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Considerazioni sulla vittoria del Labour Party e sulle prospettive del Regno Unito

di Alessandro
Scassellati

La maggior parte dei media mainstream britannici ha definito «landslide» (valanga) la schiacciante vittoria del Partito laburista alle elezioni politiche anticipate del 4 luglio scorso, nonostante il calo dei voti laburisti. Questa vittoria, infatti, sembra sia stata determinata più dal sistema maggioritario e collasso elettorale dei Conservatori (a favore del partito di estrema destra Reform UK) che dalla conquista di consenso di un Labour Party tornato su posizioni moderate. Nonostante le aspettative dei cittadini siano alte, e i problemi strutturali del paese numerosi – un’economia in coma, uno Stato al collasso e un elettorato cinico ed esausto –, il nuovo primo ministro Keir Starmer vuole provare a risolverli con risorse limitate. Un compito assai arduo, se non impossibile (si veda anche il nostro articolo della scorsa settimana qui).
Dal punto di vista statistico e storico, il risultato è inconfutabile: un vero e proprio terremoto politico. Conquistando 412 seggi sui 650 a disposizione (il 63%), il Labour rinverdisce i risultati del 1997, quando sotto la guida di Tony Blair ottenne 418 seggi (su 659), e del 2001, quando ne ottenne 413. Soprattutto, i Conservatori, coi loro 121 seggi (-252), hanno ottenuto di gran lunga il risultato peggiore dai tempi di Robert Peel, quando nel 1834 il partito assunse il nome e la forma attuali.
Anche gli altri partiti politici sono stati interessati dal terremoto: i liberal-democratici hanno fatto un balzo dagli 8 seggi del 2019 ai 72 di ora pur con solo 3,5 milioni di voti, il 12,2%1; sul fronte nazionalista, c’è stato un crollo dello Scottish National Party (SNP) dilaniato dagli scandali, che ha perso ben 38 seggi, il Plaid Cymru gallese ha raddoppiato (da 2 a 4 seggi), mentre gli unionisti nordirlandesi del DUP hanno perso 3 seggi e lo Sinn Féin rimane stabile con 7 seggi (ma i repubblicani si rifiutano di sedere sui banchi della Camera); buona affermazione della destra nazionalista inglese, populista e razzista di Reform UK che è avanzata ma non ha sfondato (5 seggi con il 14% dei voti), dei Verdi (4 seggi e quasi 2 milioni di voti) e delle candidature indipendenti (7 seggi, mai così tanti).
Bisogna però tenere conto che i dati sull’affluenza (59,9%) sono i secondi peggiori dal 1885 (e in 59 circoscrizioni, circa 1/7 del totale, sono andati a votare meno del 50% degli aventi diritto, segno di una disaffezione evidente): solo nel 2011 andò peggio, col 59% degli aventi diritto recatisi ai seggi. Un trend più o meno in linea con la situazione continentale, che non depone a favore dello stato di fiducia popolare nelle democrazie europee2 Inoltre, bisogna tenere conto del sistema elettorale maggioritario uninominale («first past the post») che determina una forte sproporzione fra seggi conquistati e voti effettivi ottenuti: il Labour  ottiene un risultato vicinissimo a quello del 1997, ma con circa 4 milioni di voti in meno (9.725.117, con il 33,7% dei voti, contro 13.518.167, con il 43,2% dei voti) e addirittura 3 milioni in meno di quelle del 2017 (12.874.985, con circa il 40% dei voti) e oltre mezzo milione in meno del 2019 (10.269051, con il 32% dei voti), quando il partito era guidato da Jeremy Corbyn (ora eletto nel suo collegio come indipendente) e dovette accusare una pesante sconfitta in termini di seggi. Reform UK (ex-UKIP, che ebbe un risultato senza precedenti alle Europee del 2014, ed ex-Brexit Party), il partito di estrema destra razzista guidato da Nigel Farage, ha ottenuto 4 milioni di voti, diventando il terzo partito nel Paese, ma ha vinto solo 5 seggi.
