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Guerre stellari digitali, al tempo della pandemia Covid-19

di Roberto
Rosso

“Ai sensi del regolamento generale sulla protezione dei dati (in appresso “RGPD”) il trasferimento dei suddetti dati verso un Paese terzo può avvenire, in linea di principio, solo se il Paese terzo considerato garantisce a tali dati un adeguato livello di protezione. Secondo tale regolamento, la Commissione può constatare che, grazie alla sua legislazione nazionale o ad impegni internazionali, un Paese terzo assicura un livello di protezione adeguato.”

Così esordisce il comunicato stampa sulla sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea su un caso sollevato dal cittadino austriaco Maximillian Schrems, iscritto a Facebook, in merito al trasferimento dei dati personali raccolti dalla piattaforma dai server collocati in Irlanda a quelli situati negli Stati Uniti.

“Il sig. Schrems ha presentato all’autorità irlandese di controllo una denuncia diretta, in sostanza, a far vietare tali trasferimenti, sostenendo che il diritto e le prassi degli Stati Uniti non assicurano una protezione sufficiente contro l’accesso, da parte delle pubbliche autorità, ai dati trasferiti verso tale paese.”

“Con la sua sentenza odierna, la Corte constata che, dall’esame della decisione 2010/87 alla luce della Carta dei diritti fondamentali (in appresso “la Carta”), non è emerso alcun elemento idoneo ad inficiarne la validità. Essa dichiara, invece, invalida la decisione 2016/1250“.

Secondo la Corte, le limitazioni della protezione dei dati personali che risultano dalla normativa interna degli Stati Uniti in materia di accesso e di utilizzo, da parte delle autorità statunitensi, di siffatti dati trasferiti dall’Unione verso tale Paese terzo, e che sono state valutate dalla Commissione nella decisione 2016/1250, non sono inquadrate in modo da rispondere a requisiti sostanzialmente equivalenti a quelli richiesti, nel diritto dell’Unione, dal principio di proporzionalità, giacché i programmi di sorveglianza fondati sulla suddetta normativa non si limitano a quanto strettamente necessario.”

Senza entrare nel merito delle due decisioni della Commissione Europea, tra loro in contraddizione, è chiaro il motivo per cui la corte dichiara invalida la decisione 2016/1250.

In buona sostanza si dichiara non efficace -potremmo addirittura dire non esistente- il cosiddetto EU–US Privacy Shield ossia protezione offerta dal regime dello scudo UE-USA per la privacy. Il riferimento normativo citato all’inizio del comunicato è il Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati ( acronimo RGPD in italiano) che da alcuni anni abbiamo imparato a conoscere bazzicando la rete.

USA Vs Cina: Europa campo di battaglia

Questa vicenda si colloca nel cuore dei processi di innovazione e organizzazione delle nostre società la cui regolazione è sempre più centrata sul governo ed il trattamento dei flussi globali di informazione, dove l’economia si fonda sull’utilizzo ed estrazione dei dati da ogni fibra del tessuto sociale. Questo cuore è carico di conflitti, la cui posta in gioco è il primato nell’innovazione tecnologica e quindi nell’economia globale; in questo momento la partita si gioca soprattutto tra gli USA e la Cina.

Principale oggetto del contendere tra USA e Cina nell’ultimo periodo è stata la tecnologia del 5G, su cui la Cina ha conquistato un notevole vantaggio in termini di efficacia e costo dei dispositivi e delle reti, il ruolo di capofila tocca alla società Huawei. La tecnologia 5G, per la dimensione del flusso di dati che riesce a trasmettere, per la sua versatilità in funzione delle applicazioni e per la ridotta latenza, diventa il veicolo necessario alle applicazioni di Intelligenza Artificiale che richiedono per essere efficaci di macinare una grande quantità di dati.

Permette di rendere disponibili le informazioni non solo a posteriori, ma anche in tempo reale per applicazioni di automazione industriale, regolazione dei flussi di traffico, mezzi a guida autonoma, riconoscimento facciale ed in generale di regolazione e controllo sociale, per citare solo alcune delle possibili applicazioni dell’uso congiunto di 5G ed intelligenza artificiale. L’Europa in tutto questo è terreno di scontro, l’Inghilterra ha già deciso di bandire Huawey.

