La sinistra francese si presenta alle elezioni presidenziali di aprile con un gran numero di candidati in competizione tra loro. Al momento se ne contano almeno sette potenziali considerando uno spettro ampio che va dall’ecologista pro-establishment Yannick Jadot alla trotskista Nathalie Arthaud (Lutte Ouvriere). Nei prossimi giorni si saprà però quali di questi avranno superato l’ostacolo dei 500 parrainages , previsti dal sistema elettorale francese. Chi si vuole candidare deve trovare la firma di 500 parlamentari o eletti locali che ne patrocinino formalmente la richiesta.
Finora hanno superato la soglia la socialista, sindaca di Parigi, Anne Hidalgo, il comunista Fabien Roussel, la trotskista-operaista Nathalie Arthaud e l’ecologista Jannick Jadot. Jean-Luc Melenchon dispone al momento di 442 patrocini e sembra in grado, pur con qualche difficoltà, di raggiungere la soglia fatidica entro la scadenza del prossimo 4 marzo. Appare invece fuori portata l’obbiettivo per l’altro candidato trotskista Philippe Poutou, del Nuovo Partito Anticapitalista. Ma è molto difficile la situazione anche per Christiane Taubira, figura popolare a sinistra ma che è entrata nella competizione tardi e senza il sostegno di una forza organizzata. Nonostante abbia potuto approfittare della spinta fornita dal relativo successo delle “primarie popolari”, anziché poter diventare la candidata del raggruppamento e dell’unità, ha ulteriormente incrementato la frammentazione e la confusione. Notevoli difficoltà stanno riscontrando anche i due candidati dell’estrema destra, Marine Le Pen e Eric Zemmour, che facendosi concorrenza sono ancora al di sotto delle 400 firme.
Sarebbe un esito paradossale del sistema francese se alla fine restassero fuori dalla competizione molti di coloro che stanno dominando (nel male più che nel bene, per quanto riguarda i candidati dell’estrema destra) la campagna elettorale. Il sistema favorisce i candidati che siano espressione di partiti radicati territorialmente nelle istituzioni (in Francia esiste un numero di comuni che sfiora i 35.000). Per questo, oltre a Macron, nessuna difficoltà hanno avuto la socialista Hidalgo e la neogollista Valerie Pécresse ad ottenere i parrainages richiesti. Nella competizione a sinistra, il candidato comunista è stato favorito, rispetto a Melenchon, da un insediamento territoriale più diffuso. Il PCF conta ancora un buon numero di sindaci in piccoli comuni, anche se la sua presenza si è notevolmente ridotta rispetto a quella di 10 o 20 anni fa. La France Insoumise, continua a mantenere le caratteristiche di un movimento d’opinione piuttosto fluido e fortemente concentrato sulla figura del suo leader.
Gli ultimi sondaggi registrano, per quanto riguarda i sette candidati che si collocano a sinistra di Macron, il seguente quadro: Melenchon 10-11%, Jadot 5-5,5%, Roussel 4%, Hidalgo 2,5-3%, Taubira 2-2,5%, Poutou 0,5-1%, Arthaud 0-1%. Per il resto dello scenario Macron è stabilmente attorno al 24-25%, mentre il quadro a destra resta piuttosto confuso. La Le Pen sembra ancora in vantaggio sui due diretti concorrenti, lo sciovinista xenofobo Zemmour, la neogollista (piuttosto spostata a destra) Pécresse. La presenza di Zemmour, che ha ripreso e radicalizzato le posizioni che il Front National (ora Rassemblement National) sosteneva qualche anno fa, ha avuto l’effetto indiretto di rendere più “accettabili” le idee della Le Pen da un lato, ma anche di spingere i neogollisti (Le Republicaines) verso destra soprattutto sui temi dell’immigrazione e securitari. L’eventuale assenza di uno dei due candidati dell’estrema destra (Zemmour è quello che rischia di più), cambierebbe significativamente il quadro complessivo, rendendo disponibile almeno una parte degli elettori, dato che una quota finirebbe presumibilmente nell’astensione.
Paradossalmente questo avrebbe effetti anche a sinistra. La strategia di Melenchon, fin dall’inizio della sua lunghissima campagna elettorale, è quella di giungere alla fase finale come l’unico candidato con la possibilità realistica di arrivare al ballottaggio. In questo caso il richiamo del “voto utile” che abitualmente gioca a favore della sinistra moderata, dovrebbe polarizzare il voto attorno ad un candidato più radicale e non di quello moderato. Il leader della France Insoumise ha potuto contare nei giorni scorsi, piuttosto sorprendentemente, considerato che Melenchon ruppe con il Partito Socialista anche in polemica con le posizioni dell’ex candidata presidenziale, sull’indicazione di voto di Segolene Royale. Il suo posizionamento è stato motivato proprio con la necessità di esprimere un “voto utile” e giustificato anche con il fatto che il candidato di LFI ha saputo “arrotondare gli angoli” e ha posizioni definite sull’insieme delle questioni politiche oggetto della campagna elettorale. La possibile uscita di scena della Taubira e di Poutou, potrebbe rendere disponibile un’ulteriore quota di voti per il candidato meglio piazzato. Resta però un dato strutturale, la debolezza complessiva del voto a sinistra che, anche considerato nella sua accezione più larga, si aggira sul 27-28%, lontanissimo dai livelli storici che lo collocava attorno e oltre il 40%.
