Negli stessi anni in cui l’autore delle novelle Nedda (1874) e Rosso Malpelo (1880), Giovanni Verga, dà inizio al suo ciclo dei “vinti” con la pubblicazione del romanzo I Malavoglia (1881), lo storico napoletano Pasquale Villari pubblica la prima edizione de Le lettere meridionali ed altri scritti sulla questione sociale in Italia (1878), in cui denuncia le misere condizioni di vita e di lavoro delle plebi urbane napoletane e delle masse rurali meridionali.
Sono gli anni in cui la paura per la Comune di Parigi prima (1871) ed il subentrare della Sinistra alla Destra storica alla guida dell’Italia dopo (1876), inducono i liberali conservatori “illuminati” alla Villari, alla Sidney Sonnino, alla Leopoldo Franchetti ed alla Giustino Fortunato ad analizzare criticamente la questione sociale in Italia proprio a partire dalle regioni meridionali, per poi proporre prevalentemente riforme sociali ed economiche, che hanno sì per oggetto i “vinti”, ossia le plebi urbane, i braccianti ed i “carusi” delle solfatare meridionali, ma li disconoscono come soggetto attivo del proprio processo di emancipazione.
Non è una caso che lo stesso conservatore Verga collabori con la rivista Rassegna settimanale fondata proprio da Sonnino e Franchetti con l’intento d’indurre la borghesia nazionale a porre le basi del suo potere non più sul dominio ma sull’egemonia, da realizzare tramite riforme calate dall’alto, che, con lo scopo ultimo di prevenire la radicalizzazione delle lotte sociali, mitigassero le brutali condizioni di povertà e sfruttamento in cui versano le masse popolari, in primis i “vinti” del Sud Italia da un processo di unificazione nazionale che ha promosso gli interessi dei ricchi a discapito dei poveri.
In sostanza, si tratta di posizioni afferenti al riformismo borghese “illuminato”, che, se hanno il merito di porre la “questione meridionale” come “questione nazionale” sia per le sue cause che per le sue conseguenze, si avviluppano nella contraddizione del “mito del buongoverno”, in quanto mirano all’educazione etico-politico-culturale di quelle classi dirigenti, che, invece, sono l’espressione organica delle classi sociali allora dominanti, il blocco agrario-industriale di cui parleranno successivamente il socialista Gaetano Salvemini ed il comunista Antonio Gramsci. Blocco conservatore che, a sua volta, trae vantaggi sia dallo sfruttamento delle masse popolari ed operaie settentrionali sia dallo sfruttamento delle masse rurali meridionali.
E l’avere considerato le classi rurali del Mezzogiorno soltanto come l’oggetto di accurate indagini sociologiche, per poi incentrare l’attenzione esclusivamente sul cosa fare per risolvere l’allora nascente “questione meridionale”, e non sul chi deve fare cosa, se non genericamente appellarsi alle virtù ‘taumaturgiche’ dello Stato borghese, è la radice ultima della sconfitta politica del meridionalismo d’indirizzo liberale, anche esso tra i “vinti” nell’agone della lotta politica italiana a cavallo tra Otto e Novecento.
D’altronde, proprio lo stesso Villari dimostra di essere cosciente di questo fatale errore d’impostazione in una lettera da lui stesso inviata al direttore del Corriere della Sera il 4 settembre 1905.
“Non le nascondo – scrive Villari – che, sulla questione meridionale, io sono diventato assai sfiduciato e scettico. Ne scrissi fin dal 1860 nella ‘Perseveranza’, continuai colle Lettere meridionali nell’‘Opinione’, con molti articoli nella ‘Rassegna settimanale’, con un gran numero di opuscoli e discorsi. A che valse? A nulla addirittura. Questo sarà stato, è vero, conseguenza del poco valore dei miei scritti. Ma sulla stessa questione c’è una serie assai grande di opuscoli, discorsi, volumi, non pochi dei quali, dopo lungo studio e serie indagini, dettati da uomini autorevolissimi. Basta ricordare i nomi di Franchetti, Sonnino, Turiello, Colajanni, Rudinì, Fortunato e moltissimi altri. Ma quello che è più, sulla stessa questione, che è in sostanza una questione agraria, v’è stata la grande inchiesta parlamentare, che raccolse una vasto e prezioso materiale. A che cosa ha giovato tutto ciò? Altrove una grande inchiesta serve ad apparecchiare una grande riforma. Quale è la riforma agraria fatta da noi dopo l’inchiesta? Se qualche proposta fu presentata non ebbe neppur l’onore di una seria discussione in Parlamento”.
Tale confessione amara e disillusa può essere considerata una testimonianza di alto valore culturale circa la vacuità dell’impostazione delle lotte politiche esclusivamente su quella che oggi potremmo definire la moral suasion, quando quest’ultima non sia fondata su una “forza politica in movimento ed agguerrita”.
Quella forza politica che oggi, in un contesto storico profondamente diverso da quello in cui visse Villari, il Laboratorio di riscossa per il Sud propone di fondare tramite la costituzione di “comunità ribelli” meridionali e meridionaliste, che abbiano lo scopo di risolvere la più che centosessantennale “questione meridionale” in un’ottica di effettiva unificazione nazionale. Risolvere, non mendicando prebende col “cappello in mano”, bensì lottando col “cappello in testa”.
Salvatore Lucchese
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Facendo però prima un approfondito esame di coscienza pensando prima o insieme ai diritti anche ai tanti doveri.mancati