articoli

Egemonia

di Roberto
Musacchio

Ridare dignità e orgoglio all’immaginario nazionale.
Questo il titolo dell’evento che si è tenuto il 6 aprile a Roma e che è stato definito da Alessandro Amorese, deputato di Fratelli d’Italia, l’occasione per mettere per la prima volta insieme buona parte di coloro che si occupano di cultura in Italia e che non fanno parte dell’egemonia culturale della sinistra, che è fallita trasformandosi in conformismo di potere. Perciò bisogna, per gli organizzatori, dare dignità e forza alla cultura nazionale facendo leva sui molti anticorpi ad alcune degenerazioni derivate dai campus americani, come la ‘cancel culture’ e la ‘woke culture’. Naturalmente l’egemonia di sinistra da combattere è quella che  affiora le sue radici nel ’68. In quell’anno nacque una visione anti meritocratica che ha messo in discussione il principio di autorità.

L’evento non era del Ministero della cultura ma il ministro Sangiuliano era naturalmente presente.

Riporto in fondo a questo articolo per intero il programma per farsi una idea di come la destra ora al governo provi a declinare la sua idea di egemonia.

Naturalmente appaiono evidenti le contraddizioni già nelle premesse alla critica della cultura di sinistra. Accusare di conformismo di potere e di americanizzazione e poi ricercare le origini di ciò nell’egualitarismo sessantottino non appare particolarmente convincente.
Eppure se si entra nel pensiero di chi propone questo salto forse una logica la si trova. L’attacco infatti non è al comunismo, probabilmente considerato storicamente morto e forse non più potenzialmente antagonista, ma a quell’utopia che fondava l’egualitarismo non sull’autoritarismo ma sull’affermazione di identità, libertà e diritti. Qui è il caso di rifuggire anche per noi da troppo facili critiche di contraddittorietà e provincialismo.
Naturalmente una critica di americanismo che viene da settori politici che oggi sono alla testa del fronte neo atlantico appare contraddittoria. Ma non si può sfuggire alla replica che una parte significativa di ciò che fu quello stesso movimento di liberazione social generazionale del ’68 sia confluito in questi decenni nella gestione del potere ed anche in una qualche forma di appoggio ad una sorta di accondiscendenza al suprematismo occidentale. Insomma l’idea che il capitalismo occidentale è comunque meglio di quello orientale. Il tema va affrontato perché riguarda molti aspetti decisivi.

Il rapporto che c’è tra il ’68 e in genere i “nuovi movimenti” e il socialismo e l’anticapitalismo.
Che rischio si sta correndo con l’accettazione dell’americanizzazione e del nuovo atlantismo come “dighe” verso i “dispotismi” orientali quando l’Occidente è pervaso di suprematismi sia nel campo “liberal” che in quelli “neoliberali”. E il campo liberal pratica le guerre suprematiste mentre quello neoliberale si erge a paladino delle identità vilipese. Per altro non avendo vergogna a sovrapporsi. Basti vedere come Meloni appoggi la guerra NATO contro Putin ma non segua la UE contro Orban anti LGBT. E d’altronde la UE si guardò bene di attaccare Orban per le sue leggi contro il lavoro e si guarda ancora di più dall’attaccare Macron per i suoi comportamenti antidemocratici sulle pensioni.

Come sfuggire a dinamiche rosso brune che sono in atto.
Soprattutto, come ritrovare una propria via all’egemonia.
A patto che lo si voglia provare a fare dato che una parte consistente di ciò che fu sinistra si è conformata alla gestione e un’altra, più piccola, che lo è ancora di sinistra, sta tra il “rifiuto liberatorio” del concetto stesso di egemonia in nome di una sorta di “pan movimentismo” e un’altra si “insettarisce”.
Purtroppo la rimozione del ‘900 non aiuta. Eppure è difficile non prendere atto a decenni di distanza dall’avvio di questa rimozione che quei pensieri, e ci metto Marx ma anche Freud e Darwin, hanno avuto un peso storico antropologico che non ha più trovato pari. E che oggi il capitalismo prova da tempo a farsi non solo pensiero unico ma artificiale che “esternalizza” e “distrugge” le specificità cognitive umane. Il paradosso del mondo orwelliano che Orwell attribuiva allo stalinismo e che si trova inverato nel capitalismo globalizzato e guerresco è il segno del tempo che viviamo.

Comunque c’è da dire che la destra ci prova. E noi?
Lo stato della capacità discorsiva, detto alla Habermas, a sinistra è disastroso. Altro che pensiero internazionalista. Le sinistre nel Mondo non discutono. Sanders e Lula sono oggi due pianeti distinti e distanti. In Europa non esiste né movimento operaio né sinistra, e lo si vede perché, come fu per Praga, oggi è la lotta francese ad essere sola.

In Italia non ne parliamo, dove ormai siamo alla nullificazione.
Anche chi prova a produrre idee lo fa in solitudine, con pochissimo ascolto e nessuna discussione.

C’è il manifesto che resiste ma quotidianamente fa soffrire chi come me ricorda altri livelli analitici. Left. Tanti piccoli gruppi, tra cui noi stessi di transform. Ci leggiamo, ci parliamo almeno tra noi? Per ora pare proprio di no.

Allora vorrei proporre almeno di provarci.

Leggi anche: Agli Stati generali della “cultura nazionale” la destra si incontra per piazzare i suoi nomi al Mibact

Roberto Musacchio

Destra
Articolo precedente
L’Unione Europea sospesa tra “vassallaggio” agli USA e “autonomia strategica”
Articolo successivo
Transizione ecologica, energia, Sud

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Compila questo campo
Compila questo campo
Inserisci un indirizzo email valido.