evidenza, interlocuzioni

Dopo la sconfitta

di Raffaella
Bolini

di Raffaella Bolini – L’Europa non è nera. Gli europei sono andati a votare, certo non tutti, ma con la partecipazione più alta da venti anni. E in grande maggioranza hanno votato europeista, in molti modi e con situazioni nazionali diversificate. Il Parlamento Europeo avrà un maggior pluralismo politico. Le due grandi famiglie politiche tradizionali, socialisti e popolari, perdono voti ma crescono i Verdi e i Liberali. La sinistra perde seggi. I fascio-razzisti sono una realtà ma non sfondano.

Mezza Europa non vota, ma chi va a votare lo fa con la testa. Più si abbassa il tasso di appartenenza ideologica, più le persone scelgono – lo dimostra il tasso di volatilità elettorale, con flussi grandi di persone che si spostano da una elezione all’altra. Il voto è ancora prezioso per molti, tanto più in democrazie con sempre più basso tasso di partecipazione reale. Il fatto che sia tanto condizionato dalla comunicazione di massa non toglie nulla al fatto che molti lo percepiscano come l’unico strumento di potere ancora nelle proprie mani. E lo utilizzino.

Mi pare che gran parte dei votanti abbia usato, questa volta, scegliendo il male minore. Di fronte al rischio del collasso dell’Unione e dell’avanzata sovranista-reazionaria, hanno messo in priorità la scelta a difesa della integrazione e dei valori democratici. Hanno posto freno alla rivoluzione di destra non con una rivolta opposta e contraria ma confermando la “governance” – o il cambiamento compatibile al suo interno.

Il peso delle politiche neo-liberiste dell’Unione, la crescita enorme delle diseguaglianze, il suo effetto pesante sulla vita delle persone normali, l’austerità e il debito sono come rimasti sospesi e sullo sfondo: la casa può andare a fuoco e bisogna spegnere l’incendio, il resto viene dopo. La maggior parte dei partiti del campo europeista ha promesso maggiore attenzione al tema, e questo pare sia bastato ai più.

Negli ultimi anni, del resto, un punto di riferimento visibile e attrattivo anti-liberista in Europa non c’è stato. Niente a cui le persone potessero guardare con interesse ed empatia. Sul tema della lotta alle disuguaglianze, del lavoro e del reddito, delle politiche sociali non esiste da un movimento europeo – e quelli nazionali sono deboli, frammentati, settoriali o semi-corporativi, persino in competizione fra loro, incapaci di produrre un progetto credibile e convincente di alternativa.

Invece, benché i Verdi siano una famiglia politica piuttosto diversificata, credo abbiano quasi tutti tratto beneficio dall’esplosione del movimento di Greta – che è riuscito a offrire una narrazione comune ai mille frammenti di grande sapere e pratiche ecologiste che esistono in Europa, dando ad esse riconoscibilità, volti e linguaggi di impatto e comprensibili.

Sono convinta poi che nella Unione Europea la sinistra in senso ampio abbia perso il treno della storia nel 2015, nel momento in cui era possibile dare alla critica all’Europa una torsione progressista, rivoltandosi tutti insieme a fianco di Syriza contro la Troika. Lo capimmo in pochi, la Grecia restò sola, l’Europa matrigna è diventata il cavallo di battaglia delle destre, e ora per fermare le destre i più pensano sia necessario difendere – in un modo o nell’altro – l’esistente. Mentre Syriza paga il prezzo di essersi dovuta salvare da sola da uno dei peggiori attacchi alla democrazia, formale e reale, avvenuto in questo continente nell’ultimo mezzo secolo.

Il quadro che ci consegnano le elezioni europee comunque non è statico. Se le forze sistemiche democratiche non daranno una svolta in chiave sociale alle politiche europee, per porre un definitivo freno alla rabbia e alla frustrazione sociale che nutre la destra, i problemi ritorneranno tutti a galla. Chi e come li affronterà?

L’Italia è il vero buco nero delle elezioni europee. L’Ungheria è una conferma, in Polonia il PIS è tallonato dalla coalizione europeista, in Francia la Le Pen vince di poco. Da noi, se mettiamo insieme i voti di Salvini e della Meloni, abbiamo il 41 per cento degli italiani che ha affidato le proprie sorti a leaders la cui collocazione nel quadro dei valori costituzionali non è certa. Il populismo progressista 5stelle viene asfaltato. Il PD recupera in percentuale, spinto dal voto utile contro la destra e, nel potenziale elettorato nostro, dalla speranza che Zingaretti lo riporti a una collocazione di sinistra. La Sinistra scompare.