Simone Pieranni -autore di Red Mirror testo sulla trasformazione digitale della Cina di cui andremo a parlare- in un suo articolo sul Manifesto che prende il titolo “Digitale e nel Pacifico: la guerra fredda 2.0” descrive la natura del confronto USA e Cina“Intanto non c’è uno scontro ideologico come in passato, in secondo luogo Usa e Urss avevano economie completamente sganciate una dall’altra e oggi per Stati uniti e Cina non è più così, sono entrambe inserite all’interno dei meccanismi del capitalismo globale con Pechino a farsi baluardo del libero mercato contro il protezionismo di Trump.
(…)
Yan Xuetong professore dell’Istituto di relazioni internazionali dell’università Tsinghua di Pechino sul magazine cinese Caixin ha ricordato che nella prima metà della guerra fredda «i paesi erano stati classificati in quanto occidentali, orientali o terzo mondo. Nella seconda metà, gli Stati sono stati identificati come sviluppati o in via di sviluppo. Nei prossimi decenni, i paesi saranno classificati in quanto digitalizzati o poco digitalizzati e poco connessi».
(…)
Sul Financial Times, John Thornhill ha scritto che «Se la guerra fredda 1.0 ruotava attorno all’hardware militare e alla minaccia di annientamento nucleare, allora la guerra fredda 2.0 riguarda più l’innovazione tecnologica. Internet sta emergendo come una tecnologia di controllo, non solo di comunicazione». Chiunque gestisca l’Internet delle cose globali, collegando miliardi di dispositivi, avrà un vantaggio geostrategico.”

Un’altra applicazione è venuta a far parte del contenzioso tra USA e Cina, si tratta di Tik Tok, vi sono analogie con il conflitto Europa-USA su Facebook, salvo che in questo caso sono gli Usa a diffidare della Cina. Gli Stati Uniti minacciano di bloccare Tik Tok, per le incertezze sulla destinazione dei dati raccolti dalla piattaforma. Il confronto sulle piattaforme digitali, la diffidenza verso la Cina, coinvolge anche l’India che ha recentemente bloccato 57 app, soprattutto cinesi, inclusa TikTok a WeChat (di Tencent) in seguito alle tensioni tra i due Paesi nella zona di Confine della Galwan Valley in Himalaya.

La Cina da fabbrica del mondo a hub tecnologico

Se vogliamo capire il livello raggiunto dall’innovazione digitale, ragionare delle trasformazioni che induce nelle formazioni sociali, dei conflitti globali che genera dobbiamo guardare dentro ciò che avviene in Cina. Per farlo riportiamo sinteticamente alcuni elementi dal libro di Simone Pieranni Red Mirror, che non rendono comunque la ricchezza di conoscenze .

Il racconto esordisce con la descrizione della piattaforma Wechat di cui dice “Nel corso di tutta la mia giornata non sono mai uscito da WeChat. In Cina lo smartphone è WeChat. E WeChat sa tutto di ognuno di noi. (…)

WeChat (Weixin in mandarino) è un’applicazione, una «super-app» come viene spesso definita, grazie alla quale in Cina, come dimostra la giornata appena descritta, è possibile fare di tutto. È divenuta una presenza totalmente pervasiva nella vita quotidiana dei cinesi.”
Pagamenti dalla metropolitana, al treno al ristorante, prenotazioni, mappe e percorsi, contabilità, dati biometrici.

“… ho incontrato un giovane manager cinese. A un certo punto della nostra conversazione, all’ennesimo esempio di quanto WeChat faccia risparmiare tempo (le file in banca, negli uffici pubblici, al cinema e in migliaia di altri posti) gli ho chiesto a cosa sia dedicato tutto quel tempo guadagnato. «Forse a stare al cellulare», mi ha risposto sorridendo. In effetti, in una giornata intera non ho mai usato il portafoglio, la mail, un browser.”

