Lo sviluppo esponenziale delle tecnologie digitali, il loro diffondersi in modo pervasivo nelle filiere produttive, logistiche e commerciali, nei servizi finanziari ed infine nelle relazioni sociali ed interpersonali attraverso le cosiddette social networks ha prodotto un dibattito serrato sulle forme che stanno assumendo i rapporti sociali di produzione, sulla definizione di sistema capitalistico, in particolare sulle forma di estrazione di valore dai rapporti sociali, cosa oggi il capitalismo digitalizzato e finanziarizzato sia in grado di mettere a valore. Questa interrogazione porta ad analizzare il nesso tra la più atomizzata relazione sociale e la formazione sociale globale.
L’intermediazione digitale di ogni forma di scambio, comunicazione e relazione sociale ha prodotto forme nuove di creazione di profitto, di estrazione di valore da cui sono emerse alcune società globali, nel mondo capitalistico occidentale centrato sugli Stati Uniti le cosiddette GAFAM, che sono poi la centro di una galassia di altre società e di un continuo processo di innovazione di cui esse si appropriano con la propria potenza finanziaria, in un processo contemporaneamente di diffusione, complessificazione e centralizzazione. Lo stesso avviene nel sistema economico concorrente quello cinese nel quale tuttavia le forme nuove di potere sulla società che si vengono a creare hanno indotto la reazione del potere statuale che ne ha provveduto a limitarne la portata, invertendo il processo di centralizzazione del controllo, mentre trasforma il sistema della comunicazione digitale in una sorta di ‘grande fratello’.
È poi di questi giorni, di queste settimane l’esplodere dell’interesse verso i dispositivi di Intelligenza Artificiale (acronimo inglese A.I.) applicati alla elaborazione di espressioni ed interlocuzioni in linguaggio naturale, i cosiddetti Language Modules in particolare la chatbot ChatGPT, applicazione del sistema di A.I. GPT-3, mentre si attende la messa a punto del sistema GPT-4.
I dispositivi come Chat GPT sono anche definiti pappagalli stocastici, basandosi sulla analisi dei miliardi di testi e conversazioni che la rete mette a disposizione; l’efficacia dei dispositivi di A.I si basa quindi sulla potenza degli algoritmi e dell’infrastruttura di elaborazione, ma si nutre necessariamente per raggiungere un soddisfacente livello qualitativo di una mole crescente di dati, teoricamente l’intero universo conversazionale mediato dalla rete. Nella ricerca di informazioni sulla rete, di risposte ai più diversi quesiti dalla cucina vegana alla meccanica quantistica, all’astrologia si passa dal paradigma del motore di ricerca a creatore di testi e conversazioni; del resto anche il motore di ricerca per eccellenza Google sta assumendo un carattere conversazionale.
Sia i motori di ricerca come Google che i language models come ChatGPT si fondano sul libero accesso alle informazioni disponibili globalmente sulla rete, così come il modello di profitto dei social networks si fondano sulla disponibilità di miliardi di utenti a mettere a disposizione i propri profili, fatti di informazioni anagrafiche, fotografie, relazioni, conversazioni e commenti. Scendendo dal vertice dall’empireo dei soggetti capaci di attraversare globalmente la rete, i modelli di business a tutti i livelli incorporano la capacità di acquisire informazioni sul contesto in cui si opera, sui soggetti con cui si entra in relazione; capacità più o meno sviluppata di costruire e aggiornare un profilo dei soggetti coinvolti a vario titolo nella propria attività.
Nelle relazioni umane e sociali di qualunque tipo la conoscenza reciproca è un fattore costitutivo della relazione, delle sue modalità, dei suoi equilibri ed andamenti; si ripercorre il mondo della vita, la stratificazione delle sue forme, la sua evoluzione investigando il tipo di conoscenza che ogni forma di vita sviluppa sul proprio ambiente, sino ai gradi di consapevolezza di sé delle forme più evolute. L’essere umano è dotato di un linguaggio evoluto che struttura le sue forme di conoscenza e consapevolezza.