Come ha notato l’Economist: “Invece di ispirare le masse, Sir Keir ha guidato una macchina vincente spaventosamente efficiente [amplificata da un sistema elettorale ingiusto]: ha ottenuto 42 seggi in Parlamento per ogni milione di voti espressi, più di qualsiasi altro grande partito del secolo scorso. Di conseguenza, alcuni sostengono che si sia trattato di una vittoria superficiale, addirittura vana”. Un commentatore ha definito la vittoria di Starmer “una valanga senza amore”, senza troppo entusiasmo. La vittoria di Starmer sembrava certa da mesi, ma il suo indice di approvazione personale non è mai andato oltre il tiepido; è improbabile che migliori in carica. In queste elezioni bastava essere l’altro, ha notato James Butler. Jonathan Freedland sostiene che “ha vinto i voti, ora Starmer deve solo conquistare la gente”. Interessante anche il commento dell’economista Anatole Kaletsky: “’Tutto deve cambiare affinché tutto possa rimanere uguale’. Questo famoso aforisma tratto dal romanzo Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa su come sopravvivere alle rivoluzioni, è una descrizione perfetta di quello che è successo ieri sera nel Regno Unito”. Questo perché la leadership laburista, in netto contrasto con lo slogan elettorale del partito “Change”, cambiamento), mantiene posizioni indistinguibili da quelle dei conservatori sconfitti su quattro questioni politiche chiave: spesa pubblica e indebitamento; il ripristino delle relazioni con l’Unione Europea; il conflitto con Cina e Russia; e la riforma del sistema di voto (difesa del maggioritario rispetto al proporzionale). Anche in politica estera il Labour garantisce la continuità con i Conservatori. Starmer partecipa al primo vertice della NATO mantenendo il continuo sostegno militare e finanziario all’Ucraina3. Ha sottolineato il suo impegno per la sicurezza nazionale (affermando che sarebbe pronto a utilizzare le armi nucleari Trident del Regno Unito, se necessario) e anche il legame storico del Regno Unito e del partito con la NATO.
Quello che è certo è che dopo 14 anni al potere, i Conservatori hanno perso, lasciando un Paese coi redditi reali più bassi degli ultimi 200 anni, enormi differenziali sociali e regionali4, una gravissima crisi abitativa, la crisi finanziaria del sistema universitario pubblico, l’inquinamento ambientale5 e servizi pubblici al collasso, a cominciare dall’NHS, il Servizio Sanitario Nazionale, per decenni il fiore all’occhiello del Paese e il simbolo del welfare state britannico6. Politiche di austerità (con mancati investimenti e netti tagli sia al pubblico impiego sia al welfare state), di aumento della tassazione, di privatizzazioni hanno creato diseguaglianze crescenti e di fronte alle proteste sociali montanti, il peggior gruppo dirigente conservatore della storia7 ha cavalcato la Brexit (sostenendo falsamente che avrebbe liberato risorse finanziarie da investire nell’NHS8) e implementato una legislazione autoritaria e razzista, fatta di leggi anti-sciopero e anti-movimenti e culminata nel crudele provvedimento che prevedeva la deportazione in Ruanda dei migranti rifugiati nel Paese. Un piano che Starmer ha subito dichiaratomorto e sepolto”.
La sconfitta dei Tory (meno 20% dei voti del 2019, dal 43,6% al 23,7%), dato il sistema elettorale, è stata in buona parte causata dalla concorrenza interna del Reform UK che, approfittando della situazione critica creata dai conservatori, ha avuto delle percentuali mai viste prima e ha diviso. Secondo il sondaggista della BBC John Curtice, i conservatori avrebbero mantenuto due terzi dei seggi persi a favore dei laburisti se i loro sostenitori non avessero disertato a favore di Reform UK. Secondo le rilevazioni di YouGov, il voto per i laburisti è stato trainato più dalla disaffezione (e mancanza di fiducia) nei confronti dei Tory che dalla vaga e non ambiziosa campagna di Starmer in cui ha solo promesso “stabilità e moderazione9. Un ex primo ministro (Liz Truss), nove ministri (compresi i segretari della Difesa, dell’Istruzione e della Giustizia) e altre importanti figure conservatrici sono stati espulsi senza tante cerimonie dalla Camera dei Comuni dai loro elettori. Come ha notato Foreign Affairs, “si è trattato di un’ondata di rabbia che ha travolto non solo il primo ministro uscente Rishi Sunak, ma anche gli ultimi 14 anni di governo Tory, e si è abbattuta con un ruggito assordante”.