“Inoltre, se è vero che WeChat può anche essere descritta come una somma di app che noi già conosciamo e utilizziamo, contiene altresì una caratteristica davvero particolare rispetto alle nostre applicazioni: può essere utilizzata per pagare qualsiasi cosa. Ogni account di WeChat è infatti collegato al conto bancario dell’utente e, attraverso la lettura dei vari Qrcode, è possibile comprare di tutto”
“Se vogliamo descriverla attraverso un paragone con il nostro mondo tecnologico, possiamo dire che è come un gigantesco contenitore che mette insieme Facebook, Instagram, Twitter, Uber, Deliveroo e tutte le app che utilizziamo.”

“È ormai consuetudine, per esempio, prenotare visite mediche o pagare le tasse o le fatturazioni tramite WeChat; oppure incontrare, camminando per le strade delle metropoli cinesi, homeless che per ricevere l’elemosina mostrano ai passanti un cartello con un Qrcode. Anche l’elemosina, in Cina, oggi si fa via WeChat.”

“La superapp ha finito per creare una sorta di ecosistema all’interno del quale non serve altro, perché è capace di occuparsi di ogni aspetto della nostra vita quotidiana. In alcune città, il profilo WeChat si usa già come documento di identità. “

“WeChat si è evoluta in una sorta di sistema operativo all’interno del quale girano tutti i programmi.”
“WeChat è diventata la memoria storica dei gusti, delle passioni, delle idee, delle inclinazioni, del potenziale di spesa di un miliardo di persone. E di tutti questi dati sa cosa farne.”
La piattaforma WeChat è diventata un modello per Mark Zuckerberg che ragiona sulla integrazione della costellazione di applicazioni di cui è proprietario a cominciare dal Messenger di Facebook, Whatsapp e Instagram.(…) “Qual è il futuro secondo il fondatore di Facebook? La messaggistica privata, i «gruppi»: guardando al mondo tecnologico cinese, Zuckerberg ha capito che è dentro ai gruppi e alla messaggistica privata che si può potenzialmente creare la ricchezza futura di Facebook; non solo in termini di eventuale advertising, ma anche e soprattutto in termini, ad esempio, di passaggi di denaro, di acquisti diretti e naturalmente di dati, moltissimi dati.”
La pervasività delle funzioni della piattaforma nella vita di oltre un miliardo di cinesi ne fa ovviamente l’oggetto delle attenzioni dello stato che utilizza abbondantemente la tecnologia per il controllo sociale.

D’altra parte le vicende di Snowden e di Cambridge Analytica dimostrano come i dati, forniti da ognuno di noi alle piattaforme digitali, siano oggetto di commercio ed alimentino dispositivi di sorveglianza, a fronte di una crescente opacità nell’azione degli stati, che resistono alle richieste di trasparenza, nonostante l’adozione negli Stati Uniti del Freedom of Information Act (FOIA), aggiornato e potenziato durante la presidenza Obama.

La vicenda della super-applicazione esemplifica la svolta avvenuta in Cina a partire dalla crisi del 2008. “Fino a quell’anno, il successo e la crescita cinese dipendevano quasi esclusivamente dalla sua funzione di «fabbrica del mondo», cioè produttore di quantità gigantesche di merce a basso costo. Nel 2008 questo sistema venne radicalmente modificato: il calo degli ordini di prodotti cinesi dai mercati occidentali obbligò la dirigenza di Pechino a cambiare pelle al proprio sistema economico produttivo. Il mantra che accompagnava la crescita della «società armoniosa» cominciò a essere «meno quantità, più qualità».”

Grande fratello nella città del futuro

Pieranni nel capitolo ‘Le città del futuro’ affronta il tema, luogo topico dell’utopia digitale, delle Smart Cities nella realtà cinese.

Facciamo la conoscenza della startup Terminus, fondata nel 2015 fattura oltre un miliardo di dollari. “Il suo scopo è infatti quello di provvedere per conto del governo alla gestione «intelligente» di compound e interi quartieri cittadini, mettendo insieme quanto l’attuale menu in fatto di Intelligenza artificiale e Internet delle cose (IoT) consente. I quartieri delle città gestiti dalla Terminus forniscono ogni genere di informazioni sia sui residenti sia sui semplici passanti; tutti dati che provengono dal silenzioso e incessante lavoro di videocamere intelligenti, attraverso i sistemi di riconoscimento facciale, la geolocalizzazione e i «voiceprint», le impronte audio: l’unione di tutte queste informazioni scorre di fronte a schermi controllati da uomini della sicurezza. Tutto è ripreso, ogni singolo movimento è registrato. (…) A corollario si controlla anche il livello di inquinamento e quello energetico di palazzi e strade, ma per il momento è un business meno redditizio di quello con il governo.”

