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I berlinesi sono favorevoli all’esproprio dei mega fondi immobiliari

di Alessandro
Scassellati

La vittoria del referendum di Berlino segna un passaggio dal modello del libero mercato e della gentrificazione verso uno che vede l’alloggio a prezzi accessibili come un diritto umano. Ora, le parole esproprio e socializzazione che sembravano essere diventate impronunciabili sono tornate a fare parte della cassetta degli attrezzi delle politiche di intervento pubblico per riaffermare il diritto all’abitare. Non è poco.

Domenica 26 settembre i berlinesi hanno approvato con il 56,4% dei voti (circa 1 milione), contro il 39%, il quesito referendario – intitolato “Espropriare Deutsche Wohnen & Co!” (DWE) – che prevede l’esproprio di colossi dell’immobiliare che posseggono oltre 3 mila appartamenti nella capitale tedesca, come Vonovia, Deutsche Wohnen, Ado, Convivio, Akelius e altre 5 minori1. Nel mirino ci sono oltre 240 mila appartamenti che i promotori del referendum vorrebbero far tornare all’interno del patrimono pubblico2 per affrontare il caro-affitti e la carenza abitativa che penalizzano i giovani e tutte le persone con bassi redditi (a Berlino, il tasso di povertà si avvicina al 20%, ben sopra la media nazionale). Gli appartamenti verrebbero trasferiti dai privati all’istituzione di diritto pubblico AöR non orientata al profitto per perseguire la politica degli affitti popolari a prezzi calmierati.

Il referendum segna un passaggio dal modello del libero mercato e della gentrificazione verso uno che vede l’alloggio a prezzi accessibili come un diritto umano. Per i promotori del referendum, l’iniziativa mira a garantire che Berlino rimanga accessibile a tutti i suoi residenti e non solo ai ricchi, ripensando allo stesso tempo l’alloggio come bene sociale anziché come una merce. La proprietà pubblica delle unità offrirebbe opzioni abitative più convenienti. L’approvazione della proposta mostra anche che i berlinesi sono interessati a misure più drastiche per raffreddare il mercato rispetto a una zonizzazione più densa o a più edifici costruiti alla periferia della città.

Pur essendo stato il referendum solo consultivo, ora il risultato del voto costringe il governo di Berlino a considerare l’espropriazione dei grandi proprietari per raffreddare uno dei mercati immobiliari più caldi della Germania, dove gli affitti sono diventati insostenibili per molti residenti negli ultimi anni. Il tema del caro-affitti è centrale per una città dove solo il 15% possiede la prima casa e dove i prezzi degli affitti sono più che raddoppiati dal 2004, mentre salari/stipendi sono cresciuti solo del 34%. Inoltre, nel 2017 Berlino è stata la città che ha subito il rincaro dei prezzi immobiliari più alto del mondo: 20,5%3. Se la media ufficiale degli affitti è di circa 10 euro al metro quadrato, sono sempre più diffuse case che costano dai 15 ai 20 euro al metro quadrato. La politica, finora, non sembra essere stata in grado di rispondere in modo adeguato a una crisi sociale montante. I prezzi degli affitti, infatti, sono aumentati ancora del 13% negli ultimi 12 mesi e alla città continuano a mancare oltre 200 mila appartamenti4.

La nuova amministrazione locale dovrà necessariamente confrontarsi con un risultato destinato ad avere un peso nel dibattito sul diritto alla casa, a Berlino e non solo. “Ignorare il referendum sarebbe uno scandalo politico”, ha dichiarato Kalle Kunkel, portavoce del movimento DWE che ha proposto il referendum. “Non ci arrenderemo finché non verrà attuata la socializzazione dei gruppi immobiliari”. Gli attivisti di DWE accusano i grandi proprietari immobiliari di essere responsabili di un aumento degli affitti incontrollato — la cosiddetta Mietenwahnsinn — che spinge le famiglie a basso reddito, gli studenti e sempre di più anche i professionisti meno ricchi a cercare casa in quartieri periferici e mal collegati come Marzahn. Le domande che pongono gli attivisti, oltre a sottolineare il problema dell’esclusione sociale, riguardano quale modello di sviluppo futuro si prevede per una città come Berlino, in cui l’80% degli abitanti non ha una casa di proprietà e vive in affitto. Oltre un milione di persone a Berlino (dei 3,7 milioni di abitanti) vive in attesa di case popolari e alloggi pubblici; molti sono colpiti dall’aumento dei costi legati alla gentrificazione dei quartieri e proprio nel periodo delle crisi pandemica è aumentato il numero dei senzatetto, come sono continuati ad aumentare precarizzazione del lavoro e tassi di povertà.