Ci fosse stata l’unità con i Verdi, avremmo fatto più bella figura ma la realtà non cambia. La Sinistra è nata ieri, dopo anni di errori fatali e disunioni, con la propria area storica sfiduciata, e sconosciuta ai più. Le organizzazioni che l’hanno costruita ora sono facile bersaglio. Io invece le ringrazio. Perché poter andare alle urne era un diritto anche mio e di quel mezzo milione di persone che hanno votato la lista.

Era una operazione tardiva ma semplice, e pulita: il riferimento a una famiglia europea attiva e realmente esistente, i promotori già tutti aderenti alla Sinistra Europea, e candidati di società civile attiva. Non è bastato a un risultato almeno decente. Conquistare un popolo che neppure sapeva della esistenza della lista era impossibile. Ma non sono arrivati i voti neppure di tanti attivisti fedeli alla linea – molti hanno votato i candidati buoni del PD, scegliendo il voto utile per non sprecare il voto in una operazione ritenuta tardiva, gestita dall’alto, senza pathos né partecipazione.

E ora? Vedo molti rischi nel dibattito post-elezioni.

C’è la tendenza politicista: misurarsi a colpi di distanza o vicinanza dal PD. Certo, con il successo di Salvini, qui la tentazione del fronte anti-barbarie rimane forte. Anche chi confida in uno spostamento a sinistra del PD però dovrebbe considerare quanto importante sarebbe che Zingaretti non avesse interlocutori solo a destra. Una sinistra anti-liberista autonoma e attiva avrebbe un ruolo, come potrebbe averlo in Spagna e lo ha già in Portogallo.

Dall’altra parte, suonano forti le sirene dell’anti-politica di sinistra – lasciamo il terreno della rappresentanza, buttiamoci in strada a ricostruire società. Sarebbe un errore gigantesco, quello che personalmente imputo al mio mondo, alla società civile e alle organizzazioni sociali che in questi anni hanno teorizzato che c’è un prima e un dopo, che prima si fa il popolo e poi il popolo farà la politica nuova. Non è vero, non è mai stato vero nella storia. Le persone vogliono una rappresentanza politica ai loro bisogni sociali, se non la trovano a sinistra la cercano altrove – destra e non voto incluso.

E, mentre c’è chi tende all’iper-soggettivismo, pensando che basti rinchiudere in una stanza gli sconfitti per trovare la soluzione al futuro, altri si buttano sull’opzione nichilista attiva: facciamoci da parte, scompariamo, prima o poi qualcosa di nuovo arriverà a sostituirci. Ma chi, e quando? E nel frattempo?

Invece, forse la cosa da fare è semplice: mantenere la convergenza, renderla permanente, allargandone la “proprietà” e il governo oltre che ai soggetti promotori anche a chi ci ha messo la faccia o il voto – candidati, attivisti, elettori, coinvolgendo le esperienze unitarie delle amministrative, e anche chi questa volta ha fatto altre scelte. Non esiste una sede dove gli attivisti di sinistra, ovunque siano attivi, possano confrontarsi, mettere in comune, usare le proprie energie per capire come dare rappresentanza politica alle proprie idee. Che prenda per le corna il problema di come ricostruire la catena spezzata della rappresentanza a sinistra – dalla persona al Parlamento.

Siamo frammentati, divisi, isolati – ciascuno nel proprio luogo, politico o sociale, ciascuno sul proprio tema. Con molti luoghi sociali dove il tema della rappresentanza è tabù. E, nonostante lo riteniamo sbagliato, alla fine noi “sociali” proseguiamo a delegare alle forze politiche le scelte sulle elezioni. Sarebbe assai più responsabile e utile discuterne insieme, e non all’ultimo momento. Non sprecare le tante risorse che esistono già. In uno spazio comune, condiviso, collaborativo da far vivere sui territori laddove possiamo arrivare, e anche in rete.

Un tetto comune, che non tolga spazio al dibattito interno alle forze politiche ma che i partiti riconoscano come necessario e a cui partecipino. Dove il tema della proposta per le prossime elezioni si possa intrecciare con la ricucitura dei frammenti di pensiero e pratiche in un progetto leggibile di alternativa, capace di corrispondere ai bisogni sociali – le vere lenti attraverso le quali le persone normali, non solo i super-esclusi ma la classe media impoverita ed insicura, guardano il mondo – e alla crisi di senso di questo occidente in decadenza.

Nell’Europa della diseguaglianza crescente dovrebbe essere questo il centro di una sinistra credibile, su cui saper stare sul pezzo con lo stesso dettaglio e dedizione quotidiana che permette a chi salva i migranti in mare di conoscere i movimenti di ogni barchetta in mezzo al Mediterraneo.