È anche certo che il Labour Party ha vinto le elezioni e che già il giorno dopo Starmer ha insediato il suo governo10, parlando di “luce del sole della speranza”. Il partito è tornato a vincere in diversi seggi del cosiddetto red wall, cioè le regioni dell’Inghilterra settentrionale e centrale a vocazione operaia che negli ultimi anni si erano spostate a destra, grazie soprattutto al convinto sostegno dei Conservatori per la Brexit. Ha anche beneficiato del crollo dell’SNP in Scozia e vinto 27 dei 32 seggi in Galles.
La parola d’ordine della campagna elettorale e del nuovo esecutivo è «Change Britain», con l’intenzione di voler dichiarare una forte discontinuità con la gestione politica del Paese da parte dei Conservatori negli ultimi 14 anni. Dietro questo slogan si cela però un Labour diviso fra la maggioranza blairista e la sinistra socialista11 – nonostante la defenestrazione di Corbyn e le espulsioni di altri parlamentari ed attivisti – e incalzato dai movimenti12. Il manifesto di Starmer, sia nel linguaggio sia nei valori non è in linea con la tradizione laburista, ma la sua piattaforma è più vicina a quella del leader conservatore Ted Heath nel 197413. Il manifesto elettorale del Labour cita solo una vota la questione della disuguaglianza, menziona la povertà solo 14 volte in 130 pagine circa14, mentre il termine “business”, ottiene circa 60 menzioni15. Rilanciare la crescita, aumentando la produttività16, è la parola d’ordine del nuovo premier, che manterrà gli sgravi dei Tories alle imprese che investono. Non a caso il nuovo governo Starmer è stato accolto con favore dalle grandi imprese. L’Economist, il Financial Times e la stampa di Rupert Murdoch hanno sostenuto il Labour in queste elezioni.
Lo scontro all’interno e all’esterno al Labour è destinato a durare e probabilmente ad acuirsi nei prossimi mesi, se Starmer deciderà di non moderare il suo oltranzismo centrista (anche se ha continuato a parlare ambiguamente di creare “un’economia che funzioni per i lavoratori”), correndo il rischio di diventare il prossimo Olaf Scholz o Emmanuel Macron. La crescita di Reform non fa dormire sonni tranquilli17. È molto probabile che i lavoratori del settore pubblico (ad esempio, i medici junior e gli infermieri) scioperino contro il nuovo governo e che molti altri facciano campagna contro i limiti (riforme incrementali anziché radicali) del programma laburista. La felicità per aver visto alcuni dei politici più odiosi del Paese essere umiliati e perdere il loro seggio, come l’ultra liberista Liz Truss, l’integralista antisindacale Grant Shapps o Jacob Rees-Mogg, lascerà spazio alla soddisfazione o alla frustrazione delle legittime aspettative di reale cambiamento tenute da chi più è stato colpito dalle politiche Tory di questi 14 anni. A differenza di altri Paesi, fra cui l’Italia, nel Regno Unito l’identità di classe è ancora viva: appartenere alla working class, alla middle class o alla upper class fa ancora la differenza nel discorso pubblico e culturale, nei costumi sociali e di comunità, finanche nel registro linguistico. La partita è quindi appena iniziata dal momento che il paese vive ancora una situazione profondamente precaria di grave crisi sociale. In termini reali, i salari sono praticamente fermi ai livelli di prima della crisi economica del 200818.
Bisognerà capire se il Labour Party sarà capace di portare davvero la stabilità che promette, ma allo stesso tempo sanare le profonde divisioni e risolvere le condizioni di disagio in cui vivono famiglie, giovani, anziani. Solo in questo modo, oltre a rimettere in moto il motore della crescita del Regno Unito, si potrà dare risposte anche a quegli oltre 4 milioni di elettori che hanno votato per Reform UK (nel suo discorso di accettazione dopo essere stato eletto deputato, Farage ha detto: “Stiamo venendo per il Labour, su questo non abbiate dubbi”) e a quei circa 3 milioni che hanno votato a sinistra del Labour, sia per il programma dei Verdi più radicale di quello del Labour, sia per gli indipendenti di sinistra o per i candidati che sfidano il Labour sulla Palestina.
