Il genocidio di re Leopoldo II [1] Lo stato libero del Congo
Il colonialismo bianco in Africa fu un prolungato e feroce crimine contro l’umanità che l’occidente si rifiuta a tutt’oggi di riconoscere, anche perché è consapevole che il conto da pagare sarà salatissimo. Per questo preferisce descriverlo come la penetrazione sostanzialmente pacifica di una civiltà evoluta in un continente per il quale non si poteva parlare in senso stretto di civiltà e che dalla contaminazione e competizione con i bianchi avrebbe avuto tutto da guadagnare, Una descrizione idilliaca che si accorda ben poco con la resistenza strenua e accanita che popoli, nazioni e stati africani opposero all’occupazione bianca e con gli oltre duecento conflitti, diversi dei quali della durata di decenni, che opposero gli africani ai colonizzatori bianchi. Nell’intenzione dell’occupante la colonizzazione avrebbe dovuto durare un’intera epoca storica e addirittura non conoscere limiti temporali nelle colonie di popolamento bianco- il Kenya, la Rodesia il Sudafrica, l’Algeria.
Di barbarità ed efferatezze si macchiarono tutte le nazioni civili: Francia, Gran Bretagna, Germania, Italia, Portogallo, eppure il primato di barbarie potrebbe toccare al piccolo Belgio per quanto fatto in Congo al tempo dello Stato libero del Congo, che poi era una colonia privata del re Leopoldo II del Belgio
Durante i 24 anni di assoluto dominio di Leopoldo, re del Belgio e padrone del Congo quel paese, subì uno sterminio di popolazione calcolabile in dieci milioni di persone: circa il 50% della popolazione totale. Il re era grande appassionato di geografia, passione innocente e nobile e persino utile all’umanità, ma che in una testa malata può preludere a conseguenze devastanti. Leopoldo II dopo aver messo fortunosamente le mani su due milioni e mezzo di chilometri quadrati del bacino del Congo, pensava di andare a conquistare l’Egitto e il Nilo con il suo esercito congolese; poi di spostarlo a Creta, dove c’erano stati dei tumulti di cui intendeva profittare; e di affittare le Isole Canarie dalla Spagna, impero decadente e senza soldi; e sempre dalla Spagna comprare le Isole Caroline, sperse in fondo al Pacifico e, già che c’era, prendere in affitto anche l’Uganda dall’Inghilterra. Intenzioni che non teneva per sé ma, che andava proponendo all’uno o all’altro dei suoi parenti coronati: la regina Vittoria o il Kaiser Guglielmo II che, non avendo la sua prospettiva geografica, s’incaponiva per avanzare un paio di chilometri al di là del Reno o della Mosa. Tanto per dire con chi abbiamo a che fare.
Raccontare una tragedia umana come quella del Congo è difficile e complicato e anche le cifre impressionanti del massacro sono sbalorditive al punto da sembrare incredibili. Dieci milioni di persone su una popolazione di venti furono sterminate nello spazio di ventiquattro anni tra il 1885 e il 1908 nel Libero Stato del Congo. Poi il massacro continuò in quella che era diventato Congo Belga, ma su ritmi più blandi anche perché gli elefanti si erano quasi esauriti e la gomma sintetica andava sostituendo quella naturale: non certo perché i bianchi fossero diventati più buoni.
