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Grandi cose nella nostra vita che non governiamo

di Roberto
Rosso

“Nel sito del test nucleare Trinity, in New Mexico, si formò uno strano residuo vetroso verde chiaro (la trinitite) quando l’esplosione nucleare liquefece la sabbia a una temperatura diecimila volte superiore a quella della superficie solare. Robert Oppenheimer battezzò il test nucleare Trinity in onore di uno dei Sonetti Sacri di John Donne: «Espugna il mio cuore, Dio uno e trino». Dopo l’esplosione, il suo pensiero andò a Shiva: «Ora sono la morte, la distruttrice dei mondi»1.

Per decenni l’incubo dell’olocausto nucleare, affidato al precario equilibrio del terrore e ai suoi dispositivi di controllo, è stato l’orizzonte in cui tutta l’umanità ha vissuto, esito possibile della rottura di simmetria, dell’equilibrio della cosiddetta “guerra fredda” nel cui contesto si sviluppava la trasformazione del mondo, una nuova divisione internazionale del lavoro nei ‘trenta gloriosi’ sino all’abbandono del Gold Standard, dei cambi fissi e della convertibilità del dollaro poi l’inversione di tendenza iniziata col gelo monetario del 1979 – il rialzo dei tassi attuato da Volcker – che annunciava la restaurazione e apriva alla ‘rivoluzione’ neo-liberale degli anni ’90 dopo il crollo dell’Unione Sovietica che ha chiuso quella parte della storia, mentre decollavano la rivoluzione digitale e la finanziarizzazione dell’economia:

Sistemi, contesti, in cui siamo vissuti e viviamo a cui diamo un nome, che trattiamo come cose e oggetti pur essendo sistemi, ambienti, processi in cui viviamo ed assieme attraversano anche intimamente la nostra esperienza di vita, di cui cerchiamo di cogliere la complessità, senza mai poter uscire dai loro confini, senza che questi confini in realtà esistano come accade per una superfice sferica, come lo spazio tempo ricurvo su stesso descritto dalla relatività generale einsteiniana; umanamente dobbiamo delimitare per capire, per comprendere, per orientarci, condividiamo termini e significati, facciamo uso di tutti i linguaggi, modalità espressive di cui disponiamo per descrivere realtà che ci sovrastano: dalle espressioni artistiche, letterarie ai modelli matematici, che alimentano la descrizione ed il governo digitale dei processi e dei sistemi.

La pandemia che nominiamo come Covid-19, causata dal virus codificato come Sars-Cov-2, ha ribaltato la vita delle nazioni e delle singole persone – del mondo si potrebbe dire in tutte le accezioni possibili che questo termine evoca – è diventata il contesto in cui ogni attività umana si svolge, il vincolo a cui i sistemi economici e sociali si sono dovuti adeguare. La pandemia, il contagio da virus ‘aderisce’ a tutte le articolazioni delle formazioni sociali, si ‘appiccica’ -direbbe Thimoty Morton- ad ogni increspatura, rilievo e anfratto delle strutture economiche e sociali e culturali, esalta differenze e diseguaglianze; paradossalmente diventa un indice, uno strumento per acquisire nuove conoscenze, per investigare tutte le dimensioni della nostra riproduzione da quella biologica a quella culturale, mentre ci dibattiamo prr liberare i nostri corpi e le nostre società dal contagio continuiamo a scoprire cose nuove su noi stessi e molte che non si vuole far conoscere.

Gli stati di ogni dimensione, ricchezza e potenza sono costretti ad inseguire, ad intervenire nel proprio particolare, a porre vincoli e confini alle proprie relazioni col resto del mondo, la ‘cosa’ ha una dimensione globale che nessuno governa, anzi: la mancata realizzazione di una copertura vaccinale della popolazione globale permette al virus di mutare mettendo a rischio di nuove varianti le strategie di vaccinazione adottate nei paesi più ricchi, oltre a lasciare indifesi miliardi di persone. Un processo globale, dinamico, cangiante che si insinua nei meccanismi psicologici delle singole persone, così come influenza atteggiamenti, orientamenti politici di massa e politiche governative oltre ai cicli economici.