La digitalizzazione totale della produzione e condivisione della conoscenza, della mediazione linguistica, mette all’ordine del giorno un tipo di diritto al prodotto sociale della mediazione digitale che va oltre il controllo dei propri dati personali -a cui peraltro, più o meno consapevolmente, gran parte di noi rinuncia- ma si riferisce infatti al prodotto sociale, alla produzione sociale di valore da parte del dispositivo digitale globale; quello che in un articolo del Berggruen Institute definito ‘Data Dividend’1 -a cui faremo riferimento nel proseguo del discorso- elaborato dal California Data Dividend Working Group attivato dal governatore della California Gavin Newsom che nel suo discorso ‘State of the State’ del 2019 propose un “data dividend” per condividere la ricchezza che nasce dallo sfruttamento dei dati che le persone generano con le persone stesse; non si tratta in tutta evidenza di un collettivo post-operaista che lavora sul cognitariato.
Un altro testo che analizza il nostro rapporto con la mediazione digitale della vita sociale ed il suo prodotto e introduce il concetto di ‘Data leverage’ è ‘Data Leverage: A Framework for Empowering the Public in its Relationship with Technology Companies’2.
In questo secondo articolo si propone una analisi di tipo sociotecnico, non semplicemente tecnica delle tecnologie digitali3, cosa che ci può apparire ovvia, ma ovvia non è nel momento in cui le due facce dell’analisi si relazionano sempre più profondamente e si arricchiscono a vicenda, indirizzando la ricerca verso finalità sociali; nel contesto del ‘data leverage’ alcuni specificano la necessità di individuare anche linee di azione contro gli effetti negativi dei sistemi algoritmici.
Il gruppo di lavoro californiano considera i dati come ‘bene comune’ articolandone la realizzazione in base a quattro ‘principi’
- La California dovrebbe creare una Data Dividend Tax sulle società in base alla loro “dipendenza dai dati” – o alla misura in cui la loro attività dipende dall’aggregazione e dall’archiviazione dei dati degli utenti, regolandosi su norme già esistenti come la California Consumer Privacy Act (CCPA) ed implementandola analogamente alla California Corporate Income Tax.
- La Data Dividend Tax dovrebbe finanziare beni pubblici che sono ben noti per fornire estesi benefici a un folto gruppo di abitanti della California.
- Il Data Relations Board (DRB) dovrebbe essere istituito e finanziato. Il consiglio dovrebbe essere modellato sui consigli di stato esistenti e condurrà e rivedrà studi sull’economia basata sui dati.
Il Data Relations Board dovrebbe condurre ricerche finalizzate a realizzare trasformazioni significative. Nel nostro rapporto, suggeriamo che il consiglio di amministrazione dovrebbe esplorare una politica industriale dei dati che promuova la collaborazione tra governo e industria verso la costruzione di infrastrutture da cui tutti i californiani possano beneficiare.
Queste iniziative includono anche la promozione di imprese con finalità sociali e ad alta intensità di dati attraverso la gestione pubblica di set di dati socialmente importanti e la facilitazione alla formazione di entità sindacali per i soggetti fornitori di dati.
Si afferma che la Data Dividend Tax interpreta a livello pragmatico di aumentare le entrate il principio che “i nostri dati” siano un bene collettivo.
Non è un caso che questa iniziativa nasca in California lo stato della Silicon Valley, lo stato dove nascono e si sviluppa una parte importante delle tecnologie del digitale, che ha dato origine ad un vero e proprio ecosistema tecnologico.
“(…) i progressi nella cosiddetta “intelligenza artificiale” (IA), in particolare le scoperte nelle reti neurali nel 2013, hanno offerto il potenziale per altre forme di business. Il potenziale dell’IA ha creato un’ondata di nuove aziende e iniziative che tentano di applicare queste tecnologie ad aree disparate come le auto a guida autonoma e l’elaborazione dei controlli.”
