Un’Europa nata male presenta tutte le crepe della sua inadeguatezza politica soprattutto in questa fase di “guerra mondiale a pezzi” entro i suoi confini che la rendono impotente di fronte alla pericolosità delle scelte di riarmo adottate dalla NATO. I Paesi membri sembrano aver accettato il fallimento dell’ipotesi di costruire la UE sulla base dell’integrazione economica e sociale tra gli Stati membri. In questo quadro emergono proposte solitarie e pericolose di stati anche nucleari (Francia).
L’arma nucleare si riaffaccia come possibile soluzione del conflitto anche se rappresenta un difficile puzzle per i suoi stessi epigoni.
La forza pressoché illimitata della prima arma nucleare si è subito appalesata come la sua debolezza.
La bomba ha rappresentato un elemento permanente e costituente di crisi della politica.
Per questo motivo il tentativo degli strateghi è consistito nel rendere flessibile questo strumento per sua natura rigido.
Il tema della deterrenza strategica serve a coprire crisi di portata limitata e conflitti di natura convenzionale.
Questa operazione riesce con la realizzazione dei cosiddetti zainetti tattici nucleari.
Il lavorio di aggiustamento teorico e pratico degli strateghi tende a far accettare ipotesi di guerre nucleari “limitate” con la conseguenza che l’arma di distruzione di massa per eccellenza può essere declassata ad arma “difensiva”.
Nell’ambito della politica interna per qualsiasi Stato o comunità di Stati, l’arma nucleare rimane a costituire un fattore di crisi. Con la distruzione che comporta, l’arma nucleare evapora sia la concezione illuminista che quella realista del pensare e dell’agire politico.
Della concezione illuminista (la politica come progetto e come consenso) l’arma nucleare annichilisce insieme progetto e consenso.
Di fronte all’olocausto non hanno senso né l’antica socializzazione dei mezzi di produzione né il libero mercato anche globalizzato.
Ma l’arma nucleare mette in crisi anche la concezione “realista” della politica, fondata sulla dicotomia amico/nemico.
Strati crescenti di opinione pubblica dell’Europa occidentale non condividono le decisioni assunte perché non credono nella minaccia come viene loro presentata e perché hanno capito che il prezzo della guerra è già iscritto sul loro conto.
In questa parte del mondo la popolarità della Russia non è mai stata così bassa come in questi anni scanditi dall’aggressione all’Ucraina.
Di fronte ad un attacco di forze convenzionali russe la NATO risponderebbe inizialmente con truppe e armamenti convenzionali; ove questi non fossero sufficienti a contenere l’avanzata nemica, l’Alleanza ricorrerebbe all’impiego di armi nucleari. Ovviamente qual sia il confine che i russi non dovrebbero varcare non è compiutamente definito se stiamo alle ultime dichiarazioni di Macron e alle politiche di cessione di armi fin qui messe in campo dalla UE. Questi sono i temi che producono disagio se non contrarietà alle politiche di sicurezza dell’Unione Europea e delle fughe solitarie di qualche Stato membro nell’opinione pubblica anche moderata.
La NATO non ha mai sostituito la difesa nucleare con una difesa integralmente convenzionale perché il convenzionale costa di più sia in termini di uomini che di stanziamenti economici Ci sono due opzioni:
- chiamare la popolazione a sostenere in prima persona lo sforzo bellico attraverso la coscrizione obbligatoria e le tasse;
- gestire la difesa tenendone lontana le popolazioni e affidandosi a eserciti professionali.
I governi quando possono scelgono la seconda, e al posto di imporre tasse adeguate, aumentano il debito pubblico “per paura di indisporre la popolazione che con un aumento così pesante e immediato delle imposte sarebbe presto disgustata dalia guerra” (A. Smith).
Un conflitto nucleare anche limitato in Europa sarebbe un evento distruttivo nuovo non paragonabile a ogni altro avvenimento bellico.
Quest’affermazione deve essere il primo articolo per ogni ipotesi di disarmo avendo però presente che le società dovranno in qualche modo approntare sistemi di difesa richiesti e presenti anche in quella parte maggioritaria che rifiuta l’ipotesi nucleare. Secondo Galtung, recentemente scomparso, fin dai tempi dell’URSS e dell’equilibrio nucleare del terrore ad esempio, la sicurezza di un Paese o di un gruppo di Paesi è strettamente correlata sia alla sua credibilità di Paese non aggressivo sul piano internazionale, sia alla sua capacità di difendersi in caso di aggressione esterna.
La “Scala Galtung” sul grado di sicurezza usufruibile dalle nazioni europee, prevede questi indici:
- l’autonomia politico-strategica dalle superpotenze;
- il carattere non aggressivo della politica nazionale;
- l’invulnerabilità (indipendenza economica e commerciale da terzi, decentramento, omogeneità sociale e morale della popolazione);
- un’attiva politica di pace.
In una simile scala, la Svizzera si trova al primo posto, mentre l’Italia si colloca all’ultimo posto, insieme agli altri Paesi NATO che ospitano basi nucleari. L’Europa non ha una politica estera comune, men che meno una politica di difesa e quindi la sua sicurezza è completamente demandata alla NATO nella quale gioca il ruolo di contraente debole e spesso subalterno dell’organizzazione, figuriamoci quale grado nella “Scala Galtung” potrebbe ricoprire.
Siamo ancora una volta sul ciglio della guerra nucleare, mentre prosegue inarrestabile il processo di depauperamento delle risorse naturali che alcuni ancora oggi derubricano a questione di poca gravità- Bisogna riprendere in mano tutti i temi che abbiamo sempre declinato.
“Di solito l’umanità resta prigioniera di una certa cecità dovuta a pregiudizio tanto che cose evidenti non vengono esaminate neanche dalle menti più notevoli” (K. Marx).
Provare e riprovare ad invertire i punti di vista mentre l’umanità balla sull’orlo del precipizio è il compito di soggettività erranti che come moderni monaci si oppongono ai sacerdoti dell’eterno presente.
Alle prossime elezioni europee va rimesso al centro del dibattito politico e dell’opinione pubblica il tema della pace contro le guerre senza alcun compromesso: facciamolo.
Sergio Clementi Zampini