Con l’accordo tra Parlamento Europeo e Consiglio UE, nella notte tra il 20 e il 21 aprile, si conclude, sostanzialmente e ingloriosamente, la vicenda della legge europea sul clima. Lo scontro principale ha riguardato il livello della riduzione delle emissioni di gas serra. La Commissione Europea, per rispondere all’ormai ineludibile emergenza globale, nella sua Proposta di Regolamento del 17 settembre 2020 (Legge europea sul clima), oltre a porre l’obiettivo della neutralità climatica al 2050, aveva fissato, il livello della riduzione delle emissioni di gas serra al 55% di quelle rilevate nel 1990.
Il Parlamento, nella plenaria dell’8 ottobre 2020, adottando, in prima lettura, gli emendamenti alla proposta della Commissione Europea, aveva chiesto: a) un obiettivo di riduzione delle emissioni del 60% a livello di Unione entro il 2030; b) zero emissioni nette entro il 2050 al più tardi nell’UE e in ciascuno Stato membro; d) emissioni negative dopo il 2050; e) elaborazione, da parte della Commissione, di un bilancio dell’UE sui gas serra al 31 dicembre 2021; f) introduzione di un obiettivo per il 2040. Questa posizione era stata approvata con 392 voti a favore, 161 contrari (Gruppi di destra ECR e ID ma anche alcuni da PPE e Renew) e 142 astensioni, nella maggior parte provenienti dal PPE.
Il Consiglio UE, prima il 15 poi il 17 dicembre 2020, nella sua posizione di prima lettura, aveva confermato l’obiettivo fissato dalla Commissione (55%). Va rilevato che per esprimere questa posizione, il Consiglio UE ha dovuto attendere che in merito si esprimesse (allo stesso modo) il Consiglio Europeo, nella riunione dell’11 dicembre 2020. Si conferma così la dilagante ingerenza di questa istituzione nel campo della legislazione.
Nella stessa riunione plenaria dell’8 ottobre 2020, il Parlamento aveva deciso di dare mandato alla Commissione ENVI (Ambiente) di adire al negoziato interistituzionale con il Consiglio – il cosiddetto Trilogo con la mediazione della Commissione Europea – ai sensi dell’art. 59, paragrafo 4, del Regolamento del Parlamento.
I negoziati nel Trilogo si sono protratti per mesi, fino all’accordo del 21 aprile 2021, in cui è passata la posizione del Consiglio e della Commissione, e cioè il target delle emissioni climalteranti fissato al 55% (contro quello del 60% chiesto dal Parlamento). Mentre viene confermata la neutralità climatica al 2050, ma come obiettivo collettivo dell’Unione e non per singolo Stato membro, come aveva chiesto il Parlamento.
È stato introdotto, entro il 2030, un tetto di 225 milioni di tonellate al contributo degli assorbimenti della CO2 da foreste e tecnologie, così come aveva chiesto il Parlamento. Altri aspetti relativamente positivi dell’accordo sono: la creazione di un advisory board scientifico – che farà proposte e monitorerà gli effetti del processo di adattamento ‘verde’ dell’economia europea – e l’impegno che la Commissione dovrà fissare più avanti un altro obiettivo vincolante per il 2040.
Sconcerto e contrarietà sui risultati dell’accordo interistituzionale, sono stati espressi dal Gruppo della Sinistra GUE/NGL, che, nel rispetto degli accordi di Parigi, aveva chiesto un target del 65%. La Copresidente, Manon Aubry, ha denunciato che, in realtà, grazie a un artificio di calcolo, l’obiettivo non sarà nemmeno del 55%, come annunciato, bensì del 52,5%. Inoltre, lamenta che non siano state minimamente messe in discussione “le politiche climaticide, come gli accordi di libero scambio e il sostegno alle energie fossili”.
L’accordo è “provvisorio” e sarà sottoposto all’approvazione definitiva del Consiglio e del Parlamento Europeo. L’epilogo sembra ormai scontato anche da parte di quest’ultimo; altamente improbabile che la Plenaria sconfessi l’operato dei suoi negoziatori.
Il deludente epilogo del negoziato interistituzionale (trilogo) sul clima conferma le critiche che da varie parti sono state mosse a questa procedura, soprattutto dal punto di vista della mancanza di trasparenza, che ha provocato anche un’inchiesta da parte dell’Ombudsman Europeo, senza, però, risultati significativi.