Rilevante è l’integrazione tra tecnologia e organizzazione sociale. “L’azienda è in grado di utilizzare non solo quanto prodotto dai propri apparati tecnologici, ma anche il lavoro delle diverse forme di controllo esercitate dall’organizzazione di quartiere cinese, vale a dire i tanti comitati che compongono l’organizzazione securitaria – accettata da tutti – degli spazi cittadini e in grado di monitorare i residenti, i visitatori e anche i veicoli all’interno delle aree designate. (…) “Il nome del progetto governativo che vuole far sì che ci sia una telecamera ogni tre persone entro breve tempo in Cina si chiama Xue Liang in mandarino e significa «occhi acuti», espressione che ricorda lo slogan maoista secondo il quale «la popolazione ha occhi acuti». (…) Terminus avrebbe già completato 6891 progetti di smart city in Cina. Le sue soluzioni coprirebbero un’area totale di 554 milioni di metri quadrati per una popolazione di oltre 8 milioni di persone. Lo sforzo – viene spiegato negli uffici di Terminus – sarà quello di riuscire ad applicare concetti «intelligenti» a palazzi residenziali.

(…) Pechino ha sviluppato talmente tanti progetti di smart city e con così tanto anticipo rispetto all’Occidente da avere, oggi, la possibilità di vendere anche sui mercati internazionali, compresi quelli occidentali, i prodotti tecnologici necessari a realizzare le smart city, a prezzi competitivi.”

L’autore osserva giustamente che le smart city rischiano di diventare un altro dispositivo di diseguaglianza, dove è destinata a vivere una minoranza della popolazione, in un ambiente ecologicamente equilibrato in contrasto con le condizioni del resto del territorio e della popolazione. Il limite di ogni utopia tecnologica è quello di concentrare ed utilizzare risorse a scapito del resto dei territori, in primo luogo quei minerali le terre rare, che sono indispensabili per la realizzazione di qualsiasi dispositivo elettronico e per la produzione di energia a bassa emissione di carbonio.

In sintesi “Un elemento del passato, lo sviluppo economico e l’inquinamento che ha comportato, e uno del futuro, la corsa tecnologica in atto da anni, hanno sostanzialmente obbligato la Cina a ripensare il proprio sviluppo urbano, perseguendo il modello della smart city, in grado di sviluppare al massimo l’IoT e permettere ogni tipo di controllo.”

Dallo sfruttamento forsennato del lavoro umano alla sua sostituzione con i robot

Pieranni descrive anche le diverse condizione di sfruttamento del lavoro, quella dei lavoratori impegnati in funzioni ad alto contenuto tecnologico inquadrati nel modello definito dalla sigla 996 -dalle 9 del mattino alle 9 di sera, 6 giorni alla settimana. Quella degli operai della Foxconn dove si si producono dispositivi progettati in California e assemblati in Cina.

Devi Sacchetto e Ferruccio Gambino, nel loro libro ‘Nella fabbrica globale. Vite al lavoro e resistenze operaie nei laboratori della Foxconn’ ogni giorno, spiegavano come un lavoratore impiegato in una delle fabbriche Foxconn compie dai 18mila ai 20mila movimenti per turno.”

La Foxconn ha esportato il proprio modello di produzione in tutti i paesi in cui ha espanso il proprio ciclo di produzione: “Come in Cina, inoltre, la produzione è impostata sulla velocità d’esecuzione. Capireparto e capilinea mettono sotto pressione i lavoratori per mantenere elevato il ritmo produttivo. I turni sono di 12 ore, le condizioni di lavoro e le pressioni portano a un elevato numero di incidenti e infortuni. E anche in Repubblica Ceca, per gli interinali – che costituiscono il 60 per cento degli occupati –, esistono i dormitori.”

