Nancy Fraser è una filosofa e teorica femminista statunitense. Nata a Baltimora nel 1947, si è occupata di filosofia politica ed etica normativa.
Insegna scienze politiche e sociali alla New School for Social Research di New York.
Ha pubblicato insieme ad Axel Honneth Redistribuzione o riconoscimento?, un importante testo di filosofia politica contemporanea.
Ha scritto Fortunes of Feminism (Verso, 2013) e con Rahel Jaeggi Capitalism: A Conversation in Critical Theory (Polity, 2018).
È fra le principali sostenitrici dello sciopero internazionale delle donne e a lei si deve la formula del “femminismo del 99%” che ha dato il titolo al Manifesto per un femminismo del 99%, pubblicato insieme a Cinzia Arruzza e Tithi Bhattacharya.
Alcune delle sue pubblicazioni più conosciute:
- Nancy Fraser, Axel Honnet, Redistribuzione o riconoscimento? Una controversia politica, Meltemi, 2007/2020
- Nancy Fraser, Fortune del femminismo. Dal capitalismo regolato dallo stato alla crisi neoliberalista (traduzione di A. Curcio), Ombre Corte, 2014
- Nancy Fraser, La fine della cura. Le contraddizioni sociali del capitalismo contemporaneo (traduzione di L. Mazzone), Mimesis, 2017
- Cinzia Arruzza, Tithi Bhattacharya, Nancy Fraser, Femminismo per il 99%. Un manifesto,
- Laterza, 2019
- Nancy Fraser, Capitalismo cannibale. Come il sistema sta divorando la democrazia, il nostro senso di comunità e il pianeta, Laterza, 2023
Alcuni dei temi centrali della sua ricerca e del suo attivismo politico femminista:
- Il Manifesto “Femminismo per il 99%” promuove un movimento femminista contemporaneo, di base e radicale, che riconosce l’intersezionalità e sostiene l’attivismo di tutte le donne, in particolare di quelle (il 99%) che non appartengono alla classe delle privilegiate.
Il manifesto è stato anticipato da un appello, pubblicato nel febbraio del 2017 su Viewpoint Magazine, firmato da Angela Davis, Barbara Ransby, Cinzia Arruzza, Keeanga-Yamahtta Taylor, Linda Martín Alcoff, Nancy Fraser, Rasmea Yousef Odeh e Tithi Bhattacharya, in occasione della mobilitazione contro il presidente USA Donald Trump, con cui si proponeva uno sciopero internazionale delle donne l’8 marzo 2017.
La tesi di partenza del Manifesto è che l’oppressione di genere non è causata da un unico fattore ma è il prodotto delle intersezioni di sessismo, razzismo, colonialismo e capitalismo.
Le autrici dell’appello invitano a guardare oltre le questioni di genere per prendere consapevolezza della violenza di genere razzializzata, dei fallimenti del neoliberismo, degli attacchi ai diritti delle lavoratrici e dei lavoratori, delle ingiustizie riproduttive, dell’omofobia, della transfobia e della xenofobia. Il Manifesto dunque si inserisce nel percorso di un femminismo de-coloniale per sostenere la necessità di un nuovo movimento femminista internazionale che sia allo stesso tempo antirazzista, anti-eterosessista e anti-neoliberista. - In Fortune del femminismo Nancy Fraser ripercorre l’evoluzione del movimento femminista a partire dagli anni Settanta e anticipa una nuova fase, radicale ed egualitaria, del pensiero e dell’azione femminista.
Negli anni del fermento del movimento operaio e di una “nuova” sinistra politica , emerse la “seconda ondata” femminista che postulava la necessità di una lotta per la liberazione della donna, ponendosi accanto ad altri movimenti radicali che mettevano in discussione le caratteristiche fondamentali della società capitalistica. Successivamente, con l’ascesa del neo-liberismo il femminismo si immerge in una dimensione identitaria che esalta la differenza e gli aspetti simbolici, abbandonando le prospettive utopiche e l’attivismo politico.
Un femminismo che, scrive Fraser, diviene “ancella del capitalismo”.
Prevedendo in anticipo la ripresa di un movimento femminista radicale, Fraser sostiene la necessità che il femminismo possa divenire una forza capace di rielaborare il potenziale visionario dei precedenti movimenti di liberazione delle donne e lottare, in accordo con altri movimenti egualitari, per rimettere in discussione le fondamenta del sistema capitalista.
