Al centro per mesi dell’attenzione dei media e del dibattito politico a sinistra, alla fine la scissione di Sahra Wagenknecht dalla Linke si è realizzata. Il primo effetto è stato lo scioglimento della frazione del partito al Bundestag dato che alla nuova formazione, oltre alla sua leader, hanno aderito altri 9 parlamentari. La decisione assunta dalla leadership della Linke, benché i parlamentari uscenti avessero dato la disponibilità a continuare a farne parte, avrà un impatto negativo sulla disponibilità di risorse per il partito della sinistra radicale tedesca oltre che una minore visibilità e incidenza nell’attività istituzionale.
Il nuovo partito, che verrà formalmente costituito alla fine di gennaio dell’anno prossimo, ha assunto per ora la denominazione di “Alleanza Sahra Wagenknecht – per la ragione e la giustizia” (BSW), e in alcuni sondaggi registra una possibile area di consenso superiore a quella attribuita alla Linke. La Wagenknecht è una leader politica insieme popolare e controversa e indubbiamente il partito rischia di essere una costruzione fortemente caratterizzata dalla prevalenza della figura della leader.
Abbiamo già esaminato in un precedente articolo alcuni aspetti del profilo ideologico e politico del nuovo partito. Le definizioni giornalistiche di formazione “sovranista” o “rosso-bruna” rischiano di essere più espressione di una valutazione polemica che non di uno sforzo di comprensione oggettivo di quale spazio politico e conseguente strategia il nuovo partito si propone di perseguire.
Gli elementi fondamentali possono essere considerati i seguenti:
1) una critica generale a tutte le forze di sinistra, includendo in questa definizione socialdemocratici e verdi al governo quanto la Linke all’opposizione, per essere diventate espressione di settori di ceto medio prevalentemente interessato a tematiche identitarie e minoritarie e di avere abbandonato la difesa dei ceti popolari. Questi anzi sarebbero visti con un certo disprezzo;
2) la convinzione che la base per una società democratica e relativamente più giusta sia la “comunità” e che questa non debba essere messa in pericolo dai processi economici di globalizzazione e da un numero eccessivo e non regolato di immigrati. In questo senso forse si potrebbe parlare più che di “sovranismo” di una visione “comunitarista” come fondante del profilo politico-ideologico del nuovo partito.
3) una proposta economica che rafforzi la dimensione nazionale e la specificità del modello produttivo tedesco con un forte ruolo ordinatore e promotore dello Stato, basata su una coalizione sociale che metta insieme classe operaia tradizionale, ceti sociali popolari messi ai margini dall’attuale asseto economico globale, settori di piccola e media impresa produttiva e innovativa;
4) una visione conservatrice degli assetti sociali e degli stili di vita, non del tutto dissimile da quella ampiamente diffusa a destra, a fronte del ruolo “disgregatore” attribuito alle rivendicazioni di movimenti identitari minoritari;
5) una visione se non del tutto scettica della questione del cambiamento climatico, quanto meno critica verso misure economiche e produttive considerate accettabili dai ceti medio-alti che ne traggono i benefici senza pagarne i costi. Questi infatti andrebbero soprattutto a discapito dei ceti popolari che al contrario ne subirebbero più la ricaduta economica sulle loro condizioni di vita che non i benefici in termini di qualità della vita stessa;
6) una politica estera fortemente critica del processo di militarizzazione della Germania e del suo ruolo attivo di sostenitore della guerra in Ucraina e dell’invasione israeliana di Gaza. Un pacifismo decisamente più radicale e contrario alle posizioni dell’establishment anche se in buona misura incentrato su una visione degli interessi nazionali della Germania piuttosto che su una visione realmente internazionalista.
L’etichetta di “sovranista” è in una qualche misura valida se la si intende come rivendicazione di un ruolo più importante della dimensione nazionale della politica e dell’azione dello Stato in contrasto con le tesi predominanti anche a sinistra che ne accentuano gli elementi di crisi.
Anche l’altra etichetta di “populista” può essere accettata come indicazione di una posizione anti-establishment che non ha mancato di lanciare qualche strizzata d’occhi alle posizioni no-vax o comunque critiche della gestione dell’emergenza per il Covid considerata troppo autoritaria. Anche questa però rischia di portare ad una valutazione troppo sommaria della proposta politica della Wagenknecht e dei suoi seguaci.
