editoriali

Il lavoro ripudia la guerra

di Roberto
Musacchio

Visitando il museo del Risorgimento a Torino mi hanno colpito nella stanza degli stendardi due che erano vicini tra loro con le scritte, su fondo rosso, “guerra alla guerra” e “proletari di tutto il mondo unitevi”. In una Storia fatta di “ardori bellici”, nazionalismi, diplomazie cavouriane, aristocrazie e borghesie nascenti, sul crinale della “grande guerra” il profilarsi del quarto Stato porta con sé un modo di pensare rivoluzionario. C’è un’altra lotta, quella dei proletari, c’è la Rivoluzione e non le guerre in cui i proletari sono carne da cannone. Le guerre di trincea che ci sono ancora oggi. Vedevo in televisione il servizio dell’inviata al seguito delle truppe ucraine al fronte mostrare le immagini dei droni che colpiscono fin sotto terra e si uccide e si muore con vampate di calore sui monitor a indicare dove ci sono corpi maciullati. Si muore sotto i bombardamenti a Gaza con i corpi nelle fosse comuni sotto le rovine di un ospedale.

Ci sono i dominanti che, da sempre, usano per le guerre i corpi dei dominati.

Per questo i proletari dichiarano guerra alla guerra. E riescono, al termine della più grande, a fare scrivere nella Costituzione tra le più belle che l’Italia, fondata sul lavoro, ripudia la guerra.

Purtroppo non è oggi così. Basta pensare a come l’Italia partecipi da tempo a tutte le nuove guerre, insieme alla NATO, che non si capisce perché debba continuare ad esistere finito il patto di Varsavia per altro fondato dopo, alla UE, ormai il contrario di ciò che la fece nascere e cioè il mai più guerre, o alle varie coalizioni di volontari (della morte). E basta pensare alla produzione di armi in cui il belpaese “eccelle” con crocicchi di funzionario del dominio che si ritrovano in tolda “a prescindere” dal loro presunto colore politico. Cose di cui sta diventando pericoloso anche parlare. Così come ormai il maccartismo approda dai giornali alle aule del PE impegnato nella caccia ai putiniani come non avessero mai visto un film USA sulle cacce alle streghe comuniste. Scrivo e penso al coraggio che avrei dovuto avere io, che contro Putin allora loro amico andai a San Pietroburgo, a votare contro, quasi da solo, contro le loro grida maccartiste.

Beato quel Mondo che non ha bisogno di eroi.

Gli eroi non sono solo Garibaldi, troppo facile, ma i mille. Il soldato di Brecht. E l’operaio che si rifiuta di costruire armi. In un Mondo, in una UE, in cui fare armi, venderle, usarle, farne di più è la scelta dominante dei dominanti, ci sono eroi che dicono di no. I disertori della produzione di armi e della guerra. La cifra raggiunta dalla spesa per le armi è la più alta di sempre, ginormica come dice mia nipote di cose smisurate, e cresce a ritmi spaventosi. Negli USA ispira col complesso militare industriale la “politica”. In Italia fa tanti profitti ma molto meno lavoro come dicono i dati che mostrano i più e i meno. Nella UE Letta e Draghi propongono di fare come gli USA un proprio complesso militare industriale mentre Von Der Leyen preferisce andare per acquisti dalle multinazionali, come per i vaccini. Qui sta la scelta tra lei e Draghi. E io dico che entrambe vanno “buttate a mare”. La scelta di questo primo maggio che proponiamo è quella del lavoro che ripudia la guerra e le armi. Ricordiamo gli operai contro le mine anti uomo che producevano, e si ribellarono. Ricordo Gianni Alasia, torinese, partigiano e comunista, che fino all’ultimo proponeva con passione indomita progetti di conversione della Alenia dal militare al sanitario. Mi telefonava, mi mandava studi. Coinvolgeva tutti. Partigiano di una Costituzione fondata sul lavoro e che ripudia la guerra che oggi i dominanti calpestano. E che noi dobbiamo fare tornare a vivere. Viva il primo maggio dei proletari uniti contro la guerra.

Roberto Musacchio

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