Poiché il neoliberismo ha cercato di promuovere un empowerment femminile imbrigliando “il sogno dell’emancipazione delle donne al motore dell’accumulazione di capitale” Fraser invita e considerare che “cercare di sfondare il tetto di cristallo non ci salverà”, perché a fronte delle poche che ce la faranno continueranno a restare indietro chi ha un lavoro precario e patisce per la decostruzione del welfare pubblico “Ora che il lavoro è precario” ebbe a scrivere “per le donne è necessario lavorare. La nuova forma di capitalismo neoliberista non vuole le donne a casa come madri full time, anzi, le vuole lavoratrici, ma con stipendi bassi”.
Contemporaneamente Fraser propone una rilettura critica del marxismo per unire la lotta contro le diseguaglianze economiche a quelle contro ingiustizie “non economiche” come la violenza domestica, la violenza sessuale, e l’oppressione riproduttiva.
Nella rubrica di oggi pubblichiamo la recensione, curata da Benedetto Vecchi, del libro Capitalismo nel quale Nancy Fraser dialoga con Rahel Jaeggi.
Come scrive Vecchi, Fraser sottolinea, da un punto di vista femminista, quanto sia un imbroglio, “pensare il capitalismo come la forma più auspicabile di pratiche emancipatorie che promuove la valorizzazione dell’eguaglianza e delle diversità all’interno di una sistematica disuguaglianza economica. Per lei, invece, quel che serve è ripensare come funziona questo «ordine sociale istituzionale» al fine di definire pratiche democratiche all’interno di un regime di reale eguaglianza, senza la quale non ci può essere valorizzazione delle differenze”.
Nancy Fraser e Rahel Jaeggi, negli atelier della produzione
Libro denso, stratificato, dalle molte chiavi di lettura con la capacità di offrire lo sguardo ampio – temporalmente e geograficamente – della longue durée e di una prospettiva «globale». Capitalismo di Nancy Fraser in dialogo con Rahel Jaeggi (Meltemi, pp. 325, euro 20, traduzione di Veronica Ronchi) nasce da una necessità teorico-politica maturata con la elezione di Donald Trump e la rinnovata attenzione alla critica dell’economia politica presente nella discussione pubblica, e dalla necessità complementare di rimuovere alcuni grumi, blocchi della teoria critica rispetto proprio al concetto e alla nozione di capitalismo, non relegabile solo all’egemonia della forma «mercato» nella allocazione e dunque distribuzione ineguale delle risorse nella società.
A padroneggiare questa materia due filosofe. La prima, Nancy Fraser, è ormai riconosciuta come una figura di punta della nuova sinistra statunitense per aver avuto il merito di innovare una cassetta degli attrezzi ormai usurata dal tempo e da un inguaribile settarismo dei gruppi leftish americani. Sul piano politico si è invece ripetutamente scagliata contro il «neoliberismo progressista», ritenuto l’espressione più eclatante di un governo delle società fondato su un imbroglio: pensare il capitalismo come la forma più auspicabile di pratiche emancipatorie che promuove la valorizzazione dell’eguaglianza e delle diversità all’interno di una sistematica disuguaglianza economica. Per lei, invece, quel che serve è ripensare come funziona questo «ordine sociale istituzionale» al fine di definire pratiche democratiche all’interno di un regime di reale eguaglianza, senza la quale non ci può essere valorizzazione delle differenze. Temi che Fraser ha affrontato nel dialogo con Axel Honneth, Redistribution or Recognition? A Political-philosofical exchange, nel saggio Fortune del femminismo (ombre corte), La fine della cura. Le contraddizioni sociali del capitalismo contemporaneo (Mimesis), e Femminismo per il 99% (con Cinzia Arruzza e Tithi Bhattacharya, Laterza).
Per Rahel Jaeggi, una delle ultime esponenti della Scuola di Francoforte, anche se non nasconde la sua radicale distanza dalle tesi di Jürgen Habermas sulla colonizzazione del mondo vitale da parte dalle logiche economiche del mercato, il capitalismo è una forma di vita che si dipana all’interno di un regime di diseguaglianze strutturale. Temi che la filosofa tedesca ha elaborato nei suoi fortunati Forme di vita e capitalismo (Rosenberg&Sellier) e Alienazione (Castelvecchi).