L’uomo o la donna bianchi che leggono queste righe sono anche autorizzati a dire: non è possibile che si sia verificata una tragedia di quelle dimensioni. Io non ne ha mai saputo niente e poi, dieci milioni di persone sono quasi il doppio delle vittime dell’Olocausto! Come è possibile che con le mie letture, le mie conoscenze, non me ne sia mai arrivato all’orecchio il minimo sospetto? E poi, e poi… Non sarà una cifra esagerata, gonfiata? Come si è potuto stabilire quella cifra in un paese dove non c’era anagrafe e dove il primo censimento è stato fatto nel 1924, contando dieci milioni di persone? Come si fa a dire che quei dieci milioni erano la metà di quelli che erano stati quarant’anni prima quando i belgi – con alla testa Stanley, il famoso giornalista ed esploratore, chaperon e complice di re Leopoldo– avevano messo i loro battelli sul fiume Congo? Il dubbio è sacrosanto e il lettore può anche essere smarrito visto che esistono voci contrarie e non sono molti anni che un gruppo ben assortito di belgi ha pubblicato Le Congo au temps des Belges (1885-1916) a dimostrazione che l’opera dei belgi in Congo è stata denigrata e che bisognerebbe far conoscere il lato positivo della loro azione benefica.[2]
Gli studi demografici possono dire molto e il Congo è stato oggetto di studi si può dire villaggio per villaggio nei diversi periodi storici. Si sono studiati i crolli della popolazione contestuale al periodo di massimo sfruttamento del caoutchou in una determinata area, il dimezzamento della popolazione maschile in concomitanza della medesima campagna.
Uno degli aspetti del genocidio è l’attentato alla procreazione. Ricerche e interviste fatte anche a distanza dello sterminio bianco hanno dimostrato che in quel periodo le donne evitavano per quanto possibile di restare incinte, sia pure con sistemi primitivi di controllo della natalità: il motivo era che quando tutto il villaggio doveva fuggire nella foresta e nelle paludi per mettersi al riparo delle razzie, la donna incinta diventava un peso e un pericolo; e ancora più pericoloso era il pianto di neonati e i bambini piccoli che metteva a rischio tutto il gruppo fuggitivo: bisognava abbandonarli nel villaggio alla mercé dei banditi della Force publique. A quelle condizioni nessuna madre vuole fare dei figli.
Uomini, donne e bambini morirono come mosche, fino a determinare quel crollo demografico di cui abbiano detto, per diversi motivi. Perché venivano assassinati. Per malattia. Per fame, mancanza di riparo, sete e carestia.
E’ difficile spiegare perché un sistema capitalistico arriva a fare stragi della forza lavoro da cui ricava il profitto, ma le condizioni particolari del sistema capitalistico instaurato in Congo possono aiutarci a capirlo.
In quella fase storica in cui il re geografo mise gli occhi sul bacino del Congo era cominciato l’assalto all’Africa delle potenze coloniali. L’area, pur enorme, era di difficile sfruttamento, anche perché i secoli della tratta degli schiavi per mano soprattutto portoghese aveva fatto implodere quelle strutture centralizzate (regni, imperi, federazioni) su cui s’innestarono altre amministrazioni coloniali. Nessuna delle grandi o piccole potenze aveva l’Africa centrale in cima alla propria agenda espansionistica, anche perché tutti quanti eranoimpegnati a ingoiare bocconi fin troppo grossi. Un’avventura come quella richiedeva l’impegno di risorse economiche e le poche disponibili erano già allocate. Tuttavia le grandi potenze volevano evitare che quel boccone finisse in bocca di qualcun altro e in quella situazione di stallo s’inserì re Leopoldo, monarca di un piccolissimo regno che non faceva paura a nessuno anche se lui aveva in mente per sé e per il Belgio, ma soprattutto per sé, un impero mondiale: anzi il più grande degli imperi mondiali.
Incontrò sulla sua strada un altro avventuriero privo di scrupoli, di senso della misura e di humour, l’avventuriero-giornalista Henry Morton Stanley e i due si affermarono come i veri vincitori del Congresso di Berlino del 1885 dove Leopoldo – che alla conferenza non partecipava – si vide assegnare lo sterminato territorio del bacino del Congo. Nessuno immaginava che avrebbe dato fastidio, e infatti non ne diede; ma nessuno immaginava che da quella sorta di regalo virtuale Leopold avrebbe ricavato la sterminata ricchezza che ne ricavò.
Lo scandalo per i metodi utilizzati esplose diversi anni dopo, ma sia lui che Stanley riuscirono a uscirne non si dice puliti, ma neanche con quel marchio di eterna infamia che meritavano.
