Si moltiplicano le esternazioni di “autocandidatura” di Draghi alle cariche apicali della UE. Uscito dal portone di Palazzo Chigi, Mario Draghi potrebbe entrare in quello che porta al ruolo ben più potente della presidenza di una Istituzione europea apicale, come il Consiglio europeo (ma c’è anche la Commissione)? Già qualche giorno fa con l’occasion di un premio che gli ha conferito a New York l’American Academy in Berlin.
Nella circostanza Draghi era tornato sui concetti che va ripetendo in particolare dopo il ruolo di incaricato dalla Presidente Von Der Leyen ad occuparsi del futuro della competitività industriale europea.
I punti cardine che Draghi va ribadendo come mantra sono quelli dell’unità e della forza. La UE sarebbe strutturalmente vulnerabile per molte ragioni. Dalle sue divisioni, alla sua demografia, dalla sua debolezza militare al suo declino industriale. Altre parti di quel mondo globalizzato che ora appare sempre più periglioso sarebbero più attrezzate. E la UE lo dovrebbe fare. Ed io, sembra dire Draghi, saprei dare il mio contributo. L’uomo è navigato, molto. Si è ripetuto ora proprio vicino a Bruxelles in occasione di un appuntamento sul pilastro sociale europeo organizzato dalla Presidenza di turno europea. Ha ulteriormente chiarito che vuole una Europa competitiva e pronta a battagliare e che per averla bisogna forzare il quadro dato non facendosi imprigionare dai trattati. Procedendo anche solo con chi ci sta. Dunque una forzatura costituente che usa il funzionalismo, cioè non i valori ma la necessità di competere, per strappare regole, ma anche impianti costituzionali. Nella “dialettica” tra funzionalismo e federalismo, la solita strada per cui costituenti sono gli interessi forti. È così che la UE è già oggi diventata la forma più moderna di postdemocrazia. L’uomo, dicevo, conosce le cose del Mondo. Cantore delle magnifiche sorti e progressive della globalizzazione, ora si mostra capace di indossare gli scarponi di una UE volta a fare del riarmo la sua prima scelta per affrontare l’onda increspata, la tempesta, e le vere e proprie guerre in corso, militari ed economiche. Draghi ha usato la Bce per l’austerità ma anche per il Quantitative Easing che ha tenuto a galla l’economia (in realtà i profitti in primo luogo) europea.
La storia recente ci dice della caduta del suo governo per un incidente politico che non sembrava così irrisolvibile. Di elezioni scontate sul chi avrebbe vinto. Ed ora di una premier, Meloni assai pratica di dinamiche europee, che era stata all’opposizione del suo governo ma ha già apprezzato la sua nomina europea da parte di Von Der Leyen. Che Meloni non ha votato come presidente ma con cui si accompagna spesso e volentieri. D’altronde il partito europeo di Meloni non è precluso dalla Presidente come accade a quello di Le Pen.
In realtà le destre nella UE hanno il vento in poppa. Socialmente, elettoralmente e politicamente. Quasi tutte confluiscono nell’appoggio bellico all’Ucraina, anche avendo carte di riserva se arriverà Trump. Cavalcano il malcontento. La loro proposta di Europa delle Nazioni non è poi così distante dal patto che si sta cementando tra élites bruxellesi e gestori dei governi. Serve unità e forza per difendere lo status quo fatto di guerra, debito e profitti. Poi la UE, come si è visto con i vaccini, tiene più alle multinazionali che a fare industrie proprie. In uno scenario così qualche giornale parla di Draghi candidabile dalla stessa Meloni ad una nomina apicale. Lo stesso Orban si sarebbe espresso favorevolmente. Presidente del Consiglio europeo? O alternativa alla stessa Von Der Leyen (che ha i suoi “problemi”) alla Commissione? I giochi degli establishment e delle “nazioni” sono tanti e i protagonisti si sono allargati oltre i tradizionali francesi e tedeschi. Ci sono i polacchi, in via di enorme riarmo, come i tedeschi. Meloni ci pensa. E ci pensano “gli italiani” con cuore e testa a Bruxelles (e Washington) che da due decenni gestiscono trasversalmente la politica italiana. Poi Draghi in realtà è anche un sopravvalutato. Una figura di apparato senza spessore politico e storico. Pieno di contraddizioni (anche di ruoli svolti) e di previsioni sbagliate, le ultime sul crollo della economia russa che sarebbe stato repentino. Ma intanto questo passa nel “dibattito politico europeo”.
Per la Pace e la democrazia europea bisogna guardare altrove.
di Roberto Musacchio
P.s. a proposito di sliding doors un altro che le attraversa sempre è Enrico Letta. Anche lui assegnatario di un incarico dalle istituzioni europee. Doveva fare un rapporto sul mercato interno. Ed eccolo qui. Lo ha avuto e pubblicato da politico.eu e lo linkiamo qui.