Qualcos’altro incombe sul nostro presente e sul nostro futuro sia quello prossimo che quello più lontano, sono i cambiamenti climatici dovuti al riscaldamento globale. Cambiamenti climatici, al plurale, poiché l’innalzamento della temperatura media è un indice dell’enorme aumento di energia che alimenta cambiamenti diversificati per ambienti e regioni nella dinamica del clima che si allontana dai punti di equilibrio, dai cicli che lo caratterizzavano spastandosi verso nuove configurazioni. A differenza della pandemia che irrompe nelle nostre vite e dilaga in un tempo brevissimo, in proporzione alla sua estensione ed ai suoi effetti, il riscaldamento globale è un processo che viene da lontano ed ha conosciuto una accelerazione a partire dalla seconda metà del secolo scorso. Il sesto rapporto dell’IPCC2 ci racconta i futuri possibili, la cui elaborazione è il frutto di una straordinaria capacità di costruire modelli dei processi climatici su scala sempre più ampia e contemporaneamente su grana sempre più fine. I cambiamenti climatici, i fenomeni metereologici estremi a cui l’umanità è sottoposta in questi mesi in ogni parte del mondo, con le conseguenti inondazioni, bolle di calore, incendi e siccità, ci danno la percezione immediata del cambiamento in corso, dove il legame tra il cambiamento globale ed i fenomeni locali è stabilito entro i parametri della frequenza e dell’intensità dei fenomeni, degli eventi più o meno catastrofici. Tramite la comunicazione globale siamo tutti spettatori di quanto accade in regioni più o meno prossime, ci immedesimiamo in molte situazioni anche quando non ne siamo protagonisti. I segnali che questi eventi estremi, come i cambiamenti più graduali, ma costanti, ci lanciano non si traducono in una consapevolezza condivisa della direzione da prendere o quantomeno in una domanda forte e diffusa di cambiamento delle strategie di gestione delle nostre società. Il movimento dei Fridays for Future ha scalfito appena la superfice della riproduzione sociale. Nelle aree del mondo e rilevanti dal punto di vista economico come gli Stati Uniti, l’Europa, intesa come Unione Europea, la Cina e le altre nazioni sono in corso di definizione strategie di transizione ecologica e climatica più o meno realistiche, tuttavia sembra difficile che venga raggiunta globalmente la neutralità carbonica entro il 2050,obiettivo che il Consiglio Europeo ha adottato in accordo con il parlamento Europeo, assieme all’obiettivo intermedio della riduzione delle emissioni del 55% nel 2030. La Cina progetta, promette di raggiungerla nel 20603. Sarebbe un grande risultato secondo il Climate Action Tracker questo porterebbe ad una diminuzione di 0,2-0,3 gradi centigradi nelle proiezioni sul riscaldamento globale. La stessa Belt and Road Initiative (BRI) -la nuova Via della Seta- prevede di indirizzare investimenti orientati al cambiamento climatico4. Tuttavia c’è un certo scetticismo attorno a questo obiettivo; la Cina conta per un terzo sulle emissioni globali, circa il 60% della sua energia è derivata dal carbone – e continua la messa in attività di nuovi progetti basati sul carbone-ed è il secondo consumatore al mondo di petrolio.

L’India – il terzo paese al mondo quanto ad emissioni climalteranti – è in condizioni ancora peggiori, nell’anno fiscale 2018-19 circa i tre quarti della produzione di elettricità è basata sul carbone5. Nonostante l’adozione crescenti di tecnologie dell’eolico e del solare, il governo Modi nel 2020 ha puntato sullo sviluppo del settore carbonifero, l’azienda di stato Coal India è la più grande compagnia nel settore minerario carbonifero, mentre il governo continua a rinviare l’adozione di norme più stringenti per la riduzione dell’inquinamento prodotto dal settore. Al crescere della domanda di energia è prevista una parallela crescita della produzione basata sul carbone6 grazie anche al minor costo rispetto ad altre fonti di energia.

