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Educazione europea

di Roberto
Musacchio

“Io attendo nella mia cella antica -quanti uomini come me hanno atteso?- che l’ultimo manifesto sia stampato, che l’ultima bomba sia morsa e lanciata. Attendo che l’ultima vittima cada per aver gridato “Viva la libertà! Che l’ultimo stato sovrano crolli ai colpi dei patrioti europei. Attendo che tutte le capitali diventino città di provincia, che muoia l’eco nel mondo dell’ultimo canto nazionale. Che infine l’Europa si erga e cammini, la mia amata, prostrata e calpestata… Attendo nella mia cella antica. Quanti altri uomini come me attendono?”

Romain Gary, lituano, ebreo, francese, pilota di aerei combattente nella resistenza, scrittore e diplomatico così si immagina l’Europa nel suo primo libro, “Educazione europea” scritto nel 1945 e giudicato da Sartre il più bel libro sulla Resistenza.

In realtà il suo nome di nascita era Karew, avendo avuto i natali a Vilnius in Lituania nel 1914. La madre che era una attrice segnò profondamente la sua vita coltivando per lui moltissime aspettative, molte delle quali realizzate. Del rapporto fortissimo con lei Gary/Karew scrisse in un altro libro, “Le promesse dell’alba”, che ha ispirato anche un film.

Ma Gary/Karew non esauriscono i nomi che egli si attribuì. Usò anche lo pseudonimo di Emile Ajar, col quale realizzò una incredibile beffa inventando una persona che non esisteva, vincendo col suo “La vita davanti a sé” per la seconda volta il premio Goncourt, cosa proibita, e che lo portò prima a chiedere a un suo cugino di interpretare il suo pseudonimo e poi a “confessare” tutto poco prima di porre fine volontariamente alla sua vita nel 1980.

Dava corso anche così al suo bisogno di essere molte cose, di vivere molte vite. Anche i suoi matrimoni lo testimoniano, prima con una brillante scrittrice inglese e poi con l’attrice americana Jan Seberg, che lo precedette di poco nella scelta del suicidio.

Nella educazione europea si esprimono tutti i drammi e le speranze della guerra e della vita. Il protagonista, Janek, è appena più di un bambino, polacco, lasciato dal padre dottore alle “cure” della foresta prima di essere lui ucciso in un atto di ribellione dagli invasori tedeschi. Li chiama tedeschi esprimendo così il nesso tra nazismo e nazionalismo. Ma più volte nel romanzo recuperano l’umanità perduta che lui stesso invece rischia di perdere uccidendo. Nella foresta incontra i partigiani, uomini semplici, studenti, un letterato, e insieme nel gelo attendono, compiendo alcune azioni. La foresta è un altrove nel gelo ma ancora comunica con la terra invasa con viaggi da una parte all’altra. L’attesa è per la battaglia che deciderà tutto, quella di Stalingrado. Stalingrado che resiste è la loro forza. (con buona pace delle risoluzioni del Parlamento europeo che stravolgono la storia della seconda guerra mondiale) Insieme al partigiano Nadeyda, in realtà non una persona reale ma un mito, quello dello spirito della resistenza. Gary prende a prestito un nome che fu una vera infermiera e partigiana di Stalingrado. E lo rende appunto mitico. È ovunque, imbattibile.  Romanzo nel romanzo quello che il partigiano letterato, Dobranski, sta scrivendo e che morendo lascerà da finire a Janek. Janek in realtà ama la musica, sia che a suonare sia una polacca, che un tedesco, che un piccolo ebreo deriso. E ama Zosia, giovane che si prostituisce ai tedeschi per sopravvivere fino a quando Janek non spartirà con lei il suo rifugio imparando da lei che è un po’ più grande di lui ad amare sapendo attendere.