I due si erano incontrati verso la fine degli anni Settanta e il trucco che escogitarono, quello che garantirà il successo dell’operazione, fu l’idea di presentare il più violento e sanguinario dei progetti di colonizzazione come un progetto filantropico. Non che alle grandi potenze importasse granché della filantropia, ma Leopoldo riuscì a convincerli di essere un reuccio senza importanza che si metteva quasi da privato cittadino alla testa di una campagna “filantropica” di sfruttamento capitalista, promettendo che il Congo sarebbe rimasto aperto all’iniziativa commerciale di tutti quanti e segretamente mettendosi d’accordo con ciascuno (inglesi, francesi, tedeschi e portoghesi) che in quel paradiso del piccolo commercio in realtà le sue merci sarebbero state quelle favorite.
Può sembrare incredibile, ma il trucco funzionò e Leopoldo si trovò alla testa di una società più o meno fittizia che aveva comprato il Congo. L’acquisto era stato fatto da Stanley, l’unico occidentale che conoscesse un po’ meno che vagamente il territorio, che nominò re a sua discrezione qualche disgraziato capo villaggio e gli fece firmare dei contratti di vendita di territori sconfinati dell’immenso paese. Quei contratti, debitamente controfirmati da Leopoldo, furono inviati al presidente degli Stati Uniti, Arthur, per il tramite di Stanley che negli Stati Uniti era popolarissimo e pretendeva di essere originario di quel paese anche se era nato in Galles e vissuto in Gran Bretagna – in orfanotrofio fino all’età di 17 anni.
Il presidente Arthur che non doveva essere una cima, lesse, approvò e disse che era un magnifico progetto filantropico. Alla sua approvazione, vero e proprio affidavit, seguì quella degli stati europei e Leopoldo si trovò padrone del bacino del Congo: due milioni e mezzo di chilometri quadrati di territorio, cinque volte la Francia e 63 volte il Belgio.
Le risorse per il suo sfruttamento però erano pochissime: un manipolo di biscazzieri, avventurieri, mercenari, assassini e delinquenti comuni. Belgi, naturalmente, ma anche americani, svedesi, francesi, olandesi e tedeschi.
Conrad, che capitò lì nel 1900 alla ricerca di un impiego, ne fece il ritratto collettivonella persona del Comandante Kurtz del suo libro Cuore di tenebra: quel personaggio, che Francis Ford Coppola trasferì in Vietnam, mettendo i suoi panni addosso a Marlon Brando in Apocalypse Now.
Nelle scuole e nelle università americane nel secolo scorso si sono tenuti migliaia di corsi di letteratura su quel romanzo breve, il più venduto di Conrad e i letterati si sono sbizzarriti a spiegarlo come metafora della morte, dell’inconscio e del conscio e si sono rifatti a Freud, a Jung e a Dante, ma quel racconto non è una metafora, è semplicemente il reportage di quel che Conrad vide con i propri occhi durante i sei mesi di permanenza nel paese, nella risalita di 1.600 chilometri lungo il fiume Congo dalle Stanley Poll alle Stanley Falls.
Niente metafore, tutto vero, compreso il capitano Kurtz, che era un belga di nome Rom che però non fece un’uscita di scena drammatica come Kurtz[3] ma rientrò in Belgio e finì la sua vita vendendo farfalle esotiche ai musei. Era lui nella realtà che aveva decorato il giardinetto di casa con le trenta teste dei negri in cima a un palo. Tutto vero, dunque, niente invenzioni.
Alla fine del 1889 erano 430 i bianchi che vivevano in Congo:[4] mercanti, soldati, missionari, amministratori dello stato embrionario di re Leopoldo che esercitavano un dominio assoluto su almeno 20 milioni di negri, nella forma più violenta attraverso l’odiatissima Force Publique che arruolava delinquenti locali.