La pandemia, il riscaldamento globale di cui discutiamo, che trattiamo come cose, oggetti – come un bambino gioca con la palla – che vengono volgarizzati all’estremo non solo sui social media, ma pure sulle colonne degli opinionisti sui quotidiani, per un verso si frantumano, ci ritornano sotto l’aspetto di mille realtà, aspetti particolari, si riproducono in una miriade eventi locali, ma nell’insieme sono processi non locali, in evoluzione. Se il mondo – definendo così quanto accade sul nostro pianeta – occupa uno spazio finito, esso costituisce un sistema aperto costantemente alimentato dal flusso di energia che arriva dalla stella attorno a cui orbita e dalle sue dinamiche interne che hanno la forza di fra migrare i continenti ed mergere le catene montuose. I modelli che descrivono il mutare del virus, il diffondersi della pandemia, l’efficacia dei vaccini, così come i modelli del riscaldamento globale, del mutare delle dinamiche climatiche regionali e globali, descrivono la sempre maggior precisione sono in grado di prevederne gli sviluppi. I questi modelli previsionali sono determinanti, sono regolati dai parametri che derivano dal concreto procedere, del governo delle complessissime società umane.

Nel cuore della riproduzione delle società umane e dell’ambiente in cui esse vivono è l’agricoltura, il ciclo agro-alimentare nel suo complesso, un processo circolare che impatta con la biodiversità e la riproduzione della fertilità dei terreni, quella sottile pellicola da cui dipende la riproduzione della vita, le dinamiche del clima e da quella a sua vota è fortemente influenzato, determinato, dove la riduzione di complessità e la ricerca forsennata dell’aumento di produttività rincorrono la riduzione complessiva delle risorse naturali disponibili. Su questo il nostro sta producendo una riflessione articolata ed approfondita. Nel contesto di questo scritto ci interessa evidenziare il ruolo centrale in un reticolo di relazioni causa-effetto che la trasformazione dell’agricoltura, del ciclo agroalimentare hanno in particolare nei cambiamenti climatici e negli equilibri delle reti di riproduzione della vita.

Ciò che non funziona, per così dire, è esattamente il governo delle società, l’agire in modo solidale e coerente a livello globale, la condivisione della conoscenza degli orizzonti catastrofici, dei rischi inaccettabili tanto nella proliferazione delle varianti in una umanità non protetta dai vaccini, quanto nella incapacità di attuare una riconversione ecologica, mentre ciò che sarebbe necessario è una vera e propria rivoluzione del modo di produzione in tutte le sue dimensioni. Il rapporto IPCC ci racconta degli effetti ormai irreversibili del cambiamento climatico ed è impossibile isolare un aspetto dei processi di produzione e riproduzione dagli altri, complessità e circolarità, non linearità sono i termini che descrivono le dinamiche sociali e ambientali, inestricabilmente connesse. Nella nostra vita quotidiana, nella sia dimensione locale – che cerchiamo quanto possibile di delimitare, di difendere dagli effetti di una brutta globalità, dagli effetti della globalizzazione – in realtà viviamo pressoché tutti gli aspetti di quella globale come avviene in un ologramma. Per questo si fa sempre di più appello alla responsabilità personale, delle comunità, dei territori, affinché agiscano nella loro dimensione locale sui processi globali che li attraversano, ma a quanto pare non si riesce a realizzare un circuito virtuoso globale.