Le lotte che hanno attraversato quel ciclo non ne hanno modificato la natura ed ora la società sta introducendo migliaia di robot in sostituzione dei lavoratori. Un gruppo lavoratori ‘996’ dell’high tech invece ha ottenuto una solidarietà a livello mondiale verso una loro protesta espressa attraverso la piattaforma GitHub, utilizzata per condividere progetti software.

Esiste una terza categoria di lavoratori quella degli ‘etichettatori’, “Lavoratori che nel corso di una giornata visualizzano migliaia di immagini, etichettando qualsiasi cosa: guardano una foto su uno schermo e appongono manualmente etichette, guardano un video e appongono etichette, ascoltano un audio e appongono etichette. Su qualsiasi cosa: il volto di una persona, una strada, una lunga fila di macchine, panorami e luoghi, animali. Qualsiasi cosa passa dal tag degli etichettatori. (…) servizi. In Cina un «data-tagger» può anche elaborare 40 foto al giorno, guadagnando 10 yuan all’ora, circa un euro, per uno stipendio mensile totale di 300 euro.” In buona sostanza forniscono materia prima alla elaborazione delle intelligenze artificiali.

Un esercito di robot marcia sul mondo del lavoro cinese

Nel 2015 a Dongguan – città emblema della Cina «fabbrica del mondo», dove si produceva la maggioranza delle merci che abbiamo conosciuto come «made in China» – è nata la prima fabbrica senza umani, all’interno di un più vasto progetto definito dalle autorità cinesi Replacing Humans with Robots. Gli effetti di questa corsa all’automazione, sancita dal progetto voluto da Xi Jinping Made in China 2025 (ovvero il tentativo da parte della Cina di innovare dieci settori industriali strategici per diventare leader mondiale nei settori tecnologici chiave), pare stiano già dando i primi frutti, non proprio positivi per i lavoratori cinesi. Secondo i dati che emergono da un rapporto della China Development Research Foundation, l’automazione ha sostituito i posti di lavoro fino al 40 per cento in alcune aziende cinesi negli ultimi tre anni, evidenziando gli effetti della spinta di Pechino per diventare una superpotenza mondiale nell’Intelligenza artificiale.

Tra le iniziative tecnologiche cinesi con un respiro globale ricordiamo la Blockchain-based Service Network (BSN) -già ricordata in altro articolo- che si connette con 6 reti già esistenti (Tezos, NEO, Nervos, EOS, IRISnet and Ethereum) e si propone come rete globale, come accesso ai servizi offerti dalla blockchain, per le aziende di tutto il mondo.

Non dimentichiamo che la tecnologia blockchain è alla base della proposta, partita da Facebook e non solo, per la creazione di una nuova moneta virtuale e globale che si avvalga della pervasività delle piattaforme digitali: il modello WeChat farebbe un salto di qualità, integrando tutte e tre le funzioni della moneta non solo quella di mezzo di pagamento.

Queste brevi annotazioni rendono conto dello straordinario sviluppo tecnologico cinese e di conseguenza dell’innalzamento del livello di scontro con gli Stati Uniti, laddove la competizione tecnologica rappresenta il cuore di una competizione globale che si sviluppa su tutti i terreni ed in tutte le aree del mondo. Ciò mette in crisi e rende reversibile l’integrazione delle due economie. È cominciato il cosiddetto decoupling , dopo i l’alternarsi di tentativi dell’amministrazione americana di riequilibrare i rapporti di scambio tra i due paesi con l’innalzamento dei dazi e successive mediazioni, in netta accelerazione dallo scoppio della pandemia Covid19.

In tutto ciò vi sono dei veri e propri paradossi come il seguente. “Per esempio, l’esercito americano ha cominciato ad acquistare prodotti di videosorveglianza cinese. Le motivazioni: il prezzo e le performance. Secondo un’inchiesta del «Financial Times», la base dell’esercito di Fort Drum nel giugno del 2018 ha acquisito telecamere Hikvision per un valore di 30mila dollari. Una gara d’appalto per telecamere di sicurezza del campo base Marine Corps di Lejeune nel gennaio 2019 ha rilevato – per altro – che solo le apparecchiature Hikvision funzionerebbero in rete con altre telecamere, dando così la possibilità di accedere anche a dati sensibili provenienti da altri strumenti tecnologici utilizzati.”