Il documento presenta una sia pur stringata analisi dell’economia basata sul digitale individuandone i caratteri su cui si fonda la proposta della Data Dividend Tax.
“I dati producono un vasto effetto di rete, il che significa che per ogni punto dati aggiuntivo raccolto, viene creato un valore aggiuntivo per il set di dati complessivo. In altre parole, i dati hanno un tasso di rendimento marginale positivo. Ciò significa che le aziende che sfruttano i dati degli utenti tendono ad essere monopoli naturali i cui profitti provengono dal potere di mercato piuttosto che dal valore aggiunto. Inoltre, i dati vengono estratti dagli utenti in transazioni economiche in cui sono spesso controparti inconsapevoli. Per questo motivo, riteniamo che dovremmo intendere la generazione di dati come una sorta di ‘lavoro collettivo’.
In più passaggi del documento si sottolinea in vario modo il concetto espresso nell’ultima frase, più avanti infatti: “Ciò significa che i dati sono un bene prodotto socialmente con rendimenti naturali di scala. In pratica, i tuoi dati non sono preziosi come i dati raccolti da più individui. Probabilmente non esiste un mercato in cui potresti vendere “i tuoi dati” in modo isolato – il valore dei tuoi dati viene sbloccato solo quando viene combinato con i dati di altri, più o meno allo stesso modo in cui se stessi lavorando su una catena di montaggio producendo vestiti su scala industriale, la particolare cucitura della camicia che stai cucendo su ogni camicia non è preziosa / vendibile da sola – il mercato esiste solo per il prodotto finale , che aggrega la produzione di tutti i lavoratori sulla catena di montaggio. Possiamo pensare all’aggregazione dei dati come all’assemblaggio di un nuovo prodotto finale – una base pubblicitaria, un modello predittivo – in cui solo le operazioni su scala industriale hanno la capacità di produrre un prodotto per il quale esiste un mercato. Pertanto, le nostre interazioni con le piattaforme di dati dovrebbero essere pensate come un tipo di ‘lavoro collettivo’ che ha, nel bene e nel male, dislocato molti aspetti dei beni comuni sociali.”
Il gruppo di esperti del California Data Dividend Working Group (CDDWG) afferma come obiettivo di analisi “Sosteniamo di dover concettualizzare un “dividendo dei dati” come un insieme più ampio di interventi strutturali che offrono la possibilità di “fare un passo in avanti” in una trasformazione economica che è nella fase iniziale del suo sviluppo: una trasformazione che sfiderà la nostra comprensione dei concetti al centro di un’economia capitalista come i diritti di proprietà, compensazione del lavoro e beni pubblici”.
Il dato significativo è la consapevolezza, che traspare nei passaggi fondamentali dell’analisi, della ‘disruption’, della trasformazione radicale, quasi una singolarità che lo sviluppo esponenziale degli ecosistemi tecnologici, innervati dal digitale stanno provocando.
L’altro punto costantemente sottolineato nel documento è quello di combattere la crescita delle diseguaglianze come conseguenza inevitabile della concentrazione del controllo sul sistema digitale che nella sua pervasività nelle relazioni sociali rimescola la stratificazione, la composizione sociale e crea nuove gerarchie sociali.
A1.1 Riduzione della disuguaglianza di ricchezza
La motivazione principale dei dividendi dei dati, come affermato da Gavin Newsom, è che “i consumatori dovrebbero anche essere in grado di condividere la ricchezza creata dai loro dati. In altre parole, il valore economico creato dai dati oggi viene concentrato piuttosto che ampiamente condiviso.
A1.2 Affrontare le cause strutturali della disuguaglianza.
