Una delle principali eredità politiche che ha lasciato lo scomparso Silvio Berlusconi è stata quella di aprire la strada ad un’alleanza organica tra la destra tradizionale, un tempo inglobata nella Democrazia Cristiana e nel Partito Liberale, e l’estrema destra di provenienza neofascista. Questo “sdoganamento” in Italia è avvenuto già nella prima metà degli anni ’90, anche se a quel tempo si poteva pensare che l’egemonia e la guida dell’alleanza restasse nelle mani nei settori politici tradizionali (gli eredi del vecchio CAF di Craxi-Andreotti-Forlani) grazie alla loro ricostruzione in salsa populista.
L’Italia è stata per diverso tempo un’eccezione e quando l’FPOe, estrema destra populista austriaca, arrivò per la prima volta al governo, scattò una certa reazione definibile come “antifascista”.
Ormai tutto questo tende ad appartenere al passato. Sono emersi nuovi attori di destra radicale oltre a quelli derivanti più direttamente dalla storia del fascismo tra le due guerre mondiali, come Fratelli d’Italia, e questi ormai accedono con una certa regolarità a posizioni di governo.
Nei giorni scorsi Petteri Orpo, leader del Partito di coalizione nazionale, ultima denominazione del tradizionale Partito conservatore, è stato eletto primo ministro. Subentra alla socialdemocratica Sanna Marin che ha guidato l’ingresso della Finlandia nella Nato e mantenuto una linea oltranzista sulla guerra in Ucraina. Il nuovo governo sarà formato dal Partito dei (veri) finlandesi, dal Partito cristiano democratico e dal Partito popolare svedese.
L’estrema destra, che raccoglie il 20% degli elettori, potrà contare su ministeri di peso tra cui quello per gli affari economici. Il problema, come accade spesso in Italia, è che il personale politico che i (veri) finlandesi fanno emergere alla luce del sole si porta appresso un curriculum poco presentabile.
Il nuovo speaker del Parlamento Jussi Halla-aho, ex europarlamentare, ha una lunga consuetudine di commenti razzisti, in particolare nei confronti dei musulmani, al punto da essere stato multato dalla Corte suprema. Nel 2006 in un post sul suo blog aveva scritto che sarebbe stato “solo felice se una banda di immigrati avesse stuprato” una parlamentare verde. Analogamente aveva sostenuto che se una donna si oppone alla deportazione di immigrati stupratori allora sarebbe “una bella cosa” se venisse anch’essa stuprata da immigrati. Lo stesso personaggio ha anche preso di mira la comunità LGBTQ+ inneggiando anche in quel caso alla violenza come “soluzione del problema”. Costretto a cancellare alcuni di questi post da un tribunale, Halla-aho ne ha lasciati altri di tenore non molto diverso in rete. Halla-aho, come altri esponenti del Partito dei finlandesi, proviene dall’organizzazione ultra-nazionalista e semi-fascista Suomen Sisu.
Qualche problema di “immagine” per il nuovo governo lo presenta anche il futuro ministro dell’economia Vilhelm Junnila, sempre dello stesso partito, che nel 2019 fu il principale oratore di un evento organizzato nella città di Turku da parte della Coalizione dei nazionalisti, fondata nel 2017, oltre che dal Partito dei finlandesi, dal Movimento di Resistenza Nordico (successivamente dichiarato illegale) e dal movimento di vigilantes Soldati di Odino. La Coalizione aveva l’abitudine di organizzare esercitazioni di tiro in un campo nascosto in una foresta, utilizzando come bersagli le facce dei ministri del governo.
L’evento in cui il futuro Ministro dell’Economia finlandese, Vilhelm Junnila, intervenne come oratore, è stato definito da Euronews una specie di catalogo del neonazismo finlandese.
Il nuovo governo viene ritenuto il più a destra di sempre nella storia della Finlandia. Confinante con la Russia era stato, dopo la fine della seconda guerra mondiale, un paese che aveva svolto un positivo ruolo di neutralità tra i due blocchi. La nuova coalizione che comprende destra tradizionale ed estrema destra condurrà una politica violentemente anti-immigrati e di radicali tagli alla spesa sociale. Come contropartita i (veri) finlandesi hanno messo la sordina al loro tradizionale euroscetticismo e hanno esplicitamente aderito alla linea russofoba e pro-Nato del governo, già avviata da Sanna Marin. Per simbolizzare più esplicitamente il nuovo allineamento del partito, i Finlandesi hanno trasferito i loro europarlamentari dal gruppo Identità e Democrazia (che comprende Salvini e Le Pen) ai Conservatori e riformisti (formato principalmente dai polacchi del PiS e da Fratelli d’Italia).
Alla Finlandia, dopo l’adesione alla Nato, l’ambasciatore degli Stati Uniti a Helsinki, ha promesso una maggiore generosità da parte delle grandi multinazionali degli Stati Uniti oltre che un atteggiamento di favore da parte del Governo di Washington. Nella logica della nuova guerra fredda, come accadde in quella vecchia con Franco, Salazar e i colonnelli greci, si può ben chiudere un occhio di fronte alle politiche razziste e al background neo-nazista di qualche governante finlandese.