“Come riportato dai media internazionali, infatti, il sistema di Hikvision è in grado di identificare accuratamente i volti indipendentemente dall’etnia, mentre alcune tecnologie sviluppate in Occidente sono accurate solo per quanto riguarda la popolazione bianca. (…) Perché la tecnologia cinese oggi è considerata così avanzata in termini di riconoscimento riconoscimento facciale e di competitività internazionale? (…)
Una prima spiegazione ha a che vedere con un continente gigantesco destinato a crescere in modo clamoroso a livello demografico nei prossimi anni: nel 2050 un bambino su 13 nel mondo sarà nigeriano, un abitante su quattro sarà africano. (…) Ma questo rapporto privilegiato della Cina con i paesi dell’Africa ha anche altri risvolti, legati proprio all’Intelligenza artificiale. Con lo Zimbabwe, nel marzo 2019, la società cinese CloudWalk Technology, con sede a Canton, ha sottoscritto una partnership per dare avvio a un programma di riconoscimento facciale su larga scala in tutto il paese.”

Tornando all’interno della Cina, l’uso della tecnologia della sorveglianza e del riconoscimento facciale è poi utilizzato contro la popolazione degli Uiguri nello Xinjiang dove “E si è passati al livello successivo: da alcuni anni Pechino ha trasformato quel territorio in un immenso laboratorio sociale che – secondo alcuni studiosi – sconfina ormai nell’esperimento totalitario puro e semplice. La regione è la più sorvegliata del paese; in ogni zona delle città sorgono posti di polizia: telecamere ovunque, territorio militarizzato e talvolta chiuso all’esterno.”

La situazione offre un quadro di trasformazioni in corso, conflitti e contraddizioni profonde e drammatiche, non ultime quella sul lavoro che vede al centro tecnologico del mondo la spinta verso la sostituzione del lavoro umano con robot, IOT ed Intelligenza artificiale, mentre centinaia di milioni, se non alcuni miliardi di persone vivono in una misera condizione di un lavoro precario, la cui condizione è stata devastata dall’esplosione della pandemia Covid 19.

In questo contesto l’Europa, terreno di scontro nella contesa USA-Cina, fatica a tenere il passo nonostante non manchino le iniziative per tenere il passo dell’innovazione e della trasformazione sociale conseguente. La tremenda crisi indotta dalla pandemia Covid 19 ha portato alle scelte dell’ultimo Consiglio Europeo ed il flusso di finanziamenti a fondo perduto e prestiti, la cui quota maggiore è toccata all’Italia, dovrà necessariamente alimentar una trasformazione delle strutture economiche e produttive, dove le tecnologie del digitale giocano in modo pervasivo e preponderante, relazione anche con la difesa dell’ambiente, della salute e nella prevenzione del cambiamento climatico.

Per il nostro paese, afflitto da una stagnazione pluridecennale, si pone la necessità di una svolta, di scelte strategiche da prendere in tempi brevi, in base ai vincoli associati alla concessione di prestiti e finanziamenti, nella prospettiva di una trasformazione che opera sui tempi lunghi.

Infine le lotte, la vertenza generale

Come annotazione finale, si deve osservare che la condizione di vita e lavorativa di milioni di persone sarà necessariamente stravolta, con una mobilità da una funzione, da una specializzazione all’altra, assieme alla necessità di un ampliamento della base lavorativa che entra in contraddizione coni processi di automazione. In questo contesto è ridicolo e pericoloso contrapporre diritto al reddito e diritto al lavoro, dove il lavoro scarseggia e le forme di reddito garantito, diretto ed indiretto, compreso l’accesso ai servizi essenziali come la salute, la casa, la mobilità, la cultura/educazione e la connessione, sono miserevoli.

La crisi pandemica non solo ha immiserito la stragrande maggioranza dei lavoratori, dipendenti e indipendenti, ma ha rivelato come la composizione la struttura della produzione, della distribuzione e dell’amministrazione, assieme agli assetti urbani, non potranno tornare come prima. È tempo per una grande vertenza generale, un lungo articolato e complesso processo di lotte che accompagni e determini la direzione della grande trasformazione, non delegabile alle task-force.

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