Carlo Clericetti su Micromega analizza criticamente un documento reso pubblico dal Ministero tedesco per gli Affari economici e l’azione climatica, di cui è titolare Robert Habeck, co-leader dei Verdi tedeschi. Questo breve testo, intitolato “Proposta di principi per guidare il governo tedesco nelle decisioni sulla riforma delle regole fiscali”, interviene sul dibattito aperto in Europa sulla revisione delle regole del “Patto di Stabilità e Crescita”. Sospese per effetto della pandemia, le Regole dovrebbero tornare in vigore in tempi non ancora definiti ma che sembrano rapidamente avvicinarsi. Esiste un certo consenso sul fatto che debbano essere necessariamente riviste sulla base dei danni che hanno prodotto nel passato (anche se non verranno mai riconosciuti così esplicitamente) e del mutamento della situazione internazionale.
Un’ipotesi di modifica era stata avanzata con un articolo comune pubblicato sul Financial Times da Draghi e Macron. Ora il Ministro dell’Economia tedesco interviene con questo documento nel dibattito aperto. Secondo la, condivisibile, valutazione di Clericetti il testo di Habeck “fa pensare alla famosa frase di Benedetto Croce dopo la caduta del fascismo, ‘heri dicebamus’, come dicevamo ieri, cioè alla ripresa di un discorso interrotto da una fastidiosa parentesi che può essere finalmente dimenticata per ricominciare dal punto in cui era iniziata, senza alcuna continuità”.
Il testo del Ministero tedesco assume sempre come punto di partenza il controllo del debito e la sua riduzione nei paesi in cui esso è più elevato in rapporto al Pil, tra i quali evidentemente l’Italia. Con questo fine si assume come dato il cosiddetto “bilancio strutturale” che, afferma Clericetti, “è quella strana cosa inventata magari con una buona intenzione, cioè tener conto delle influenze temporanee della congiuntura sui conti pubblici, ma che ha dato ampie prove dell’assoluta inattendibilità di questi conti, producendo molto di frequente risultati paradossali”. Ciò nonostante gli organismi tecnici dell’Unione formulano le loro “raccomandazioni” ai paesi membri sulla base di questi metodi di calcolo. “Nel documento di Habeck, invece, – sintetizza Clericetti – il suo uso resta assolutamente determinante”.
La regola secondo la il quale il debito andrebbe ridotto di 1/20 ogni anno, palesemente irrealistica se non in una visione di austerità indiscriminata, viene mantenuta anche se adattata al cosiddetto ”debito strutturale”. Per il Ministero di Habeck il debito continua ad essere considerato l’unico fattore di instabilità, inoltre continua ad affidarsi, per verificarne sostenibilità a “metodi matematico-probabilistici” quando invece è stato ampiamento dimostrato che essa dipende piuttosto da decisioni politiche, anche se mascherate da criteri tecnici “neutrali”.
Il documento non prevede adattamento economico alle situazioni specifiche dei singoli Stati (struttura economica, dimensione e caratteristiche dell’export, disuguaglianze interne, ecc.). Inoltre se da un lato si introduce una più limitata flessibilità nella valutazione della “sostenibilità” dall’altro si cerca di irrigidire l’attivazione delle misure di infrazione.
Infine, il Ministero a guida Verde propone di rendere indipendente l’European Fiscal Board, attualmente un organismo tecnico al servizio della Commissione, introducendo un altro elemento di limitazione dei poteri in capo alle istituzioni rappresentative a favore di sedi del tutto a-democratiche.
La posizione conservatrice dei versi tedeschi in materia di regole europee, dando per scontato ovviamente che il documento reso pubblico dal Ministero degli Affari economici abbia l’avallo di Habeck, non può che essere collegata al generale netto riposizionamento politico che hanno effettuato i Verdi tedeschi negli ultimi anni.
Particolarmente significativa in questa direzione la posizione assunta sulla guerra russo-ucraina. Il sito di informazione Politico.eu titolava nell’aprile scorso sulla trasformazione da colombe a superfalchi completata dai Grunen. La posizione favorevole all’invio di armi pesanti a Kyev ha messo in difficoltà anche il socialdemocratico Scholz, preoccupato per i rischi di allargamento del conflitto ma incapace di sostenere coerentemente una posizione diversa da quella caldeggiata dagli alleati.
Come scriveva Hans von der Burchard su Politico si tratta dell’ultimo capitolo di un viaggio durato decenni che ha allontanato il partito d Habeck e della Ministra degli Esteri Baerbock dalle idee pacifiste che erano un tempo centrali nella loro identità. Un punto di svolta in quella direzione era già stata nel 1999 la decisione di sostenere il bombardamento della Jugoslavia, motivato con la difesa della minoranza albanese in Serbia. Se un tempo il partito era diviso tra le correnti dei realos e dei fundis, i primi pragmatici i secondi radicali, oggi quei dibattiti sono in larga parte superati.
Anton Hofreiter, generalmente considerato come il principale esponente di quanto è rimasto della tendenza fundis, è il più accanito sostenitore all’interno del partito del sostegno alla guerra in Ucraina e dell’invio di armi pesanti da parte della Germania. Persino il quotidiano Tageszeitung, tradizionalmente il più vicino ai Verdi tedeschi, ha commentato che Hofreiter sembra più il “rappresentante di un’industria di armamenti” che non un parlamentare ecologista.
Va detto che questo spostamento al centro dei Grunen non ha nuociuto alla loro popolarità. Secondo i sondaggi la loro azione di governo ha fatto crescere la disponibilità di una parte dell’elettorato a votare per loro. Vengono collocati tra il 22 e il 25%, in forte crescita sulle ultime elezioni parlamentari del 2021, di poco dietro ai conservatori della CDU-CSU, ma nettamente avanti ai socialdemocratici che perderebbero 5 o 6 punti. A sinistra la Linke, che non ancora superato le proprie difficoltà, resta attestata tra il e il 5 e 5,5%, pericolosamente vicina alla soglia di sbarramento che non è riuscita a superare nelle ultime elezioni politiche.
L’aumento dei consensi dei Verdi è andato di pari passo con un progressivo mutamento della composizione sociologica del suo elettorato, oggi molto basata sui settori economicamente affluenti. Da partito dei “nuovi movimenti sociali” si è trasformato in rappresentante dei “nuovi ceti medi”.
Franco Ferrari