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Il gatto di Deng, il funzionalismo e l’arco di Maastricht

di Roberto
Musacchio

C’è stato ad un certo punto degli anni ’80 un dibattito tra “riduzionismo” e “etica del discorso”. Che fare di fronte a società che mostravano una complessità crescente? I due poli della discussione io li ritrovai in Luhman e Habermas. Per il primo l’unico modo di non soccombere al caos della complessità è quello di ridurre lo spettro delle scelte e mettere al centro il decisionismo. Per Habermas al contrario la complessità chiama complessità e solo una capacità discorsiva assunta come valore etico può favorire le risposte. Come si vede due ipotesi opposte. Che non stavano nel cielo della filosofia ma marxianamente nel conflitto delle forze reali in campo. Campo che era quello della globalizzazione, della finanziarizzazione, del nuovo ruolo strategico della conoscenza e della tecnologia. Terreni non neutri ma pervasi dalla rivoluzione conservatrice che rispondeva al ’68 ma, a ben vedere, anche ai gloriosi venti anni seguiti alla vittoria sul nazifascismo, all’ottobre sovietico ma addirittura ai Lumi e alla Rivoluzione francese.

Addirittura? Sì, perché la portata di questa rivoluzione conservatrice sta dentro quella profezia marxiana della barbarie, in cui il “capitalismocene” divora ogni cosa che lo disturbi fino probabilmente ad esplodere.

Sta di fatto che il pensiero riduzionista si afferma trasversalmente, naturalmente con le diversità dei luoghi.

Chi mi conosce sa che amo anche forzare le connessioni per aiutare la ricerca intellettuale. Per questo mi permetto una cosa un po’ osé. Soprattutto detta oggi perché ai tempi in cui accadde poteva esserlo meno. La cosa è iscrivere in questo percorso riduzionista anche la “normalizzazione” fatta da Deng Tsiao Ping dopo la morte di Mao e contro la “banda dei quattro”. “Non importa di che colore è il gatto, l’importante è che catturi i topi” e “Arricchitivi” furono due massime che segnalano la “svolta”. Naturalmente la Cina che si impegna tutta nella modernizzazione mettendosi alle spalle i “bombardamenti contro il comitato centrale” è cosa ben diversa dal neoliberalismo di Tatcher e Reagan che smonta la società. E anche da quel “funzionalismo” che, prima lentamente, dopo l’89 a grandi balzi, e con le crisi finanziarie e pandemiche in modo totalizzante va affermandosi in Europa al posto del vecchio ordine costituzionale.

Chiedo scusa per l’abbassamento del livello delle citazioni ma l’intervista recente di Calenda che parla di unica contraddizione importante che sarebbe quella tra chi sa fare e chi no è comunque significativa. Draghi è colui che sa fare perché sa fare autorevolmente l’unica cosa che si può fare e cioè fare funzionare il Sistema.

Il “draghismo” è l’iperfetazione di un processo che in Italia in trenta anni ha sostituito l’arco costituzionale con l’arco di Maastricht. Con tutte le sue nuance dal liberismo al nazionalismo integrato. Tutto il resto è show, ammuina. Infatti la discussione oggi è da quale postazione dovrà il “migliore” esercitare il comando, la presidenza del Consiglio o quella della Repubblica. Certo con diversi adeguamenti del sistema politico alla diversa collocazione dell’imperium. Nuova maggioranza dei capaci o falso bipolarismo o entrambe le cose?

Se la politica è ridotta ad attendenza in un Paese come l’Italia, più attenzione oggi merita la vicenda del rapporto tra funzionalismo espresso in trattati, principalmente Maastricht ma non solo, e Costituzioni. La scelta dei Trattati nacque in Europa al posto di quella costituzionale proposta da Spinelli. Leggendo Giuliano Amato e la sua idea di ordinamento medievalista necessario a imporre l’Europa ai sovrani nazionali si capisce bene la ratio. L’idea di passare dai Trattati alla Costituzione finora è stata incapace di agire mostrando la “falsa coscienza” degli europeisti reali. L’unica opzione concessa era la costituzionalizzazione di Maastricht. Restando la Carta dei diritti di Nizza un allegato. Certo occorre guardare a tutto ciò che si muove nel campo delle lotte giuridiche. Ma ci sono cose che pesano molto. Le sentenze della Corte Costituzionale tedesca che sanciscono che il solo popolo cui si riconosce la sovranità è quello tedesco è tra queste. Poco importa se poi si dà via libera alla azione della BCE. Perché quello è funzionalismo e non costruzione di una sovranità del popolo o dei popoli europei sulla Banca e la moneta.

La recente vicenda dello scontro tra Corte polacca e UE mette in campo una variabile importante che è quella di quanto di diritti umani è contenuto nella costruzione della UE. Il merito delle decisioni del governo polacco su come eleggere la Corte e su come trattare i generi sessuali va combattuta anche in nome di questi diritti europei. Con la consapevolezza delle palesi contraddizioni esistenti. Si pensi alla drammatica questione dei migranti. “Fate i muri a spese vostre” è la perfetta sintesi di una ipocrisia odiosa e pericolosissima perché contiene tutto il relativismo etico della UE e la sua logica monezzatrice. Che è arrivata a invadere diritti universali come la cittadinanza e i suoi attributi di diritto di mobilità e residenza che si vogliono subordinare a requisiti di reddito (ed altri “meritocratici”).

Ma poi c’è la natura iperideologica in senso neoliberale di Maastricht che rappresenta una ferita drammatica ai valori costituzionali. Lo vediamo sulla vicenda vaccini e brevetti con una UE che si oppone alla sospensione. L’abbiamo visto con i bancomat chiusi in Grecia contro Tsipras e con le centinaia di raccomandazioni seguite all’introduzione del semestre europeo quasi tutte contro lavoro, pensioni e pubblico. Ancora oggi i Pnrr sono tutti privatistici come criterio trasversale e sovraordinante di quelli “verdi e digitali”. E in Spagna c’è una “pressione” impedente l’abrogazione della controriforma del lavoro che arriva a “impicciarsi” del funzionamento del governo. E in Italia salta quota 100 e il migliore ripristina la Fornero.

Che fare dunque? La battaglia sociale e delle idee vanno reintrecciate. Contro “ristrutturazioni funzionalistiche” va riproposta la transizione al socialismo. Cioè la teoria e la prassi della Rivoluzione contro quella del Dominio.

 

Roberto Musacchio

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