Scomparso l’incubo dell’olocausto nucleare, per lo meno come principale strumento di regolazione dei rapporti strategici – la cui caratteristica era quella di annientare in un lasso di tempo brevissimo il mondo e l’umanità come lo conosciamo – un orizzonte globale di mutamento catastrofico ci sovrasta e questa volta non dipende da un pulsante, su una valigetta che accompagna i ‘grandi della terra’. Quel metaforico pulsante è già stato schiacciato, la guerra contro l’ambiente e l’umanità è già stata dichiarata, dall’umanità stessa o meglio da quella forma di rapporto sociale in cui l’umanità da qualche centinaio d’anni si riproduce.

Cose straordinarie, complesse come la foresta amazzonica o apparentemente semplici come le distesse dei ghiacci, che noi possiamo racchiudere in una definizione che possiamo riassumere con una parola dentro un titolo di giornale, stanno mutando ad una velocità che rivela quanto diversificate possono essere le dinamiche locali, regionali – parliamo sempre di una grande scala, benché particolare – che a loro volta ributtano i loro effetti nel globale ed in cascata su ognuno di noi-. Il bilancio delle emissioni della foresta amazzonica è cambiato e sta prevalendo l’emissione di anidride carbonica, mentre lo scongelamento dei ghiacci sta accelerando. Un altro oggetto, componente della regolazione climatica del globo, che abbiamo imparato a conoscere sin da bambini, è la Corrente del Golfo, parte della circolazione complessiva delle acque tra gli oceani, ebbene è possibile che il suo corso rallenti7 – benché non vi siano al momento certezze o previsioni esatte sul periodo in cui ciò può accadere – con gli effetti che possiamo immaginare.

I modelli dei fenomeni climatici e pandemici sono realizzati grazie alla capacità di raccogliere, condividere ed elaborare informazione, di produrre e condividere conoscenze tramite una infrastruttura digitale, allo sviluppo in particolare delle tecnologie che sono comprese nella definizione di Intelligenza Artificiale. Una mega -macchina, un iperoggetto direbbe Thimoty Morton, a cui sempre di più sono affidati i destini delle nostre società.

L’andamento delle cose è paradossale quanto più si sviluppa e si diffonde in modo pervasivo la rete globale digitale tanto meno appare probabile che la realizzazione di un governo di quei processi globali il cui andamento delinea un futuro sempre meno roseo – eufemisticamente parlando – per il nostro pianeta. Le società del Big Tech esprimono la capacità ad un livello mai raggiunto prima di appropriarsi e mettere a valore le relazioni sociali ed interpersonali, le forme di cooperazione sociale, sono per questo al cuore di un conflitto con i governi degli stati e delle unioni di stati più potenti. L’appropriazione privata della produzione di conoscenze Big tech e Big Pharma assieme al confronto strategico tra gli stati producono il non-governo dei destini dell’umanità, dei nostri destini ovvero del ‘futuro dei nostri figli’ e non è solo un modo di dire.

Qui finisce questa breve riflessione ferragostana sulle ‘grandi cose’ dentro cui la nostra vita si svolge che entrano nelle nostre vite, che non possiamo allontanare da noi.

  1. Timothy Morton. Iperoggetti NOT – Nero edizioni.[]
  2. https://www.ipcc.ch/report/ar6/wg1/.[]
  3. https://www.ft.com/content/b16e155a-dc5c-4143-8676-d4552f747371 Climate change: how China can achieve its pledge of zero emissions.[]
  4. https://green-bri.org/interpretation-of-the-guidance-on-promoting-investment-and-financing-to-address-climate-change-for-the-belt-and-road-initiative-bri/?cookie-state-change=1628625484590.[]
  5. https://www.greentechmedia.com/articles/read/coal-king-india.[]
  6. https://www.reuters.com/world/india/exclusive-india-may-build-new-coal-plants-due-low-cost-despite-climate-change-2021-04-18/.[]
  7. https://www.realclimate.org/index.php/archives/2018/04/stronger-evidence-for-a-weaker-atlantic-overturning-circulation/.[]
cambiamento climatico, iperprogetti, Pandemia, riscaldamento globale
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