A pochi giorni dalla Festa di Lavoratori e Lavoratrici del 1°maggio, a Prato (Toscana), dove mi trovo, si registra l’ennesima morte sul lavoro, di una giovanissima operaia tessile rimasta schiacciata dai subbi dell’orditoio in cui era impiegata.
Molta l’indignazione per questa seconda vittima dall’inizio dell’anno, entrambe giovanissime, in un distretto manifatturiero, che da un lato si fonda sullo sfruttamento del lavoro nero, dei ricatti anche sui documenti a lavoratori e lavoratrici immigrati; e dall’altro, anche laddove le aziende sono più strutturate ed “in regola”, non mancano incidenti mortali come questo.
Secondo i sindacati pare che il tempo sia fermo a 50 anni fa e la mancanza di investimenti in innovazione tecnologica, soprattutto per i sistemi di sicurezza dei macchinari, precorre l’ennesima tragedia.
Proprio quando sembra intravedersi la luce in fondo al tunnel della crisi sanitaria, dopo la precarietà determinata da politiche neoliberiste di ‘austerity‘ negli anni passati, non sembra arrestarsi l’emorragia di posti di lavoro o di larga parte del reddito con l’interruzione delle attività, nonostante provvedimenti legati al blocco dei licenziamenti.
Secondo l’Istat in un anno di pandemia l’occupazione è diminuita del 4,1% – circa 941mila unità, per la maggior parte donne – con un aumento del +1% di disoccupazione, ma soprattutto del +5,4% di inattivi, che neppure cercano un impiego. I giovanissimi under-25 sono fra i più colpiti da una disoccupazione, che riguarda oltre il 30% della platea, soffrendo peraltro di una contrattazione precaria, per la maggior parte composta da tempo determinato o part-time involontario.
La festa del lavoro, in un contesto paranormale perdurante, è sembrata insomma una festa senza lavoro, specialmente in settori compromessi dalle restrizioni governative anti-contagio, dalle limitazioni a scambi e spostamenti e dalle chiusure dei servizi alla persona.
In un quadro di transizione economica, verso la cosiddetta ‘Quarta Rivoluzione Industriale‘ con una forte spinta alla digitalizzazione, le sfide e le incertezze non sembrano aver trovato un vaccino valido.
Anche durante le cosiddette ‘zone rosse’ con elevate restrizioni alla mobilità e all’apertura di pubblici esercizi o addirittura di scuole, spesso il virus Covid19 ha continuato a contagiare persone, con crescenti focolai sui luoghi di lavoro, pregiudicando ancora la sicurezza del personale.
Tuttavia è da un punto di vista giuridico che si distinguono gli approcci fra vari paesi europei, con la Spagna ad esempio che identifica i contagi a lavoro come malattie professionali, mentre in Italia questi sono individuati come infortuni soltanto in seguito all’attestazione di positività, lasciando pertanto in un limbo lavoratrici e lavoratori sottoposti alla quarantena fiduciaria.
In Polonia, Ungheria, Slovacchia, Croazia e Lituania si tende ad uniformarsi ai protocolli ILO sulle malattie infettive, mentre in Francia questo riconoscimento vale prevalentemente solo per il settore privato. Spesso l’inghippo sta proprio nelle prerogative richieste per individuare la correlazione fra infortunio e luogo di esposizione.
In Portogallo ad esempio soltanto addetti della sanità ed agenti di sicurezza possono ricorrere alla malattia professionale, mentre il cerchio si restringe ulteriormente ed in modo settorialmente frammentato in Romania.
Una volta stabilita questa correlazione, il sistema di protezione sociale dovrebbe sopperire alla perdita di reddito, sebbene ad esempio nei Paesi Bassi molte casistiche siano demandate alla previdenza complementare.
Secondo l’agenzia UNICARE i paesi europei sono fra i più inclini a riconoscere questo tipo di infortunio, tuttavia la varietà di legislazioni pone criticità notevoli all’interno dell’UE, che pure non ha ancora sviluppato presidi per la copertura delle ricadute virali di lungo periodo.
I diritti sul lavoro, fortemente pregiudicati dalle scelte politiche intraprese anche a livello europeo dall’inizio del millennio, rischiano ulteriori minacce proprio da una digitalizzazione sregolata.
Nella transizione economica a trazione digitale, come in tutte rivoluzioni industriali, anche quella dell’innovazione 4.0 rimette in discussione condizioni di lavoro, prevedendo ridimensionamento o scomparsa di certe categorie e la creazione di nuove.
Due le principali ricadute attese: una riduzione dell’impiego di forza lavoro ed un incremento delle iniquità salariali, per cui soltanto personale altamente qualificato, all’altezza di standard tecnologici elevati potrà salvaguardare il proprio reddito.
Per affrontare questa sfida la Commissione UE ha proposto una sorta di bussola digitale per orientare le politiche industriali ed il dialogo sociale fino al 2030, data nella quale sono attesi i primi effetti tangibili della digitalizzazione. L’ambizioso traguardo vorrebbe tre quarti delle aziende europee capaci di gestire aggregazione di dati, intelligenza artificiale, oltre a servizi di archiviazione di massa su server remoti (cloud computing).
