di Luca De Simoni * –
Nelle ultime due settimane si è innalzata, fra la marea di temi e problemi, una proposta, che definirei virtuosa. Certo è una proposta che divide si, i ciechi da chi almeno un po’ ci vede, i biechi segregazionisti dalle persone che provano a ragionare e provare un minimo d’empatia per il prossimo. Se portata fino in fondo potrà avere dei risvolti estremamente positivi per la salute del paese.
Parliamo di un appello con 360 firmatari – tra economisti, immunologi, virologi, giuristi ed esperti di immigrazione – con l’intento di sollecitare la regolarizzazione degli immigrati non solo in agricoltura ma anche in tutti gli altri settori economici del Paese.
La via legislativa, per far si che ciò accada, potrebbe essere quella di una sanatoria tramite dichiarazione di un datore di lavoro, che consentirebbe in seguito di ottenere un permesso di soggiorno e di lavoro temporaneo che, una volta finita la fase di emergenza, potrà essere sottoposto all’iter previsto normalmente per questi tipi di permesso.
In una parte dell’elaborato sulla proposta, sotto la dicitura “motivazioni”, viene sottolineato il perché di questo possibile passo: “perché la presenza di centinaia di migliaia di migranti ‘invisibili’ e dunque non rintracciabili, potrebbe essere un problema serio per la sanità pubblica in questo momento”.
Continua poi dicendo che “la regolarizzazione dei lavoratori stranieri avrebbe in questo caso un potenziale doppio beneficio. Rendere più facile lo spostamento tra diverse aree di chi già si trova nel nostro paese e, attraverso la sanatoria e la regolarizzazione, ridurre quelle condizioni di scarsa dignità e precarietà che rendono purtroppo il lavoro degli immigrati irregolari più “competitivo” rispetto a quello di lavoratori italiani che non accettano quelle condizioni”.
Mi verrebbe da dire che c’è di più, c’è un credito morale che dovremmo saldare, un obbligo etico e umano da regolare, verso chi in questi ultimi mesi ci ha permesso di accarezzare la normalità durante le nostre giornate, almeno quando eravamo seduti intorno alle nostre tavole. Verso chi accudisce i nostri bambini, o i nostri anziani che purtroppo avvolte, tornano bambini. Altri invece ci portano nei loro paesi, facendoci assaggiare una pietanza, portandoci le loro tradizioni culinarie.
Molte di queste persone, circa 700 mila in Italia, sono accomunate da una cosa, la mancanza di diritti discendente dal mancato possesso di documenti regolari.
L’altra categoria che potrebbe aiutare, che sta in realtà già aiutando e che potrebbe essere aiutata, è quella dei giovani. Noi giovani in Italia, più che in altri paesi, abbiamo molto in comune con gli immigrati. Spesso gli immigrati sono giovani, perché c’è bisogno di dinamismo per cominciare una nuova vita in un posto lontano da casa tua. Molti di noi, ragazzi italiani, sono migrati all’estero, per ragioni, verrebbe da dire diametralmente opposte, ma che alla fine, se vai a vedere bene, confluiscono entrambe nello stesso punto.
Era stata lanciata una proposta- sarò onesto, non ricordo da chi- che progettava di affidare la ripartenza dopo il Covid19 ai giovani. Potrà far discutere per alcuni versi, ma le persone più grandi, con più esperienze, sono un patrimonio prezioso, che proprio per questo va salvaguardato e tutelato.
Dicono che bisognerà reinventarsi per lavorare, (conosco personalmente più di una realtà giovanile nata con l’obiettivo di riscoprire la terra), e chi può adattarsi meglio dei giovani? Quei giovani che sono partiti per Londra, in cerca di fortuna, e troppo spesso sbattuti a lavare i piatti in cucina, quei giovani che non trovano spazio nel mercato del lavoro italiano, quei giovani che hanno aderito a flotte alle chiamate per arruolare nuovi infermieri da schierare in prima linea nella battaglia contro il Covid19, o quelli che stanno contribuendo a contenere l’inevitabile scollamento di un tessuto sociale ormai logorato, grazie a numerose azioni di solidarietà e volontariato.
Il paese potrebbe lasciarsi prendere per mano da quell’energia che li contraddistingue, portandosi dietro anche una dose di “green”. Un’esigenza reale che può addirittura essere d’aiuto nel futuro prossimo.
