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Il fango della Libia

di Stefano
Galieni

La liberazione dei 18 pescatori di Mazara del Vallo, le cui imbarcazioni sono state sequestrate per quasi 4 mesi nel porto di Bengasi dalle milizie del generale Haftar è una buona notizia che dovrebbe costringere a riflettere sull’azione italiana e sul ruolo europeo nello scacchiere libico. Ricordiamo che le due navi furono intercettate in acque internazionali, e portate in Cirenaica (la regione orientale della Libia), governata dall’ LNA (Lybian National Army) il cui potere non è riconosciuto in sede internazionale ma che gode degli appoggi di Russia ed Egitto. I pescatori – in parte siciliani e in parte tunisini, senegalesi e indonesiani – sono stati tenuti per mesi in condizioni pessime, con la pressoché totale impossibilità ad entrare in contatto con i familiari che sono, insieme agli armatori, venuti a più riprese a Roma, manifestando davanti al parlamento, per chiedere un intervento del governo italiano. L’intelligence ha lavorato probabilmente sottotraccia per giungere alla liberazione anche con un fuoriprogramma poco adeguato alle azioni diplomatiche. Nei giorni immediatamente precedenti la liberazione di pescherecci e pescatori, il leader libico riconosciuto dalla comunità internazionale, Al Serraj, ma di fatto con scarso potere di controllo sul resto dell’immenso paese nordafricano, è venuto a Roma ufficialmente ed ha incontrato esponenti del governo italiano suo partner. Dopo l’incontro il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e il ministro degli Affari Esteri, Luigi Di Maio si sono recati a Bengasi da Haftar per concordare la liberazione dei trattenuti. Una gaffe diplomatica non da poco. Ma il problema è che oggi la Libia non è controllata né da Serraj né da Haftar. Il Paese è sotto il controllo di numerose milizie che stringono alleanze di scopo le une con le altre che si rompono per un non nulla. Sono poi da tempo entrati in campo attori internazionali che hanno anche diminuito il potere contrattuale degli Stati UE che peraltro si presenta divisa. Ad appoggiare il GNA (Governo di Accordo Nazionale) di Serraj sono principalmente la Turchia (che contravvenendo all’embargo Onu ha inviato a Tripoli 17000 mercenari jahdisti e 2000 soldai turchi), con l’appoggio di Qatar e Italia (per garantire la protezione dei compound Eni e fermare i richiedenti asilo). Ma l’Italia è poco chiara, sembra giocare su più tavoli, cercando di mediare con Haftar. Quest’ultimo gode non solo dell’appoggio di Russia ed Egitto ma anche di Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita. In questo ginepraio di alleanze vere o presunte, va collegato il fallimento della Conferenza di Palermo del 2018, quando la delegazione turca abbandonò i lavori per protesta dopo l’arrivo di Haftar. Quel fallimento portò ad una cristallizzazione delle posizioni. Il leader della Cirenaica tentò, con l’appoggio russo di occupare l’intero paese ma fu costretto a fermarsi alla periferia di Tripoli. La Francia, anche se vincolata dal ruolo in UE lo sostiene più o meno apertamente, l’Italia, nel tentativo di non perdere terreno nei confronti dei transalpini, tradizionali concorrenti in Libia, cerca di barcamenarsi. Per le Nazioni Unite, Haftar è poco più che un criminale di guerra, in virtù delle stragi di cui il suo esercito si è macchiato durante l’avanzata militare; l’LNA sostiene invece, secondo il suo portavoce Ahmed al Mismari (il vice di Haftar) il desiderio della Turchia è assediare Egitto ed Emirati Arabi Uniti (UAE) ed ha chiesto all’Onu di estendere il limite temporale per le indagini sui crimini di guerra. Si chiede alla missione del Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite di indagare sulle violazioni commesse sin dal 2011, quando il regime di Gheddafi venne spazzato, e dovrebbe riguardare le azioni commesse dal governo di Tripoli e dai suoi alleati nei territori dell’est. Si parla di omicidi di soldati e civili, sparizioni, attacchi contro le proprietà, torture contro la popolazione locale fino ad “attacchi” contro i conti bancari delle istituzioni statali e contrabbando di denaro all’estero a danno del popolo libico. Quindi indagini sul ruolo del Qatar e soprattutto della Turchia, accusata da al Mismari di mire espansionistiche in Yemen e Corno d’Africa. I tentativi di portare a “libere elezioni” la Libia, portati avanti anche con la Conferenza di Berlino, sembrano per ora aver portato pochi frutti. Le fazioni più vicine al governo di Tripoli non sembrano voler accettare la presenza nel parlamento di Haftar e dei rappresentanti dell’LNA. Questo nonostante La rappresentante speciale del segretario generale dell’Onu e capo ad interim dell’Unsmil, Stephanie Williams, ha annunciato, il 13 novembre, nel corso di una conferenza stampa online che i partecipanti al Forum del Dialogo politico libico riuniti a Tunisi hanno concordato di fissare la data del 24 dicembre 2021 per le elezioni libiche. Si tratterebbe di un risultato importante al quale sono pervenuti i 75 invitati di varie circoscrizioni e parti politiche della Libia al Forum del Dialogo politico libico riuniti per cercare di ridisegnare gli assetti futuri del Paese, ma, nonostante tali dichiarazioni, i due contendenti non sembrano aver trovato accordo.