Dobransky, prima di morire, gli parla “di libertà e amicizia, del progresso, di pace e fraternità e dell’amore universale; parlava di uomini uniti nella fatica del lavoro, ma anche in uno sforzo comune per comprendere il senso e il mistero del mondo; parlava di cultura, arte, musica e scuole, di universalità, di cattedrali, di libri e di bellezza…In realtà pareva a Janek che Dobranski non stesse parlando, ma cantando…..Non ci sarebbero state più guerre, gli americani e i russi avrebbero unito i loro sforzi fraterni per costruire un mondo nuovo e felice dal quale il timore e la paura sarebbero stati banditi per sempre. Tutta l’Europa sarebbe stata libera e unita; ci sarebbe stata una rinascita spirituale più  feconda e costruttiva di quanto l’uomo, nei suoi momenti più ispirati, avesse mai potuto sognare… Quanti usignoli, pensò Janek, avevano cantato così nella notte attraverso i secoli? Quanti usignoli umani, fiduciosi e ispirati, sono morti cantando questa meravigliosa e eterna canzone? Quanti altri ne moriranno ancora, nel freddo e nei patimenti,  circondati da disprezzo, odio e solitudine, prima che la promessa del loro canto inebriante venga mantenuta? Quanti secoli ci vorranno ancora? Quante nascite, quanti morti? Quante preghiere e sogni? Quante lacrime e canzoni, quanti canti nella notte? Quanti usignoli?”

Quando, a guerra finita, Janek torna a portare nella foresta il libro che ha terminato per Dobranski, “lo posa a terra, sulla strada delle formiche. Ma ci vorrebbe ben altro per costringere le formiche ad abbandonare la loro strada millenaria. Si arrampicano sull’ostacolo o trottano, indifferenti e frettolose, sopra le strane parole tracciate sulla carta a grandi lettere nere: Educazione europea. Trascinano con ostinazione le loro ridicole some. Ben altro che un libro occorrerebbe per costringerle a lasciare la loro via, la via che milioni di altre formiche hanno percorso prima di loro, che milioni di altre formiche hanno tracciato….Quante nuove cattedrali dovranno ancora essere costruite, per adorarvi un Dio che dà loro così deboli reni  e un così pesante carico?….Il mondo nel quale soffrono e muoiono gli uomini è quello stesso nel quale soffrono e muoiono le formiche: un mondo crudele e incomprensibile, in cui la la sola cosa che conta è portare sempre più lontano un assurdo fardello, un filo di paglia, sempre più lontano, col sudore della propria fronte a prezzo di lacrime di sangue, sempre più lontano senza mai fermarsi per respirare o chiedersi perché…”Gli uomini e le farfalle…”.”

Tutte le grandi speranze della resistenza al nazifascismo vivono in questo libro, europeo nel senso più profondo del suo significato. Tragico e pieno di desideri, come di paure, di disillusioni, di inquietudini storiche ed esistenziali.

L’Europa è un avventura, scrisse Bauman, per significare che essa è un mito, una ricerca senza fine. Gary continuò la sua educazione europea. Che lo portò a inventarsi come Aiar e a scrivere nel 1975 il suo “La vita davanti a sé”. Una storia straordinaria resa meravigliosamente al cinema da Simone Signoret che interpreta   la “vecchia” Madame Rosa, prostituta di origine ebrea, reduce da Auschwitz,  che “tiene” a Belville una pensione a pagamento per bambini orfani e figli di….Tra loro Momo’, bambino mediorientale, che accompagna Madame Rosa nei suoi ultimi tempi tra le antiche angosce delle persecuzioni naziste e la nuova realtà multietnica in cui vorrebbe vivere la sua vecchiaia con dignità mentre teme che a causa della malattia che l’ha colpita possano farla rinchiudere. Un nuovo grande terrore che le fa rivivere quello antico. Momo’ la aiuta quando si nasconde, quando si perde nella malattia. Difende la sua dignità fine alla fine. La Belville  multietnica, che diverrà famosa con il Malussene di Pennac diversi anni dopo, è la foresta urbana dove Momo’, bambino come Janek, continua la sua, la nostra, educazione europea.

 

 

 

 

 

 

 

 

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