La vedo un po’ come una staffetta, un passaggio di testimone, “adesso tocca a voi riprendere la corsa”, tocca a noi caricarci di qualche responsabilità e avere anche la possibilità di invertire i ruoli che si sono autoimposti nell’ultimo decennio a causa di un’altra crisi. I pensionati sono diventati le basi economiche di interi nuclei familiari, quante famiglie non sarebbero potuto arrivare alla fine del mese ogni volta senza il loro aiuto, quante non avrebbero avuto accesso ad un mutuo senza una garanzia fornita da genitori o parenti più anziani.
Un paradosso che si è venuto a creare nell’ultimo decennio in seguito a delle politiche sbagliate, politiche che non guardavano più in là, politiche colpevoli di essere assistenzialiste e “presentiste”, che in questo caso considero dispregiativo. “Presentiste” perché le suddette non hanno mai guardato al futuro, alla valorizzazione di chi ci dovrà vivere in quel futuro. No, tutto e subito, magari poco prima del voto nazionale, e poi chi vivrà vedrà, “s’arrangeremo”.
Da questa crisi sicuramente se ne uscirà, ma forse potremmo uscirne con più nerbo, efficacia, vigore (che non è necessariamente buono, però…) e freschezza. Se provassimo per una volta a fare affidamento a chi è lì, lasciato sempre un po’ indietro, ma che vuole farsi spazio sulla linea di partenza e sgomita per partire, scattare, dimostrare chi è, chi siamo? Su quella linea di partenza io vedo giovani e migranti pronti a slanciarsi verso una corsa che richiederà molte energie.
* redazione di blackpost.it
6 Commenti. Nuovo commento
Oggi c’è una vasta “letteratura” che riscrivendo la nostra storia, riduce le conquiste dei lavoratori a mance elettorali.
Che centra lo Statuto dei lavoratori con un problema di “elezioni di qui a un anno o a trent’anni?”. Niente. C’entra solo se si vuole smantellarlo, come di fatto è avvenuto.
I diritti sono privilegi, le riforme giuste sono solo quelle che sono impopolari.
Il conflitto è tra le generazioni.
Con questi presupposti, si è consumata ad esempio la barbara riforma della pensione pubblica, trasformandola, con l’introduzione del calcolo contributivo, sostenuto con la favola dell’equità, in una sorta di pensione privata, priva dell’impianto solidaristico presente nel sistema retributivo (leggere, per chi a voglia di andare oltre i talk, gli studi del professor Mario Alberto Coppini, che definiva il sistema contributivo a capitalizzazione, da noi realizzato solo per metà perché è ancora a ripartizione, come il ritorno alla preistoria della previdenza o i libri del professor Giovanni Mazzetti).
In alcuni casi credo sia difficile dire che non ci siano state mance elettorali, ma credo che oggi sia piuttosto un limite politico, di visione.
Analisi esemplare e lodevole per la sintesi. Certamente è rivolta alle menti disposte a ragionare
Aggiungo una riflessione: La prima riforma Amato delle Pensioni del ’92 seguita a tre anni di distanza dalla riforma Dini e la riforma Sacconi del 2009 che legava la età pensionabile alla speranza di vita e la successiva riforma Fornero del 2011 erano mance elettorali? Non erano affatto presentiste, guardavano al presente e al futuro, ma condizionate, inquinate, suggerite da interessi della Finanza nazionale ed internazionale
Chiedo ai giovani di chiedere ai loro nonni pensionati come era la loro pensione quando hanno lasciato il lavoro. La riforma Amato del ’92 di cui poco si parla, cambiò il sistema di perequazione della pensione. Infatti prima l’adeguamento era uguale all’aumento percentuale che si era verificato nelle retribuzioni degli operai ed impiegati dell’industria. Aver modificato quel criterio significa che le pensioni subiranno anno dopo anno una erosione che poi si farà sentire in modo sempre più incisivo col passare degli anni. Pertanto la stragrande maggioranza dei pensionati più longevi stringono sempre più la cinta. Ripeto, chiedo ai giovani di chiedere ai loro nonni come stanno le cose
Parlando con mio nonno ho riscontrato quanto da lei detto.
Un giovane 26enne