Questo movimento introduce degli elementi di differenziazione rispetto alle diverse strategie che sono state in campo negli ultimi anni nella sinistra radicale e che in precedenti articoli abbiamo individuato in: 1) partito-arcobaleno, formazione plurale espressioni dei nuovi movimenti (prevalentemente post-materialisti) e di rivendicazioni di identità; 2) partito populista di sinistra, basato sulla polarizzazione popolo-establishment e sulla costruzione di una narrazione in grado di aggregare gli individui prescindendo da una identità di classe considerata ormai superata; 3) “workers’ mass party” che ritiene ancora utilizzabile come risorsa politica l’identificazione di classe e questa come base di una politica di massa.
Si tratta evidentemente di “tipi ideali” che sintetizzano alcuni caratteri, ma che nei vari partiti si possono mescolare in varie gradazioni anche se in genere una formulazione strategica prevale sulle altre.
Si può ormai identificare una quarta ipotesi politica quella del partito “social-comunitario”, per il quale obbiettivi di giustizia sociale e di difesa degli interessi dei ceti popolari devono essere perseguiti all’interno di uno spazio tradizionale caratterizzato dalla dimensione nazionale e dal mantenimento di stili di vita condivisi. Elementi di questa visione si possono rintracciare in contesti e con background storici diversi, nelle scelte del PC Francese dopo l’elezione di Roussel a segretario e forse, ma per questo bisognerà attendere che si chiarisca un profilo che per ora resta piuttosto evanescente, nella nuova leadership di Syriza.
Da parte sua la Linke ha affrontato la nuova situazione emersa dalla scissione con il congresso di Augsburg dedicato ad approvare il programma in vista delle prossime elezioni europee del 9 giugno 2024 e la lista dei candidati. E’ stata confermata la scelta di due candidati esterni al partito, Carola Rackete e Gerhard Trabert, espressione di quei movimenti sociali di cui la Linke si propone come interprete politico-istituzionale.
La scissione della Wagenknecht è stata vista certamente come un colpo negativo per il partito ma anche come la conclusione di una fase di permanente polemica interna per effetto della quale la Linke appariva sui media come una formazione eternamente divisa su tutte le questioni politiche principali.
Viene ribadita, in sostanza, la caratterizzazione di “partito arcobaleno” o per usare una formula che ha avuto un certo successo qualche anno fa, di “partito connettivo”, che dà espressione a varie istanze sia di tipo “materialista” (socio-economico, sindacale, ecc.) che “post-materialista” (ecologismo, femminismo, movimento LGBTQ+, ecc.). Nelle ultime settimane si è avuta l’adesione di un migliaio di nuovi iscritti che apprezzano la riaffermazione di questa strategia politica e che avversavano le tesi della Wagenknecht. Resta però difficile valutare se e quanto queste tendenze esprimano settori ristretti o più ampie correnti di pensiero presenti nella società tedesca.
Da questi nuovi iscritti, secondo quanto scriveva “Neues Deutschland” nei giorni scorsi, viene anche una richiesta di maggiore radicalità e alternatività rispetto all’attuale governo di coalizione “semaforo”, che include partiti (SPD, Gruenen) che alcuni settori della Linke vedevano come possibili partner di una ipotetica coalizione alternativa alla guida della Germania. Considerato il calo di consensi subiti da questi due partiti da quando si è formato il nuovo governo, le possibilità di un governo rosso-rosso-verde si sono molto allontanate nel tempo.
Questa nettezza di posizioni fatica ad emergere sulle questioni internazionali dato che le posizioni della Linke sulla guerra in Ucraina prima e sulla invasione israeliana di Gaza restano quanto meno molto timide e hanno certamente lasciato spazio all’iniziativa ben più esplicitamente critica della Wagenknecht.
Risultano invece troppo schematiche e ingiuste le accuse che quest’ultima ha rivolto al partito di provenienza di aver abbandonato le questioni sociali per inseguire le rivendicazioni di gruppi marginali.
Quello che emerge dalla scissione della sinistra tedesca sembra una radicale contrapposizioni tra due diverse visioni del “popolo”, della sua composizione, della sua mentalità dei suoi interessi. Quindi due partiti per “due popoli”, che rischiano entrambi di cristallizzarsi in analisi contrapposte laddove invece forse servirebbe uno sforzo di ricomposizione di un blocco sociale articolato e capace di esprimere una propria egemonia anziché subire quella altrui.
Franco Ferrari