I dividendi dei dati dovrebbero considerare la relazione strutturale tra economie basate sui dati e disuguaglianza di ricchezza. Autor et al. sostengono che l’incapacità del lavoro di beneficiare dell’aumento della produttività è direttamente correlata alla monopolizzazione dei guadagni di produttività da parte delle imprese superstar in vari settori. (…)
Pertanto, qualsiasi intervento statale per costruire un’economia basata sui dati più equa deve lavorare per ridurre le cause strutturali della disuguaglianza rimodellando attivamente il processo di creazione di valore nell’economia dei dati.
A1.3 Onere equo
Più in generale, i dividendi dei dati dovrebbero cercare di imporre un onere relativo a quanto un’azienda è dipendente dalla raccolta e dallo sfruttamento dei dati per la generazione di ricavi.
A1.4 Evitare la complessità.
Il dividendo dei dati dovrebbe essere concepito in modo da ottenere una riduzione delle cause strutturali della disuguaglianza attraverso il minimo mezzi complicati possibili.
A1.6 Accesso equo alle funzionalità di IA
Affinché tutti i californiani condividano pienamente le vincite dei loro dati, dovrebbero anche essere in grado di condividere i benefici non monetari che i progressi nella scienza dei dati potrebbero portare.
Il progetto è locale, riguarda lo stato della California, contemporaneamente ha una dimensione globale poiché affronta una concentrazione di potere tecnologico, economico e finanziario di caratura globale e affronta contraddizioni proprie dell’economia mondo, della formazione sociale globale, che non costituiscono certo una novità assoluta, ma vengono affrontate forse per la prima volta in modo così diretto e articolato sul piano normativo, politico e amministrativo.
Il riferimento alla nozione di beni comuni’ che sta alla base del documento ne qualifica l’orizzonte strategico, che fa esplicitamente riferimento a Elinor Ostrom4. La sua portata innovativa lo distingue dai tentativi di tassare e redistribuire i superprofitti dei giganti della rete e del digitale, ma investiga invece la modalità di produzione dei dati, dell’informazione nel sistema digitale connesso globalmente e quindi la nozione di ‘lavoro digitale’, il profilo dei produttori di dati.
La capacità di radicare il progetto in termini di inchiesta sul campo e di realizzazione delle strutture istituzionali e normative, ma anche nei processi di cooperazione sociale -indicati chiaramente come condizione necessaria alla sua realizzazione- assieme ai conflitti che necessariamente si attiveranno, tutto ciò potrà innovare il dibattito che sui caratteri del capitalismo digitale, sulla natura estrattiva dello specifico processo di messa a valore.
Il Progetto californiano si lega nella sua elaborazione al secondo documento citato il cui orizzonte è ben definito nell’abstract e nell’introduzione.
Vengono premesse due definizioni dei termini ‘data leverage’ e ‘data lever’ che mettiamo in nota, senza tradurli5.
“Molte potenti tecnologie informatiche si basano su impliciti ed espliciti contributi di dati da parte del pubblico. Questa dipendenza suggerisce una potenziale fonte di potere per il pubblico nel suo rapporto con aziende tecnologiche: riducendo, fermando, reindirizzando o in altro modo manipolando i contributi di dati, il pubblico può ridurre l’efficacia di molte tecnologie nel garantire notevoli margini di profitto. In questo articolo, sintetizziamo la ricerca emergente che cerca di comprendere e aiutare meglio le persone agiscono nei confronti del potere dei dati. Attingendo a lavori precedenti in settori tra cui apprendimento automatico, interazione uomo-computer ed equità e responsabilità nell’informatica, presentiamo un quadro per comprendere la leva dei dati che evidenzia nuove opportunità per cambiare la tecnologia comportamento aziendale relativo alla privacy, economico disuguaglianza, moderazione dei contenuti e altre aree di interesse sociale. (…) Più in generale, le tecnologie redditizie utilizzate da molte aziende si basano su dati generati da grandi gruppi di persone per soddisfare le esigenze critiche dei clienti e guidare il processo decisionale.”
