferrovie come J.P. Morgan, Cornelius e William H. Vanderbilt, Andrew Carnegie, Edward Harriman, Andrew Mellon, Henry Clay Frick o John D. Rockefeller, che con la Standard Oil Company (l’attuale Exxon/Mobil) allora controllava circa il 90% della raffinazione del petrolio americano. Costruirono monopoli che vennero combattuti dal movimento operaio/sindacale e populista e dal People’s Party (1892), nato in seguito alla depressione agraria, e da un gruppo di giornalisti investigativi (i cosiddetti muckrakers), come Ida Tarbell, Lincoln Steffens e Upton Sinclair (ispirati da Jack London), ma anche da un grande sociologo come Thorstein Veblen (The theory of the leisure class del 1899 e The theory of business enterprise del 1904) durante quella che gli americani chiamano «the Progressive Era», per essere poi in parte smembrati negli anni 1910 dall’applicazione della legge antitrust (Clayton Act del 1914) e delle decisioni della Corte Suprema durante le amministrazioni di Theodore Roosevelt e di William Howard Taft. Il forte movimento politico in favore di una maggiore equità portò anche all’approvazione di leggi che regolavano il lavoro, la produzione industriale, il sistema bancario/finanziario, insieme ad un’imposta federale sui redditi nel 1913 e a una tassa sulle successioni nel 1916.[↩]
- L. Elliott, ‘This is about saving capitalism’: the Dutch historian who savaged Davos elite, «The Guardian», 1 February 2019, https://www.theguardian.com/business/2019/feb/01/rutger-bregman-world-economic-forum-davos-speech-tax-billionaires-capitalism. Vedi il video del suo intervento qui: https://twitter.com/nowthisnews/status/1090045108064579584.[↩]
1 Commento. Nuovo commento
Ho appena letto “Il mondo paranoico e classista dei super-ricchi” senza respirare e senza fermarmi un attimo. Ho trovato che l’articolo è una messa a fuoco della questione lucida e senza fronzoli inutili. L’argomento – non nuovo – è sempre stato trattato in precedenza, involontariamente o intenzionalmente, in modo tale da non permettere una visione d’insieme utile a esprimere un giudizio compiuto. Aspetto con ansia il libro !!!