Il dialogo sul fatto che il capitalismo possa essere ritenuto un ordine sociale istituzionalizzato o una forma di vita costituisce la prima parte di questo volume. Molti i punti di convergenza tra le due filosofe grazie all’evocazione di un ospite neanche tanto troppo inatteso: Karl Marx e la sua critica dell’economia politica. Il capitalismo, così, non coincide solo con il mercato, ma è una formazione sociale e politica basata sull’appropriazione privata di una ricchezza prodotta socialmente e con un plusvalore estorto alla forza-lavoro all’interno del processo lavorativo.
Fin qui nulla di sconvolgente. È questo patrimonio della riflessioni tanto ortodosse che eretiche marxiste, aggiungono le due filosofe. Quel che rende importante Marx è la sua capacità di porre in rapporto questo regime di produzione della ricchezza con un modello compiuto di società, di relazioni politiche e financo intersoggettive.
Orizzonte attorno al quale si dipana la seconda parte del volume, la più complicata, articolata. Si spazia da Habermas a Foucault, dai postmoderni alle teorie della giustizia di John Rawls. Quel che è sicuramente significativo è l’introduzione del concetto di lotte di confine e della distinzione tra sfruttamento ed espropriazione fatta da Fraser.
Con la prima espressione la filosofa statunitense indica tutti i conflitti attorno alla distribuzione della ricchezza, il riconoscimento (la razza, il genere), il funzionamento degli stati (la democrazia come oggetto del contendere, non considerandola dunque come la forma politica funzionale al capitalismo), le separazione tra politica ed economia, tra natura e umano; con il secondo polo della riflessione (sfruttamento ed espropriazione) evidenzia il fatto che con l’espropriazione il capitalismo si appropria di materie prime esistenti in natura, ma anche dell’intelligenza collettiva e dell’innovazione prodotte al di fuori della logica capitalistica.
Le pagine su questo tema sono rilevanti, antidoto al chiacchiericcio presente in tanta sinistra orfana del quarto stato e del movimento operaio quando mette in opposizione conflitti sul lavoro con i conflitti sui diritti, una afasia del pensiero critico e una vera condanna alla marginalità politica proprio quando invece è salutata come una affermazione orgogliosa di chissà quali identità politiche da recuperare.
Le pagine scorrono veloci. Tutto bene, dunque. Meno di quanto si pensi quando si arriva alla terza parte del volume – la contestazione del capitalismo – dove Fraser e Jaeggi si inoltrano su strade non proprio convergenti. Fraser se la prende con il neoliberalismo progressista, frutto dell’alleanza tra gli imperativi economici e quello dei diritti civili contro quelli sociali (a questo proposito va segnalato anche il suo recente volume Il vecchio muore e il nuovo non può nascere (ombre corte, pp. 75, euro 7); Jaeggi è più propensa a misurarsi con le sperimentazioni, spesso effimere e segnate da un anarchismo naive, ammette, dei movimenti sociali. Al di là delle loro divergenti convergenze, è evidente il tentativo di misurarsi sulla necessità di una teoria critica adeguata al presente. Intenzionalità condivisibile, ma che si sarebbe avvantaggiata se fosse stata rafforzata dal fatto che la produzione di merci ormai non riguarda solo un aspetto della vita individuale o collettiva – la presenza o meno nel mercato del lavoro, sia come lavoratore garantito che come precario – né solo una parte della giornata secondo una tripartizione tra lavoro, riposo e affettività.
La produzione di merci prevede ormai, usando un lessico di Jaeggi, vera e acuta sparring partner in questo dialogo, una mobilitazione quasi totale della natura umana che ridefinisce dunque i confini, le zone di confine tra riconoscimento, espropriazione, sfruttamento, diritti civili e diritti sociali.
Quel che serve, dunque, è assumere il fatto che il capitalismo è sia un ordine sociale istituzionalizzato che una forma di vita; e che la questione dell’organizzazione per definire resistenze e sua contestazione – bella la formulazione che se c’è un potere va organizzato un contropotere. Dunque un libro da meditare e che apre percorsi di ricerca da seguire accettando la possibilità, anzi sapendo benissimo che sono da abbandonare una volta esperita l’ingresso e la vita negli atelier della produzione, dove lotte di classe e di confine sono ormai inestricabili.