“La dipendenza di potenti tecnologie (e quindi di potenti aziende) sul ‘lavoro sui dati’ da parte del pubblico in generale presenta un’enorme opportunità per il pubblico di acquisire più potere nel suo rapporto con le aziende tecnologiche. Le persone svolgono lavoro sui dati quando si impegnano nella moltitudine di interazioni con la tecnologia che generano dati per le aziende (ad esempio mi piace, clic, valutazione, pubblicazione).”
Un capitolo si intitola esplicitamente ‘Data labor’ ed afferma che “Il ‘data leverage’ è fortemente strutturato dalla visione dei dati generato da persone che usano sistemi informatici come un tipo di lavoro. Una serie di autori citati nell’articolo deducono che l’uso dei dati dovrebbe essere definito come un tipo di attività lavorativa, non semplicemente come uno ‘scarico’ emesso nel processo di utilizzo della tecnologia e come tale dovrebbe essere in un qualche modo remunerato.”
Il data leverage è più specificamente articolata nel lavoro Kulynych et al. che ha proposto le “Protective Optimization Technologies” (POTs) come un modo per affrontare gli impatti negativi dei sistemi algoritmici e dare libero arbitrio alle persone colpite. Le POT consentono alle persone di contestare o sovvertire le tecnologie di ottimizzazione, magari adottando tecniche dall’avvelenamento dei dati.
Viene analizzata la strategia del non uso di alcune tecnologie come un intervento sul sui rapporti di forza che si stabiliscono con padroni del digitale, un rifiuto che si presenta sotto varie vesti tra cui “Un’importante lente correlata è quella del “rifiuto”. Concentrandosi sulla bioetica, Benjamin sostiene che l’ampio sostegno al “rifiuto informato “fornisce un mezzo per sviluppare un paradigma orientato alla giustizia di Scienza e tecnologia [18]. In pratica, le persone che si impegnano in il rifiuto informato è impegnato in una forma politica di non uso, e quindi leva dei dati. Basandosi sul lavoro di Benjamin, Cifor et al. E Garcia et al. descrivono come la nozione di “rifiuto critico” elaborato dagli studi femministi possa essere utilizzato migliorare le pratiche intorno ai dati”.
Un terreno preso in esame delle tattiche delle cosiddette POT è l’intervento sulle basi dati che alimentano l’I.A, il machine learning di cui si discute l’efficacia, ma che evidentemente costituiscono una prassi significativa.
Le pratiche esaminate sono i ‘data strike’ ossia la cancella zione di dati praticate ad esempio nei confronti di Facebook o di Uber ed il ‘data poisoning’, l’avvelenamento delle basi dati ossia fornire a tecnologie dipendenti dai dati, informazioni errate o addirittura nocive.
Una alternativa è il “Conscious data contribution” (CDC) considerata una alternativa promettente al data leverage basato sul danneggiare. In CDC, invece di eliminare, trattenendo o avvelenando i dati, le persone forniscono i propri dati a un’organizzazione di cui di fatto supportano il livello di concorrenza sul mercato, come base per modificare i rapporti di forza. Le persone che usano CDC per il ‘data leverage’ sono simili alle persone impegnate nel “consumo critico”, ma invece di votare con il portafoglio, votano con i loro dati.
Il fattore critico per tutte le strategie adottate è il livello di partecipazione, benché la CDC sia più facilmente praticabile, ha una più bassa soglia di ingresso poiché non è richiesto il non uso in assoluto delle tecnologie, ma anche nel suo caso sono diversi i fattori critici rispetto alla capacità di influenzare correttamente gli indirizzi delle società prese di mira e gli effetti non voluti ed imprevisti sule dinamiche di mercato.
Per valutare i metodi adottati (data lever), le forme di lotta potremmo dire, vengono utilizzati tre assi per valutare i punti di forza e di debolezza i ogni ‘data lever’: la barriera all’ingresso per utilizzare una leva dati, come le considerazioni etiche e legali potrebbero complicare l’uso di una leva dei dati e, infine, il potenziale impatto di ciascuna leva dati.
