editoriali, poderosa0319

Il caso italiano

di Roberto
Musacchio

Roberto Musacchio –

Il panel che introduco vuol provare a fornire agli interlocutori europei qualche spunto di riflessione sulla situazione italiana. D’altronde siamo qui a Torino anche perché l’Italia è il primo Paese tra i fondatori della Europa ad essere governato da due forze diversamente populiste. In realtà la riflessione serve anche a noi della sinistra italiana per cercare di capire come siamo arrivati a questo punto e che cosa si può provare a fare.

Il panel ruoterà molto sul tema della sinistra come punto di snodo rispetto ai tre elementi di approfondimento proposti ai relatori e cioè la crisi della sinistra, il governo giallo verde e da ultimo il rapporto con l’Europa.

Introducendo infatti propongo una tesi e una chiave di lettura. L’idea che mi sono fatto è che il processo messo in campo con lo scioglimento del Pci abbia rappresentato il fulcro dello svolgimento della crisi italiana modificando la collocazione stessa di quella che era stata la principale forza di alternativa di società in un soggetto interno ai processi di globalizzazione e di americanizzazione dell’Italia e dell’Europa influenzando il percorso complessivo del sistema politico e sociale.

A continuazione di questa tesi la mia idea è che questo abbia messo in campo i materiali che hanno alimentato sia la costruzione di una egemonia neo liberale, sia un approccio del tutto interno all’Europa tecnocratica, sia alla fine quelli che verranno riciclati in chiave propria dai populisti a cui per altro é stato lasciato la spazio di una presunta alternativa di società.

Intendiamoci, non voglio fare dello scioglimento del Pci la causa di quella globalizzazione liberista che è ciò che lo ha determinato. Ma sostengo che come nel dopoguerra la forza del Pci aveva modellato in modo significativo la realtà costituzionale, sociale e politica, il suo scioglimento ha messo in moto un processo analogo e contrario.

L’assunzione del modello neoliberale europeo, in forma acritica e interna alla governance, rovescia l’iniziale diffidenza e fuoriesce dal cammino che poteva essere fecondo intrapreso nell’incontro con Spinelli e con l’idea di eurocomunismo.

L’assunzione dell’orizzonte neoliberale prima sdogana l’ultraliberalismo berlusconiano ormai privo di contrappeso se non in termini formali e poi lascia praterie all’assunzione populista del disagio sociale crescente.

In realtà si compie l’operazione opposta a quella gramsciana che coglieva la natura profondamente inquietante delle forze dominanti italiane e l’esigenza di una fortissima diversità per tenerle a freno e, in prospettiva, bonificarle. L’omologazione fa l’operazione contraria ed evoca le mostruosità che dice di combattere. Cosa ancora più grave perché avviene in un periodo di crisi generale della democrazia messa in atto dalla globalizzazione.

Oltre il dato generale ci sono materiali specifici che alimentano questo percorso. La rottura con la lettura classista della società che si accompagna con l’individuazione di un doppio terreno. Quello del partito della Nazione, cioè “moderna” forza pigliatutto per altro contraddetta dal dominus della globalizzazione e dal crescere delle divaricazioni sociali. Quello dei cittadini, e dei consumatori, che sostituiscono le classi sociali nella lettura e nella azione. Premessa a ciò è la critica del conflitto bollato come corporativo. In tal modo ciò che era stato sinistra si trasforma in una parte della elites.

Ma questi materiali vengono riciclati oggi in gran parte dalle forze populiste naturalmente nel proprio contesto. I Cinquestelle si presentano come compiuto partito dei cittadini contro le elites. La Lega come nuovo partito della Nazione capace di affrontare la contraddizione aperta con il mondo globale.

La crisi sociale e politica causata dall’impatto delle politiche liberiste e poi di austerità consegna alle due forze populiste un grande consenso anche per questa loro capacità di riciclare elrmenti già presenti.

Naturalmente la natura delle due forze è diversa sia come mandato elettorale che come identità. Ma gli elementi trasversali di cui si servono consentono loro il cosiddetto “contratto di governo”. In realtà una spartizione di scelte con un filo che le intreccia e che è la rottura con le vecchie elites e il malcontento popolare. Malcontento che deprivato di una proposta di alternativa di società rifluisce nelle più classiche, e drammatiche, logiche della guerra tra i poveri alimentate dalla esaltazione ventennale della competizione che ha prodotto paura diffusa anche per lo smantellamento delle garanzie sociali.

La cosa che per altro più impressiona di questi mesi è che elettorati diversi finiscano per andare somigliandosi sui temi più inquietanti come quello delle misure contro i migranti o per la cosiddetta sicurezza. Non a caso due terreni dove particolarmdnte grave era stato lo smottamento del Pd.

Conseguenza per altro di un altro elemento messo in campo con lo scioglimento del Pci e cioè il passaggio al maggioritario che ha plasmato una omologazione verso i tratti più reazionari anche perché pensato per mettere fuori gioco la sinistra di alternativa illusoriamente contando su una prevalenza moderata.

Ma il neoliberalismo non è moderato. E la sua, in questi 30 anni, è stata una vera guerra contro il modello sociale europeo. L’Italia, Paese politicamente, economicamente e socialmente fragile, ne paga conseguenze drammatiche in termini di peggioramento della vita e di previsioni sul futuro. Qui si innesta il populismo che però non avendo orizzonte alternativo a quello liberista se non in una curvatura autoritaria e neocorporativa quando prova ad affrontare i temi sociali cavalcati dalla opposizione li piega alle compatibilità di sistema. Così accade per le due misure chiave della legge di bilancio e cioè il reddito di cittadinanza e quota 100 pensionistica che sottostando alle compatibilità si snaturano in misure parziali e con tratto illiberale come nel caso del reddito. Il confronto con la stessa UE si conclude con una sorta di capitolazione e con la definizione particolarmente chiara nella Lega di una volontà di entrare nella gestione futura.

Ma il governo mantiene una capacità relativa di autonomia sia pure con le contraddizioni interne. Ne è esempio la vicenda della via della seta e della relazione con la Cina.

Particolarmente significativa è la parabola della Lega che persegue come detto l’obbiettivo di entrare nella stanza dei bottoni europea e che a ciò piega le proprie posizioni anche sul Venezuela e la via della seta. Una Lega che si è fatta nazionalista ma che propone la autonomia differenziata delle regioni e cioè una sostanziale rottura dei tessuti connettivi unitari del Paese piegati alla concorrenza globale. Una Lega che in questo momento è il perno politico reale.

In tutto ciò cosa dire della nostra sinistra, quella alternativa? Lo scontro di questo trentennio è stato durissimo in particolare perché l’obbiettivo di sradicarla è stato perseguito in primo luogo dal Pd e poi per la natura delle destre del Paese. Ora sta in una condizione di debolezza e a rischio di esistenza. Se devo pensare ad una strada per il suo rilancio essa è precisamente quella europea. Diventare fino in fondo soggetto fondatore di una nuova Sinistra Europea.