di Loredana Fraleone[*] – La ministra Azzolina dichiara che circa 7 milioni di studenti seguono la didattica a distanza, mescolando, come si fa sempre con statistiche generiche che deformano la realtà, tutti i livelli di istruzione tra di loro. In realtà sui circa 8,6 milioni di studenti, vi sono differenze tra ordini di scuole, tra territori e ancor più tra situazioni socioeconomiche. Bisognerebbe inoltre capire cosa s’intende esattamente per didattica a distanza, visto che in molti casi si usa la posta elettronica, WhatsApp e perfino semplici telefonate.
Sarebbe necessario sapere da dove derivino questi dati, visto che il MIUR certifica il 48% di riunioni collegiali, un dato un po’ bassino visto che nella stragrande maggioranza delle scuole si usa il registro elettronico. L’organizzazione didattica richiede programmazione collegiale, nei consigli di classe vi è organizzazione delle connessioni con gli studenti? Da qualche parte si, da qualche altra no, per svariati motivi. Sarebbe più onesto parlare di contatti, con diverse modalità, che gli insegnanti volontariamente cercano di tenere coi propri alunni, sapendo di fare qualcosa che nulla a che vedere con quella relazione interdipendente che solo come tale si può definire didattica.
I docenti sanno perfettamente che è necessario fare questa distinzione, sulla base di argomentazioni inoppugnabili, persino i più rigidi si sentono espropriati del controllo sulle prestazioni degli alunni nel rapporto a distanza. Soltanto la ministra Azzolina, qualche dirigente più realista del re e ovviamente il mercato delle apparecchiature informatiche fingono che la DAD (didattica a distanza) possa essere sostitutiva, se non in tutto almeno in parte, del rapporto educativo diretto.
Su siti dedicati al sistema d’istruzione e persino su qualche quotidiano e rivista, che normalmente si occupano poco di questi problemi, si è aperta una discussione, intorno a quella che chiamano didattica a distanza in linea con il MIUR e chi lo dirige, abusando di una espressione che vorrebbe ricondurre l’insegnamento alla stregua di attività di lavoro, che possono essere svolte a distanza.
È un bene tuttavia che si sia aperto il dibattito sulla DAD, perché riaccende nel mondo della scuola una riflessione sulla didattica in quanto tale, sui suoi aspetti pedagogici, sul trovarsi di fronte persone diverse alle quali garantire uguali diritti, su approcci “affettivi” incentrati sui metodi che possono dare le risposte migliori per garantire il diritto allo studio.
Una discussione che recentemente è rimasta confinata in limitati ambiti di esperti e di docenti resistenti alle indicazioni didattiche di agenzie esterne, come l’INVALSI, che con l’imposizione di prove standardizzate ha inciso sulle modalità della valutazione, sui contenuti e sul sistema di relazione nelle scuole. Molti docenti, anche cercando di limitare i danni, si sono piegati alla scuola delle “competenze” richieste dall’INVALSI, senza contare che molti sono stati recentemente formati su quell’impianto.
Vi è stata anche una sorta di ripiegamento su se stessi della gran parte dei docenti, frustrati e rassegnati dalla sconfitta subita da quella “scuola buona”, che non si è arresa per tanti anni ai processi che miravano a subordinarla del tutto al mercato.
La terribile situazione che stiamo vivendo mette a nudo non solo l’arretramento subito negli ultimi anni rispetto al diritto fondamentale alla salute, devastato dai tagli alle risorse insieme a Scuola Università e Ricerca, ma anche le disuguaglianze che è urgente compensare, a partire dall’accesso all’istruzione. Dalla scuola per l’infanzia all’università, si è prodotto da un po’ di anni un arretramento proprio nell’efficacia del sistema a causa delle controriforme subite, un arretramento certificato non solo dagli abbandoni in aumento, ma anche da una progressiva perdita di contrasto alle disuguaglianze.
Dicono che il corona-virus sia democratico perché colpisce ogni strato sociale allo stesso modo, ho forti riserve su questo, se non altro per l’esposizione al contagio di alcune categorie di lavoratori rispetto ad altri, ma è vero che sta mettendo a nudo problemi di uguaglianza nella fruizione di diritti fondamentali. Questo vale anche per il diritto allo studio, già molto compromesso e che la didattica a distanza non può compensare, ma solo aggravare se messa a regime.
[*] Responsabile Scuola Università Ricerca Rifondazione Comunista/SE