La tabella 2 contiene un breve riassunto delle nostre valutazioni
Nella discussione finale sulle forme di ‘data leverage’ è fondamentale l’osservazione secondo cui l’accesso alla diverse modalità è fortemente influenzato dal livello di accesso all’uso delle tecnologie, dei dispositivi digitali e quindi ‘è il rischio di perpetuare se non di accrescere queste disparità.
Importante infine è il riconoscimento istituzionale di queste forme di lotta; su questo obiettivo si ritorna al rapporto di forza complessivo, per ora chiaramente favorevole ai giganti del digitale, nonostante i tentativi di regolarne i comportamenti, gli spazi di azione, i livelli di concentrazione e di profitto.
I due documenti presi in esame mostrano come lo stato delle cose per quanto riguarda il ruolo del digitale complessivamente e minutamente nei rapporti sociali di produzione, nei rapporti di potere, nella struttura sociale, sia non solo un terreno di analisi, ma anche di conflitto e intervento politico a vari livelli ed in varie forme. E si prospetta la possibilità che tale conflitto non sia l’ennesima fatica di Sisifo dei dominati nel loro perenne tentativo di dare l’assalto alle forme ed ai luoghi del dominio.
L’analisi critica, le forme di conflitto le piattaforme politiche e rivendicative sul terreno del digitale, attraversano, possono attraversare tutta la composizione, i terreni e le forme del conflitto sociale.
Sono a pieno diritto all’interno dei conflitti e delle piattaforme rivendicative, su reddito -diretto e indiretto- salario e organizzazione del lavoro, di cui altrove in questo numero della rivista si discute.
Il lavoro teorico che cerca di innovare le categorie dell’analisi di fronte al procedere del processo di innovazione e trasformazione del rapporto di capitale, può trovare, calandosi nelle forme di conflitto e di resistenza, nelle forme di produzione culturale, condivisione delle conoscenze e cooperazione sociale variamente solidale, autodeterminata e antagonista, alimento per superare contrapposizioni sclerotizzate incapaci di costruire strumenti efficaci di emancipazione e di organizzazione.
Roberto Rosso
- A Data Dividend that Works: Steps Toward Building an Equitable Data Economy – https://www.berggruen.org/ideas/articles/a-data-dividend-that-works-steps-toward-building-an-equitable-data-economy/.[↩]
- https://arxiv.org/abs/2012.09995.[↩]
- “Data leverage emerges in part from work in the broader FAccT community that has demonstrated the limitations of purely technical approaches to advancing fairness and justice in computing systems. This large literature emphasizes the critical roles played by the societal context around computing systems, and has demonstrated that sociotechnical approaches are often much more powerful than purely technical approaches. Data leverage can in many ways be understood as a framework that helps us better understand data-driven technologies through a sociotechnical lens and use that lens to take action to achieve pro-social outcomes. Data leverage is more specifically informed by Kulynych et al.’s work that proposed “Protective Optimization Technologies” – POTs as a way to address the negative impacts of algorithmic systems and give agency to those impacted”. FAcct – Fairness, Accountability, and Transparency[↩]
- Elinor Ostrom, Governing the Commons: The Evolution of Institutions for Collective Action, (Cambridge: Cambridge University Press, 1990) Governare i beni collettivi. Istituzioni pubbliche e iniziative delle comunità Ed. Marsilio[↩]
- Data leverage: The power derived from computing technologies’ dependence on human-generated data. Data leverage is exerted when a group influences an organization by threatening to engage in or directly engaging in data-related actions that harm that organization’s technologies or help its competitors’ technologies.
Data levers: The specific types of actions that individuals or groups engage in to exert data leverage. For instance, “data strikes” are one of the data levers we discuss below and they operate by cutting off the flow of data to tech companies.[↩]