Le elezioni municipali hanno confermato i socialdemocratici (SPD) alla guida della città: per la prima volta Berlino avrà una sindaca, Franziska Giffey, 43 anni, ex ministra della Famiglia, che ha ottenuto il 21,4% delle preferenze, sconfiggendo la sfidante dei Verdi, Bettina Jarasch, rimasta a quota 18,9%. Starà a lei – già costretta a dimettersi a maggio perché accusata di aver copiato la sua tesi di dottorato – il compito di trovare una soluzione creativa a una sfida che vede contrapposti importanti diritti a enormi interessi, delineando un percorso che in ogni caso non sarà né facile né breve.

Durante la campagna elettorale, i socialdemocratici si erano detti contrari alla misura estrema dell’esproprio, considerata (in accordo con l’unione cristiano-democratica e i liberal-democratici) una linea rossa da non superare. Ma, il buon risultato dei verdi (Grünen) – che si sono attestati al 18,9%, in aumento dal 15,2% – e il calo contenuto dell’estrema sinistra (Linke) – scesa al 14% dal 15,5% – impongono il tema al centro del nuovo governo della Città-Land. Sia Linke sia Grünen, infatti, hanno sostenuto il quesito referendario, seppur con sfumature diverse: per la sinistra, come principale forza promotrice; per i verdi, più come mezzo di pressione per portare le società immobiliari a un tavolo negoziale.

Non a caso, all’indomani del voto la neosindaca Giffey, che alla vigilia aveva detto di sperare “vivamente che il referendum non ottenga la maggioranza”, ha già ammorbidito la sua posizione, assicurando ai berlinesi un esame serio della questione: “Questo referendum deve essere rispettato e devono essere prese le misure necessarie”, ha dichiarato alla radio-tv pubblica ARD, aggiungendo, però, che “bisognerà anzitutto vedere se l’esproprio sarà compatibile sotto il profilo costituzionale” (i promotori del referendum hanno fatto riferimento all’Articolo 15 della Legge Fondamentale tedesca, in virtù della quale è concessa la nazionalizzazione di asset “per ragioni di pubblica utilità … da una legge che determina la natura e l’entità del risarcimento”). Per lei, in ballo c’è anche la formazione della coalizione per il governo della Città-Stato, con una possibile riedizione di una giunta rosso-rosso-verde (improponibile a livello nazionale per il tracollo della Linke), o per un allineamento alla possibile alleanza nazionale SPD-Verdi-Liberali. La neosindaca incarna la corrente di destra della SPD perfettamente compatibile con la geometria rosso-nero-gialla, tuttavia l’alleanza non verrebbe digerita dai Giovani socialisti (Jusos), dall’ala sinistra del suo partito e molto probabilmente anche dagli iscritti che sul punto hanno l’ultima parola.

Allo stesso tempo, le scosse di una eventuale nazionalizzazione farebbero tremare la Germania perché il mercato immobiliare su scala nazionale in qualche misura soffre lo stesso problema che attanaglia i berlinesi: una bolla speculativa che ha spinto i prezzi delle abitazioni in vendita e in affitto in continuo aumento, con picchi che rendono appartamenti e case irraggiungibili dai più con un’offerta strutturalmente bassa rispetto alla domanda.

In ogni caso, la strada per arrivare a una eventuale legge sull’esproprio è tutt’altro che semplice. L’iniziativa “Espropriare Deutsche Wohnen and Co!”, infatti, non ha messo ai voti un disegno di legge, ma ha formulato un invito al Senato statale a occuparsene. Il mandato politico, dunque, è quello di esaminare la fattibilità del referendum sulla base di un disegno di legge. La stessa Giffey ha espresso dubbi sulla fattibilità della nazionalizzazione dei grandi gruppi immobiliari: “Se non è costituzionale, non possiamo farlo”, ha messo le mani avanti. Giffey ha anche rinnovato la sua posizione espressa durante la campagna per la Camera dei Rappresentanti, ovvero che, secondo lei, gli espropri non avrebbero contribuito alla costruzione dei nuovi alloggi necessari. È lecito aspettarsi una miriade di cause legali e un esito incerto, su cui pesa un precedente importante: in primavera la Corte Costituzionale tedesca ha bocciato come incostituzionale la legge Mietendeckel, con cui appena qualche mese prima il Land di Berlino aveva introdotto un congelamento e un tetto al rialzo dei prezzi degli affitti fino al 2025. Il motivo addotto dai giudici è che il mercato abitativo è regolato dagli Stati mentre le leggi sugli affitti sono federali.