Dove la diga verso l’estrema destra per ora ancora regge è la Germania. In un recente “mini-congresso” tenuto a Berlino, la CDU, compreso il suo leader Friedrich Merz, ha respinto ogni ipotesi di collaborazione con l’AfD, l’Alternativa per la Germania, che raccoglie varie tendenze della destra radicale anti-immigrati, euroscettica e populista. Questo partito è valutato in forte crescita nei sondaggi. Rispetto al dieci per cento ottenuto nelle ultime elezioni politiche, oggi è dato tra il 18 e il 20%, sopravanzando nettamente i Verdi e concorrendo con i Socialdemocratici per la conquista della posizione di secondo partito dietro alla coalizione conservatrice CDU-CSU.
L’AfD è oggi considerato di gran lunga il primo partito nei Lander che erano un tempo parte della Repubblica Democratica Tedesca, dove approfitta della crisi di identità della Linke che raccoglieva un tempo soprattutto in questa parte della Germania molto del suo consenso. Nella città di Schwerin nel Meclemburgo-Pomerania, il sindaco socialdemocratico è stato rieletto grazie alla confluenza sul suo nome di tutti i partiti, CDU compresa, che volevano impedire l’elezione del candidato dell’AfD. Lo stesso sta succedendo in vista del secondo turno in una circoscrizione della Turingia, dove l’estrema destra al primo turno ha ottenuto il 47% dei voti. Non mancano eccezioni a questa linea di “fronte antifascista” e qua e là qualche organizzazione democristiana locale ha ceduto alle sirene dell’accordo con l’AfD.
All’interno della CDU si esprimono però, a grandi linee, due tendenze. Quella del leader Merz se da un lato rifiuta ogni intesa con l’AfD, dall’altro tende a far propri alcuni temi propri dell’estrema destra, naturalmente in primo luogo la questione immigrazione. Ma anche sul tema della identità nazionale, a cui ha alluso apertamente lanciando l’allarme verso la “corruzione della lingua tedesca” per effetto della presenza di milioni di migranti. Una parte del partito, il cui esponente preminente è Hendrik Wust, ministro-presidente del Land di Renania del Nord-Vestfalia, il più popoloso della Germania, sostiene invece la necessità di mantenere il partito sulla linea pragmatica della Merkel, che implica non solo di non allearsi con l’estrema destra, ma anche di non inseguirne le argomentazioni.
L’AfD è oggi difficilmente “coalizionabile” perché ha posizioni critiche sulla linea di scontro militare ed economico con la Russia. Sostiene che la vera perdente della guerra rischia di essere la Germania per effetto delle negative ricadute economiche e per l’impatto che il cambiamento di fornitori energetici ha già avuto sulla vita dei cittadini. Temi che trovano orecchie particolarmente sensibili all’est. Ed è interessante rilevare che le posizioni definite da molti commentatori, a volte strumentalmente, come pro-russe non siano di ostacolo alla crescita elettorale del partito nei territori dell’ex Repubblica Democratica Tedesca.
L’assetto politico interno alla Germania non rappresenta però l’unico scenario che definisce l’iniziativa della CDU verso l’estrema destra. Una partita diversa si gioca a livello di Unione Europea. In quel caso sia la Presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, sia il presidente del PPE, il cristiano-sociale Manfred Weber, sono impegnati nel cercare di costruire un fronte tra conservatori ed estrema destra. Mentre i rapporti con la destra polacca sono resi complicati dalla recente legge che si propone di perseguire le, vere ma se necessario anche inventate, influenze russe, largamente interpretata come un tentativo di colpire Donald Tusk, che resta un esponente di primo piano del Partito Popolare Europeo, al momento è più facile intensificare le relazioni con la Presidente del Consiglio italiano, Giorgia Meloni.
Se l’italiana punta a manovrare per evitare conflitti con Bruxelles, per i tedeschi si tratta di spostare a destra tutto l’asse politico europeo, mantenendo la centralità per i Popolari e soprattutto, al loro interno, per i conservatori tedeschi. Una strategia dalla quale Macron non vuole restare escluso, come attesta il recente incontro con Meloni, anche per utilizzare la vicinanza con l’estrema destra italiana in funzione anti-Le Pen.
Insomma che sia il contesto geopolitico, che siano gli interessi economici proiettati verso l’Europa centro-orientale o che si tratti delle manovre finalizzate alla politica interna, centro e centro-destra sono comunque pronti ad integrare l’estrema destra nel blocco politico dominante. A condizione che si schieri a favore della guerra e della Nato. Una prospettiva di alleanze a destra che, pur in un contesto storico evidentemente diverso, fu già largamente perseguita anche fra le due guerre mondiali. Con quali esiti forse è bene tenere a mente.
Franco Ferrari