A fine aprile infatti la Commissione ha proposto un regolamento sull’Intelligenza Artificiale (IA) per definire un quadro normativo sui quattro livelli di rischio legati all’applicazione altamente tecnologica dell’IA, soprattutto rispetto alla raccolta di dati biometrici, all’esito discriminatorio della profilazione dei soggetti, o alle infrastrutture tecnologiche pubbliche.
L’aspettativa infatti è che l’IA determini un valore aggiunto alla ricchezza europea per circa 16 miliardi di €uro, a patto di un 90% delle PMI del continente occidentale, saldamente direzionate sulla rotta della digitalizzazione.
I quattro punti cardinali muovono dalla digitalizzazione dei servizi pubblici, alla trasformazione digitale del commercio, alle competenze settoriali, fino ad infrastrutture tecnologiche sicure e sostenibili, per cui sono previsti obiettivi specifici, una governance innovativa e soprattutto una cittadinanza digitale fatta di diritti – come trasparenza, privacy, libertà espressione e di impresa, protezione della proprietà intellettuale.
In un sistema economico sempre più incentrato sul valore delle aggregazione di dati, il timore di un rimpiazzo di manodopera da parte dell’intelligenza artificiale è diffuso anche in diversi studi dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE).
D’altro canto è facile cadere in una sovrastima dell’automatizzazione del lavoro, poiché le professioni etichettate come occupazioni ad alto rischio spesso contengono ancora una quota sostanziale di compiti difficili da automatizzare. Nell’indice elaborato dallo studio OCSE la media di impieghi automatizzabili nei 21 paesi analizzati si aggira intorno al 10% dei posti di lavoro attuali.
Secondo Del Castillo, ricercatrice capo all’ETUI di Firenze, “l’attuale condizione di subalternità di lavoratrici e lavoratori rispetto agli imprenditori, rischia di compromettere ulteriormente diritti acquisiti nella corsa alla digitalizzazione, perciò si rende impellente un quadro di tutele efficaci ed aggiornate, magari mediante il dialogo sociale”.
Lo scorso mese il Parlamento Europeo ha deliberato una risoluzione che impone alle aziende maggior controllo sulla filiera produttiva, in termini di rispetto dei diritti umani, ambiente e gestione diligente.
In Francia un provvedimento simile è stato definito “il dovere di cura” per la tutela da impatti negativi sull’ecosistema, la salute e la sicurezza sul lavoro. Questo piano di vigilanza deriva dal lungo dibattito politico in seguito al disastro del Rana Plaza in Bangladesh nel 2013, dove oltre mille addetti alla confezione di prodotti per marchi occidentali persero la vita nell’esplosione dello stabilimento fatiscente e sovraffollato. E’ stata soprattutto l’iniziativa di quattordici associazioni ambientaliste e quattro enti locali ad aver spinto per un simile provvedimento, dopo la contestazione del piano aziendale di Total nel gennaio 2020 per la responsabilità sociale ed ambientale dell’azienda.
La titolarità dell’iniziativa di appello al ‘dovere di cura’ in capo ai soggetti direttamente interessati ha aperto uno spiraglio per azioni sindacali o vere e proprie class-action civiche, soprattutto per il rispetto dei protocolli anche da parte di aziende in appalto.
Si cerca così di riscoprire una “Festa del Lavoro Vitale”, come riporta il titolo dello European Forum organizzato dalla Sinistra Europea sul piano di Resilienza e Recupero, per mettere al centro della programmazione il pilastro sociale europeo, per una trasformazione economica ed ecologica, rispettosa dei diritti acquisiti.
Un modello radicalmente alternativo di Unione, dove salari, pensioni e protezione sociale sono uniformati a standard elevati, per invertire la rotta del passato verso il ribasso delle tutele ed il social dumping, a cominciare proprio dalle priorità istituzionali.
Questo secondo 1°maggio pandemico rilancia l’impegno per il miglioramento dei sistemi sanitari, massicci investimenti nei servizi pubblici, la creazione di un Fondo Sanitario europeo.
Secondo il Presidente della Sinistra Europea, Heinz Bierbaum, l’Unione necessita di nuove politiche industriali concepite su mobilità e sostenibilità, possibili solo con ulteriori finanziamenti pubblici e controllo democratico sui progetti di sviluppo.
L’intervento in questo consesso del segretario generale della CGIL, Maurizio Landini, ha sottolineato come la pandemia abbia fatto esplodere quelle diseguaglianze preparate dal fallimento di finanza e speculazioni bancarie precedenti, per cui urge interrogarsi su come cambiare modello sviluppo, rimettendo al centro il lavoro e la sua rappresentanza su piano culturale e politico.
Con l’attenzione rivolta al Summit Sociale di Porto, considerato un passaggio cruciale nella lotta per un’Europa Sociale, nelle periferie dell’Unione la digitalizzazione e l’IA rischiano di diventare un surrogato insidioso della manodopera, contraendo ulteriormente i posti di lavoro in settori critici come il manifatturiero, mentre larga parte dell’innovazione tecnologica dovrebbe essere essenzialmente impiegata per la tutela della sicurezza del lavoro, con sistemi di controllo salvavita all’avanguardia.
INFO:
https://www.etui.org/news/workers-rights-under-threat-digital-transformation-europe
https://www.european-left.org/wp-content/uploads/2020/05/EL_protectourfuture_de.pdf