Il paese era diviso in unità amministrative al solo scopo di raccogliere una quantità prefissata di gomma e avorio da consegnarsi agli esattori del re brigante: né la merce né il lavoro venivano retribuiti. Si trattava di un vero rapporto schiavistico che coinvolgeva l’intera popolazione perché mentre gli uomini erano costretti a immergersi nelle foreste per consegnare la quantità prescritta di caoutchou, donne e bambini restavano come ostaggi nelle mani della Force publique spesso in catene con poco e nessun cibo. Il taglio delle mani o dei piedi era la punizione per chi non consegnava la quota prescritta o per i compaesani se lo schiavo non rientrava al villaggio: poco importa che fosse fuggito o fosse morto nella foresta. Sospettando che la force publique si dedicasse alla troppo facile amputazione di donne e bambini, gli amministratori bianchi imposero che insieme a mani e piedi la force publique consegnasse anche i testicoli. Al momento in cui scoppiò lo scandalo, nel 1900, erano disponibili migliaia di foto di gente sopravvissuta, ma con mani e piedi tagliati.
Resoconti di questi massacri ne esistono a centinaia: ufficiali, commercianti, missionari, era di gran moda tenere diari, per un motivo o per l’altro, ma in genere per riscuotere premi e compensi, E’ disponibile un resoconto dettagliato delle vittime, dei morti e delle mani raccolte. La sintesi la si trova in Cuore di tenebra ed è il percorso della gomma, con i suoi villaggi bruciati, i morti senza sepoltura, gli schiavi catturati e crocifissi. Conrad non ha inventato niente.
In quella situazione si può ben capire che il semplice avvicinarsi della Force publique provocava il terrore. In ogni caso i villaggi venivano spogliati di tutto e la gente fuggiva nelle foreste e nelle paludi, decine di migliaia, centinaia di migliaia di persone. Lì la cosa più facile era morire di fame e di malattia. Le malattie più diffuse erano il vaiolo portato dai bianchi e la tripanosomiasi o malattia del sonno, oltre alle enterocoliti e alla tubercolosi.
L’osservazione che i morti per malattia ci sarebbero stati comunque, anche senza i bianchi, è falsa e pretestuosa. Qualsiasi medico sa che una popolazione senza riparo, senza cibo, sconvolta da una situazione disumana, in fuga e sfinita ha un tasso di morbilità e di mortalità infinitamente superiore a quella di una popolazione stanziale nutrita regolarmente, che vive in una situazione stabile e serena.[5]
Ed ecco spiegato i milioni di morti in Congo che verso gli anni Venti cominciarono a preoccupare anche gli amministratori belgi, se così vogliamo chiamarli: come si fa a farli lavorare se sono tutti morti?
Luciano Beolchi
[1] Adam Hochschild, Les fantômes du roi Lèopold, Paris, Belfond, 1998.
[2] Andrèe de Maerie d’Aertrycke, Andrè Scherechof, Pierre Viercauterren et Andrè Vleuzynck. Le Congo au temps des Belges (1885-1916)
[3] Nel romanzo, Kurtz muore sul battello che lo riporta alla civiltà.
[4] Adam Hochschild, Les fantômes du roi Lèopold, Paris, Belfond, 1998, pag. 112.
[5] Si uniscano a questo, le vittime del banditismo comune che come in tutte le situazioni del genere imperversò anche in Congo.
5 Commenti. Nuovo commento
Mi vergogno di essere uomo e purtroppo non cambierà direzione.
Finché ci saranno gente piena di soldi e a caccia di soldi e americani che esportano “democrazia” a scapito dei più poveretti ecc.ecc. potrei scrivere un libro.
Grazie mille, bellissimo articolo su di una storia completamente a me sconosciuta.
Presumibilmente primo genocidio testimoniato da fonti storico letterarie demografiche.
Penso a tutti i precedenti della storia dell’umanità che leggiamo solo in un paragrafetto di un libro di storia.
Non cambia nulla, adesso l’uomo oltre ad uccidere i suoi simili, uccide anche il pianeta, quindi sé stesso.
racconto interessante oltre che raccapricciante….è vero,stupisce il fatto che fino a questo momento non abbia saputo niente di tutto ciò.
Grazie per questa terribile testimonianza,
Un’altra vergogna del genere umano
Storia sconvolgente e purtroppo taciuta grazie.