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“Dio, Patria, Famiglia”: una regressione contrastabile

di Giovanni
Russo Spena

Il bel libro di Luca Kocci  “Cristiani per il socialismo 1973/ 1984″ è importante perché riannoda i fili della memoria storica di un movimento che ha avuto una rilevanza politica oggi rimossa. E che ancora ci parla, soprattutto per le proiezioni sociali contemporanee dell’attuale papato. L’attuale mediocre sistema politico  vorrebbe rimuovere, infatti, il fitto dialogo tra crisiani e marxisti, che spesso diventò condivisione teorica e cooperazione politica. Furono centinaia di migliaia i credenti che intrecciarono fede cristiana ed impegno politico per la realizzazione di una società socialista. E senza fondamentalismi. Il primo convegno nazionale dei CpS nel 1973 così scriveva nel documento conclusivo: ” non intendiamo trasformare il cristianesimo da strumento di legittimazione dell’ordine costituito a giustificazione della rivoluzione…”. Non dimentichiamo che i CpS hanno agito in un’Italia in cui è assoluto il ruolo del Vaticano nell’intreccio tra Chiesa e politica; anche questo ne ha marcato la particolarità. E’ ben descritta , nel libro, la fase del pontificato di Giovanni ventitreesimo, del Concilio Vaticano secondo, del postconcilio, che si intreccia con il movimento del sessantotto e con i “lunghi” anni settanta . La nascita dei CpS in Italia è la proiezione della latinoamericana Teologia della Liberazione. Al primo convegno nazionale di Bologna , infatti, si discusse soprattutto di fede e politica , a partire dalle tesi di Giulio Girardi sull'”unità dialettica fra marxismo e cristianesimo: l’obiettivo è di trasformare la società in senso socialista e rinnovare la Chiesa in senso evangelico, demistificando i processi di alienazione religiosa e riscoprendo il messaggio rivoluzionario del Vangelo”. Il libro disegna con acume scientifico le contraddizioni che esplodono nel 1977 , non riconducibili, tra l’altro, unicamente ad una spaccatura, pur evidente, tra sinistra storica e nuova sinistra. Il libro è importante anche perché dimostra che in quelle ricerche, in quell’elogio del dubbio, vi erano segmenti ed embrioni di futuro, di speranza. Anche della nostra riflessione contemporanea. Sono stati  “anni affollati”, per dirla con Gaber. Il movimento di contestazione che attraversa la società  irrompe anche nella Chiesa e nel mondo cattolico, intrecciando aspetti religiosi e politici. Con il pontiicato di Paolo sesto prende forma quella che Dorigo su “Questitalia” chiama la “restaurazione aggiornata”, che vuole chiudere quel “cimento rivoluzionario” del quale, secondo lui, il Concilio è una sorta di denotatore. Eppure resistemmo. Ormai il tappo era saltato. Si erano liberate nuove forme e nuovi modi di vivere la fede. Anche le principali organizzazioni cattoliche di massa mettevano in discussione il collateralismo con la DC.. Ho vissuto personalmente il congresso nazionale dell’agosto 1969 che chiedeva “il superamento della dottrina sociale della Chiesa, l’abrogazione del Concordato e l’abbandono di qualsiasi appoggio alla DC”.  Il PCI non comprese nulla di quel processo, che pure coinvolgeva anche sindacati operai come la Fim Cisl e l’unità dal basso dei metalmeccanici.  Le nostre icone, in quella fase, erano il prete guerrigliero colombiano Camillo Torres, ucciso in uno scontro armato nel 1966; così come i gesuiti che lottavano in Brasile per la riforma agraria. E, in Italia, la scuola di Barbiana di don Lorenzo Milani , la “chiesa dei poveri” di Don Mazzi e di tante città italiane. Nacquero, a partire dal 1967, centinaia di gruppi spontanei. Nel novembre 1968 , a Rimini, fu assunta come centrale la lotta di classe; e, come punto di riferimento, il marxismo.  Eclatante fu l’episodio della basilica di S. Paolo fuori le mura a Roma , retta dall’abate Franzoni. Costretto dalla gerarchia vaticana a scegliere , nel 1973 Franzoni lascia la basilica , proseguendo il suo cammino “fuori dal tempo” nella Comunità di Base di S. Paolo. Nel 1974 fu sospeso a divinis e, nel 1976, fu dimesso dallo stato clericale . Permettetemi, infine, in questa succinta analisi storico/politica, di ricordare il ruolo dirigente di un compagno a me carissimo, purtroppo prematuramente estinto, Domenico Jervolino, un intellettuale comunista. Fu uno dei massimi esponenti dei CpS, che analizzò lucidamente anche la sua crisi. “Bisogna superare ogni settorialismo e rifiutare ogni forma di delega ai compagni credenti, perché la questione cattolica è uno dei nodi essenziali della strategia del movimento operaio”; così argomentava Jervolino, secondo il quale il rapporto tra fede e politica va affrontato “evitando il rischio dell’intimismo e dell’integrismo, sottolineandone, al contrario, la politicità… E le formule politiciste come l’unità della sinistra, senza radicalità e senza innovazione, sono divenute, nella nuova fase, dolorosamente insignificanti”. Qui siamo, ancora oggi. Non vale la pena di discuterne , mentre governa la regressione “dio, patria e famiglia”?

Giovanni Russo Spena

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