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Il Medicare-for-All di Warren: specifico ma troppo “socialista”?

di Domenico
Maceri

di Domenico Maceri

“Lo sta inventando tutto. È impossibile”. Questa la reazione di Joe Biden mentre commentava in un’intervista alla Pbs (Public Broadcasting Service) il piano di Medicare-for-All di Elizabeth Warren, la quale ha recentemente lanciato il programma in tutti i suoi dettagli. L’ex vicepresidente e altri candidati alla nomination del Partito Democratico avevano aspramente criticato la Warren all’ultimo dibattito. La senatrice del Massachusetts era stata attaccata per mancanza di trasparenza nel suo programma.

I dettagli svelati da Warren, però, non hanno messo a tacere le critiche. Infatti, la specificità del programma ha magnificato i dubbi, concentrando l’attenzione sulla senatrice del Massachusetts che in parecchi sondaggi nazionali e statali si è conquistata il titolo di frontrunner per la nomination democratica.

Il piano della Warren offrirebbe copertura sanitaria a tutti gli americani, usando un approccio già noto in Canada e parecchi Paesi occidentali, dove il governo ha un ruolo fondamentale nella sanità. L’assicurazione privata, secondo Warren, verrebbe eliminata in un periodo di transizione di 5 anni, sostituendola con un programma nazionale. Verrebbero eliminati i ticket e il piano include anche copertura dentale e sanità mentale che non fanno parte del Medicare attuale per gli over 65. La Warren eliminerebbe le grandi disuguaglianze sanitarie che al momento esistono fra ricchi e poveri che influiscono negativamente sulle cure mediche. Va ricordato che il 40 percento degli americani spesso salta test medici a causa degli alti costi e il 32 percento non prende alcune medicine per le spese eccessive.

Uno degli attacchi più severi al concetto di Medicare-for-All ha ovviamente a che fare con i costi. Il piano della Warren prevede una spesa addizionale di 20mila miliardi di dollari in 10 anni, cifra molto vicina a quella citata dall’Urban Institute, un think tank basato a Washington, D. C., con tendenze liberal. La cifra totale appare quasi incomprensibile e forse anche spaventosa. La Warren ci spiega però che i fondi per offrire sanità universale verrebbero in parte da aumenti alle tasse ai benestanti ma anche a un consolidamento delle risorse attuali, da risparmi, e anche da una ristrutturazione dell’assicurazione privata offerta dalle aziende ai loro dipendenti. La Warren non aumenterebbe le tasse alla classe media come farebbe invece Bernie Sanders, il quale ha un programma di sanità simile che prevede un aumento fiscale del 4 percento alle famiglie con reddito superiore ai 29mila dollari annui.

Le tasse verrebbero aumentate del 6 percento ai miliardari e grandi corporation, che significherebbero un totale di 6mila miliardi di dollari. Altri 2mila miliardi verrebbero aggiunti da un rigoroso controllo che l’IRS, il fisco americano, metterebbe in atto poiché la Warren aumenterebbe il numero di agenti, che con Trump sono stati ridotti. Un’altra tassa del 6 percento sulla patrimoniale verrebbe imposta a coloro in possesso di beni valutati a un miliardo di dollari o più mentre coloro con meno di un miliardo e più di cinquanta milioni vedrebbero le loro tasse aumentate del 2 percento. Tasse verrebbero anche imposte alle transazioni finanziarie in borsa. Le corporation che cercherebbero di trasferire i loro profitti all’estero verrebbero severamente controllate. Il piano della Warren include anche tagli alle spese militari.

Una tassa verrebbe imposta anche alle aziende che al momento offrono assicurazione ai loro dipendenti per un costo di 9mila miliardi. La cifra dipende da quello che queste aziende pagano al momento per la copertura dei loro dipendenti. Le spese dei governi locali e statali (Medicaid) per la sanità, 6mila miliardi, continuerebbero ma verrebbero integrate al programma nazionale. La Warren otterrebbe anche risparmi mediante la negoziazione con le aziende di farmaceutici e anche con gli ospedali e medici. Si otterrebbero anche risparmi dai servizi burocratici che con le aziende di assicurazione attuali usano il 16 percento della spesa totale per la sanità mentre con il programma di Medicare si spende solo il 4 percento.

Gli Stati Uniti spendono 11mila dollari a persona per la copertura sanitaria, il doppio di Paesi industrializzati, secondo una ricerca del Journal of the American Medical Association. Il piano sul Medicare della Warren apporterebbe gli Stati Uniti vicinissimi agli altri Paesi industrializzati e offrirebbe copertura universale anche ai milioni che al momento fanno senza. D’altra parte l’ambiziosità e la specificità del piano offrirà facili bersagli agli attacchi non solo dai candidati centristi come Biden e Pete Buttigieg, i due principali avversari di Warren al momento. Gli attacchi diventerebbero più feroci dalle aziende di assicurazione che perderebbero il loro business e i loro profitti.

I centristi del Partito Democratico come Biden e Buttigieg preferiscono un sistema sanitario che faccia progressi senza però eliminare la aziende private di assicurazione. Anche Nancy Pelosi, l’efficace ma prudente speaker della Camera, si è dichiarata poco favorevole al Medicare-for-All. La Warren, però, ha capito che nelle elezioni primarie bisogna cercare di “sedurre” gli elettori del Partito Democratico e lei si sta concentrando su di loro. Il fatto che lei abbia avuto il coraggio di fornire dettagli sul suo piano sanitario vuol dire che non è solamente la prima della classe nei sondaggi ma anche nella trasparenza. Biden e Buttigieg hanno attaccato Warren ma loro non hanno ancora fornito dettagli sui loro piani eccetto per il loro tentativo di non virare troppo a sinistra e spaventare gli elettori. Warren però non sembra avere paura. La sua sfida non è stata lanciata solo agli elettori democratici ma anche a tutti gli americani. Si tratta di una sfida già intrapresa da Sanders della quale lei si è impossessata. Nell’elezione del 2016 il senatore del Vermont perse la nomination a Hillary Clinton, una centrista, la quale poi è stata sconfitta da Trump con l’Electoral College, nonostante il fatto che l’ex first lady abbia vinto 3 milioni di voti in più. Forse questa volta i democratici dovrebbero cambiare rotta e nominare un candidato di “sinistra”?

* Domenico Maceri, PhD, è professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California. Alcuni dei suoi articoli hanno vinto premi della  National Association of Hispanic Publications.

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