Ed in questo quadro complesso anche il sequestro di innocenti pescatori assume un significato particolare. Haftar vuole ritornare al tavolo delle trattative, da cui di fatto pare escluso, chi ha pensato che le trattative intercorse col governo italiano riguardassero unicamente la liberazione, in cambio dei pescatori, di 4 calciatori libici detenuti in Italia in quanto accusati di essere scafisti, ha mostrato molta ingenuità.

Il governo italiano, malgrado gli incontri ha continuato a rifornire Serraj di motovedette, ricambi, addestramento, anche durante l’embargo (col pretesto che dovevano servire unicamente a “fermare i trafficanti”, per le stesse ragioni la missione europea Irini Euronavfor-med non è riuscita (o non ha voluto?) far si che l’esercito del GNA di Tripoli. Un ruolo lo ha giocato anche Malta che ha mantenuto stretto il rapporto con Serraj anche per poter rimpallarsi le responsabilità nei soccorsi in mare dei migranti. Va ricordato che il Mediterraneo Centrale è diviso in 3 zone SAR (Search And Rescue) di intervento. In quella libica spesso le imbarcazioni in difficoltà vengono lasciate affondare o riportate in Libia per estorcere altri soldi ai fuggitivi, quella maltese è teatro di continui misunderstanding e tentativi di evitare impegni e nelle due zone riescono a volte ad intervenire unicamente le navi delle ong, che poi ne pagano le conseguenze in Italia.

Difficile oggi comprendere quale è stato lo scambio reale che ha permesso il ritorno a casa dei pescatori. L’intervento di Putin, come sostiene Berlusconi? O più probabilmente il fatto che i rapporti non idiliaci che oggi ci sono fra Turchia e UE hanno aperto un varco che potrebbe permettere ad Haftar di tornare sul tavolo delle trattative?

Certo è che per determinare gli scenari futuri, facendo sì che fra un anno si tengano davvero in Libia elezioni libere che possano vedere tutto il Paese in condizione di votare, occorrerebbero alcune azioni politiche anche da parte UE e italiane. Uno dei nodi riguarda la sospensione che andrebbe richiesta, tanto della zona SAR libica, visto che il Paese non è una Place of Safety (porto sicuro) e il parlamento europeo è già intervenuto per criticare l’azione di Frontex che ha portato al respingimento di almeno 11 mila possibili richiedenti asilo (secondo altre fonti sono 40 mila), con il pretesto che sono stati individuati in tale area. Il governo di Tripoli ha poi, in maniera unilaterale, dichiarato una zona di esclusivo interesse economico ZEE che si estende fino a 74 miglia marittime dalle proprie coste di fatto aggirando in tale maniera anche l’embargo alla fornitura di armamenti. Un embargo che dovrebbe valere tanto per i sostenitori di Haftar quanto per quelli di Serraj impedendo alla Turchia di poter estendere il proprio ruolo di agitatore bellico. In quelle acque dovrebbero poter intervenire (aumentando gli assetti) non per collaborare con la “sedicente” Guardia costiera libica ma per garantire il reale salvataggio di chi è in mare. L’Italia potrebbe ritirare la missione Nauras della Marina militare ora ubicata nel porto di Tripoli e dispiegare invece unità per garantire la sicurezza di chi lavora sulle piattaforme petrolifere offshore, sui pescherecci e sempre per operazioni di salvataggio di richiedenti asilo.

Last but not least occorrerebbe stralciare il Memorandum Of Understanding, firmato il 2 febbraio 2017 per l’Italia dall’allora ministro dell’Interno Marco Minniti e che è alla base tanto di infinite stragi nel Mediterraneo e di respingimenti diretti o per delega, ma che di fatto ha unicamente rafforzato solo una delle parti in campo in Libia snaturando i percorsi necessari a fermare un conflitto interno che sta per giungere ai 10 anni di durata senza aver trovato soluzione.

I 18 pescatori che hanno potuto riabbracciare le proprie famiglie rischiano, in assenza di reali mutamenti politici in grado di portare realmente tutte le forze libiche, non certo i burattinai internazionali, al tavolo delle trattative, sono solo piccole pedine la cui vita è stata questa volta risparmiata.

Ma siamo certi che in assenza di una significativa azione diplomatica non riaccadano ulteriori “incidenti”?

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