In questa terza campagna elettorale, Melenchon ha ulteriormente aggiustato il tiro rispetto alle due precedenti. Se alla prima si presentava sotto un profilo classicamente di sinistra, nei contenuti e nella simbologia, la seconda aveva l’impronta dell’adesione melenchoniana alle tesi del populismo di sinistra, con un più forte accento sovranista ed euroscettico. Stavolta l’elemento che sembra più caratterizzare la comunicazione di Melenchon sembra essere quello della capacità di governare un passaggio storico difficile con proposte politiche che si presentano come solide e concrete. Un po’ meno populismo e un po’ più tecnicismo. Anche sull’Europa la strategia del piano B, traducibile un po’ semplicisticamente con il concetto “se l’Europa cambia bene, altrimenti facciamo da soli”, è stata accantonata per una linea meno conflittuale. Persino dagli ambienti padronali (tra cui il presidente del MEDEF, equivalente transalpino di Confindustria) è venuto qualche riconoscimento alla solidità delle proposte economiche del candidato “Insoumise”. Anche se alle parole non seguiranno certamente i voti, dato che le grandi imprese restano largamente sostenitrici di Macron e in subordine della Pécresse.
Nelle ultime settimane i sondaggi hanno fatto registrare una crescita di consensi e di attenzione per il candidato comunista Fabien Roussel. Dopo un lungo periodo in cui non si era mosso da un modestissimo 1-2%, ora può contare su qualche punto percentuale in più. Eletto segretario del partito contro la maggioranza uscente guidata da Pierre Laurent, il suo primo impegno politico era di tornare a presentare una candidatura del PCF alle elezioni presidenziali.
Per due elezioni i comunisti avevano sostenuto la candidatura di Melenchon, anche se sempre con una consistente minoranza interna contraria a tale scelta. D’altra parte lo stesso leader di France Insoumise ha spesso dato l’idea di considerare il PCF un fastidioso ostacolo più che un possibile supporto alla ripresa della sinistra francese. Roussel si propone esplicitamente di ricostruire una connessione con quei settori operai e popolari più tradizionali che hanno costituito per decenni la base della sinistra e che si sono progressivamente allontanati o andando a destra o finendo nell’astensione.
Roussel si propone di raccogliere “la sfida dei giorni felici”, slogan nel quale non manca una buona dose di nostalgia per un assetto sociale e un insieme di valori repubblicani e solidaristici sul quale non si era ancora abbattuta la ghigliottina neoliberista. La Francia del buon cibo, del buon vino e del buon formaggio, secondo una battuta di Roussel che ha sollevato qualche polemica a sinistra. Paradossalmente, mentre Melenchon ha attenuato una certa retorica sovranista e patriottica che lo aveva caratterizzato nella campagna elettorale del 2017, quando il tricolore aveva sostituito la bandiera rossa e la Marsigliese aveva preso il posto d’onore rispetto all’Internazionale, Roussel sembra riprendere questi elementi. Non mancano gli accenti alla Marchais che, benché identificato con il filosovietismo della sua fase finale, nei suoi momenti migliori fu un ottimo comunicatore.
Per Roussel l’obbiettivo è quello di invertire la tendenza comunista al declino recuperando l’immagine di forza popolare, vicina al sentimento comune e capace di ridare dignità prima ancora che soluzioni concrete ai ceti popolari. Scommessa non facile, che affronta un problema reale, non risolto nemmeno dal populismo melenchoniano, ma che rischia di trovare una soluzione che guarda più al passato che al futuro. Nell’immediato, Roussel deve puntare a difendere quanto meno la presenza parlamentare del PCF, quando dopo le elezioni presidenziali si svolgeranno quelle legislative.
Per ora assistiamo a sinistra a qualche segnale di un duello piuttosto inedito tra due partiti che si collocano nell’ambito della sinistra radicale, con la quasi scomparsa dal radar elettorale della socialdemocrazia francese. Sembra però molto difficile che questa competizione possa incidere realmente sull’esito finale delle elezioni. Si vedrà se una sinistra che si muove su due gambe, in parte in competizione, quella degli Insoumise e quella comunista possa tornare ad espandere il proprio consenso oppure finirà per impantanarsi in un irrisolvibile conflitto interno.
Franco Ferrari