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Il Cile non si arrende

di Luis
Maracuya

di Luis Maracuya –

Tutto ha un limite, anche la pazienza del popolo cileno. Un popolo sfruttato, saccheggiato, umiliato, ignorato, represso e torturato, contro il quale il Presidente Piñera ha dichiarato la guerra in maniera criminale e irresponsabile. Il coprifuoco e i carri armati per strada sono la rappresentazione evidente dell’incapacità del governo di risolvere la profonda crisi sociale provocata dall’applicazione brutale delle ricette neo-liberali. Capitalismo e democrazia sono sempre più incompatibili.
Questa volta, la goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato l’aumento del prezzo del metro. Ma in realtà si tratta di 17 anni di dittatura civico-militare di Pinochet e di 30 anni di ricette neoliberali dei governi post-dittatura, governi di centro-sinistra e della destra.
L’intero Cile si è mobilitato, da Nord a Sud, da Arica a Punta Arenas, in maniera spontanea, prendendo di sorpresa il governo e i partiti dell’opposizione, inclusi quelli di sinistra.
Al quinto giorno di mobilitazione il bilancio della repressione è pesantissimo. Sono 15 i morti “ufficiali”, più di 2000 gli arrestati, centinaia i feriti da colpi di arma da fuoco dei carabineros e delle Forze Armate, sequestri in piena notte, diversi gli stupri di donne arrestate, decine di “desaparecidos”. Si rivedono le scene d’orrore della dittatura, altro che “l’oasi” miracolosa di cui ha parlato Piñera all’ONU solo qualche giorno fa.
Gli ingredienti del “miracolo” cileno sono quelli della “democra-tura”: la costituzione di Pinochet ancora vigente che garantisce lo strapotere del capitale, salari da fame (la metà dei lavoratori guadagna meno di 550 euro), il 70% della popolazione indebitata, pensioni drammaticamente ridicole (in mano ai privati), educazione, salute e acqua privatizzate, saccheggio ambientale, l’enorme evasione fiscale dei “pesci grossi”, un Paese svenduto alle multinazionali (tra cui l’italiana ENEL) ed alle poche grandi imprese, una limitatissima libertà sindacale, gli scandali della corruzione delle grandi imprese e delle Forze Armate, la violazione costante dei diritti umani, in particolare del popolo Mapuche.
Alle proteste inizialmente studentesche, si sono aggiunti minatori del rame (principale fonte di entrata del Cile), portuali (20 porti bloccati), lavoratori della salute, del metro, camionisti, insegnanti, settori della cultura e il ceto medio. C’è stato un primo sciopero spontaneo, poi quello dei lavoratori della sanità pubblica, un settore distrutto dalla mancanza di investimenti e tragicamente famoso per le morti (quasi 20.000 l’anno scorso) di persone in attesa di esami clinici e di cure che non hanno potuto pagare. Mercoledì 23 ci sarà uno sciopero generale e giovedi assemble in tutto il Paese. E’ una rivolta spontanea, a cui si sono sommati i movimenti sociali che oggi si sono organizzati in un collettivo di “Unità sociale” con più di 120 organizzazioni di base.
Per il momento le mobilitazioni chiedono la rinuncia di Piñera, il ritorno delle FF.AA. nelle caserme, la fine del coprifuoco, il ritiro dei progetti di legge antipopolari, la convocazione di una Assemblea Costituente per un nuovo “patto sociale”.
Ma ad oggi il governo dell’imprenditore Piñera (il Berlusconi cileno a cui è sparito il sorriso ingessato) è totalmente sordo alle richieste e cerca di dividere il movimento.
Da segnalare le molteplici provocazioni da parte dei “soliti noti”, protagonisti di violenze, incendi e saccheggi che vengono attribuiti dai grandi media ai manifestanti per provocare una reazione e una richiesta di “ordine” a favore della estrema destra pinochetista. Uno degli esponenti più conosciuti è l’attuale ministro dell’Interno, Andrés Chadwick, fervente sostenitore della dittatura.
Di fatto, l’immagine idillica del Cile è a pezzi a livello internazionale. E nonostante il lavorio diplomatico, è molto improbabile si realizzino in Cile sia il vertice APEC (previsto per novembre), che la stessa conferenza dell’ONU sul clima di dicembre.
Nel frattempo cresce la mobilitazione. Sta a noi accompagnarla anche nel nostro Paese.

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