I risultati del referendum sono arrivati mentre Vonovia, la più grande società tedesca di affitti residenziali, ha dichiarato di aver raggiunto la soglia del 50% necessaria per acquistare la rivale più piccola, Deutsche Wohnen, creando un colosso immobiliare con circa 550.000 appartamenti per un valore di oltre 80 miliardi di euro. Rispondendo al risultato del referendum, il CEO di Vonovia, Rolf Buch, ha dichiarato che “gli espropri non risolvono le molteplici sfide sul mercato immobiliare di Berlino” e, quindi, ha chiesto di aprire una trattativa per trovare delle soluzioni diverse. Sottolineando anche che la città di Berlino, che ha già un debito pubblico di quasi 60 miliardi di euro, dovrebbe investire negli espropri circa 36 miliardi di euro (stima della città) con cui si potrebbero costruire 200 mila nuovi appartamenti a prezzo abbordabile (attualmente, solo circa 16 mila abitazioni sono state consegnate ogni anno, nonostante le stime secondo cui la città avrebbe bisogno di circa 100 mila all’anno). Il fattore decisivo sarà se la città dovrà pagare il prezzo di mercato per gli appartamenti5. Gli attivisti pretendono che le case siano in quel caso pagate “ben al di sotto del valore di mercato“ e dicono che l’investimento (da loro stimato tra i 7 e i 13 miliardi di euro) fatto per espropriare le case però sarebbe ripagato, nel lungo termine, dagli affitti degli stessi affittuari.

A inizio settembre Vonovia e Deutsche Wohnen avevano annunciato un piano per vendere quasi 15.000 appartamenti a Berlino per 2,46 miliardi di euro e si sono anche impegnati a limitare gli aumenti degli affitti fino al 2026, con Vonovia che ha detto che gli aumenti degli affitti saranno limitati all’1%, come parte di un tentativo di ottenere sostegno politico per la loro fusione.

Ma, ai berlinesi chiaramente non è bastato. Ritengono che o con l’esproprio o con un tetto agli affitti, sia ora di cambiare musica: un messaggio destinato ad avere ripercussioni anche nelle altre città tedesche ed europee dove le problematiche del diritto all’abitare assumono connotazioni molto simili a quelle di Berlino. Anche se non c’è alcuna garanzia che la campagna sarà in grado di mantenere le sue promesse, il suo approccio democratico alla demercificazione degli alloggi può servire da lezione ad altre città alle prese con l’esplosione dei costi degli alloggi.

Ad oltre 10 anni da una grave crisi finanziaria globale originata in larga parte a seguito della fine di una bolla del mercato immobiliare, tutte le grandi aree metropolitane europee e mondiali devono affrontare una crisi legata all’insicurezza abitativa. Si sono sovrastrutturate per alloggiare ricchi, benestanti e turisti, mentre mancano di alloggi a prezzi accessibili per le classi lavoratrici medie e popolari, i cui stipendi e salari sono rimasti pressoché stazionari (in termini reali) negli ultimi 30 anni. Da solo il mercato non è in grado di soddisfare la domanda di alloggi decenti a prezzi accessibili a tutti. Ora, grazie al referendum di Berlino, le parole esproprio e socializzazione che sembravano essere diventate impronunciabili sono tornate a fare parte degli strumenti delle politiche di intervento pubblico (insieme a tetti degli affitti, social housing, incentivi, sovvenzioni ed altre regolazioni del mercato abitativo) per riaffermare il diritto all’abitare. Non è poco.

  1. Segnaliamo gli articoli che abbiamo pubblicato di recente sulla questione del diritto all’abitare a Berlino, in Italia e negli Stati Uniti.[]
  2. Prima della caduta del Muro, Berlino Ovest sopravviveva grazie alle sovvenzioni della Germania Ovest, ma quando il Muro è caduto le sovvenzioni sono finite e il governo locale ha accumulato enormi debiti. Cercando una soluzione, ha venduto enormi beni a società private, tra cui il servizio idrico della città e circa 200 mila appartamenti.[]
  3. Per fare un paragone, Milano lo stesso anno rincarava solamente dello 0,3%. La comparazione va letta alla luce del fatto che Milano-centro storico ha affitti che non scendono sotto i 20 euro/m2 dal 2012 (la media del comune di Milano è invece di 18,3 euro/m2) e che i salari/stipendi a Milano sono circa 1000 euro più bassi di quelli di Berlino. Milano rimane la città che retribuisce meglio, ma con gli affitti più cari in Italia. Circa 40 grandi proprietari a Milano possiedono circa 18 mila appartamenti.[]
  4. Durante la campagna elettorale, il candidato alla cancelleria dell’SPD Olaf Scholz ha dichiarato di voler avviare un programma immediato per la costruzione di centinaia di migliaia di appartamenti in affitto a prezzi accessibili e di proprietà in Germania in caso di governo sotto la sua guida.[]
  5. L’art. 14 della Costituzione afferma che “l’indennizzo deve essere stabilito mediante un giusto contemperamento fra gli interessi della collettività e gli interessi delle parti. In caso di controversia sull’ammontare dell’indennizzo è aperta la via giudiziaria di fronte ai tribunali ordinari”. La legge dunque fornisce solo vaghe indicazioni sull’indennizzo dovuto agli espropriati. []
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