Stasera festeggeremo. Domani ci organizzeremo“, ha detto Corbyn quando ha saputo di aver vinto il suo seggio da indipendente (con poco più del 49%). “L’energia che abbiamo liberato non andrà sprecata. Siamo un movimento composto da persone di ogni età, provenienza e fede. Un movimento che può vincere con e per le persone in tutto il Paese“. L’era dell’affiliazione partitica automatica, tramandata di generazione in generazione e indossata come distintivo di un’incrollabile identità culturale, è finita. Dato il successo di molti candidati indipendenti di sinistra e l’epurazione dei militanti di sinistra dal Partito Laburista, in molti si domandano se la sinistra potrà imparare qualcosa da tutto ciò, creando un nuovo partito in tempo per le prossime elezioni.

Alessandro Scassellati

  1. Il leader LibDem Ed Davey ha puntato su una campagna elettorale non convenzionale per avere una maggior copertura mediatica. Il volume dei guadagni dei liberaldemocratici in alcune ex roccaforti conservatrici è in parte un sostegno al partito di Ed Davey, ma gli elettori indecisi in quelle circoscrizioni elettorali sapevano che sfrattare i conservatori locali avrebbe aiutato a spingere il Labour a Downing Street. Ed hanno colto questa possibilità di votare tatticamente.[]
  2. Durante le elezioni locali dello scorso anno, il governo britannico ha introdotto l’obbligatorietà di mostrare un documento d’identità con foto in un seggio elettorale. Secondo un rapporto pubblicato dalla Commissione elettorale era già emerso che le nuove regole hanno avuto un impatto negativo sulla partecipazione, con un numero sproporzionato di persone che vengono allontanate dai seggi elettorali nelle aree più svantaggiate rispetto ai luoghi di residenza dei ricchi. I giovani, quelli appartenenti a minoranze etniche, i disoccupati e le persone con disabilità significative (generalmente settori che votano a sinistra) erano tutti più propensi rispetto all’elettore medio a citare la mancanza di documenti d’identità come motivo per non aver votato. Un sondaggio post elezioni stima che 400 mila persone non hanno votato a seguito della regola del documento di identità.[]
  3. Per sottolineare il punto, John Healey, il nuovo segretario alla Difesa del Labour, ha annunciato un nuovo pacchetto di aiuti militari, consistente in munizioni di grosso calibro, artiglieria AS 90 e missili d’attacco al suolo Brimstone, durante una visita improvvisa al porto meridionale di Odessa, in Ucraina, nel suo secondo giorno lavorativo.[]
  4. Si è enormemente ampliato il divario tra l’Inghilterra meridionale e il resto del Regno Unito. Nel 2019, il PIL pro capite a Londra era di 73.000 dollari, quasi il 90% in più rispetto a quello della Scozia e dell’Inghilterra orientale, dove era di soli 38.000 dollari. Nel 2022, la Commissione sul futuro del Regno Unito, un organismo indipendente presieduto dall’ex primo ministro laburista Gordon Brown, ha scoperto che sulla semplice misura del PIL pro capite, “metà della popolazione britannica” – più di 30 milioni di persone – “vive in aree non più ricche del parti più povere dell’ex Germania dell’Est, più povere di parti dell’Europa centrale e orientale, e più povere degli Stati americani del Mississippi e del West Virginia”. Le parti del paese con il minor potere politico – grosso modo, la regione settentrionale dell’Inghilterra, della Scozia, del Galles e dell’Irlanda del Nord – sono anche quelle più povere. Sentimenti di risentimento nazionale e regionale sono stati incanalati in diverse forme di separatismo – movimenti indipendentisti nelle cosiddette frange celtiche; “indipendenza” dall’UE in Inghilterra – ma hanno radici comuni nelle realtà delle abissali disuguaglianze geografiche del paese. Anche Boris Johnson lo aveva riconosciuto. La sua politica interna distintiva nel 2019 era stata quella del “livellamento verso l’alto”, ovvero portare tutte le regioni agli standard delle ricche aree del sud. Ma né lui né i suoi successori sono riusciti a fare molto per raggiungere quell’obiettivo. A marzo, un rapporto del Comitato parlamentare per i conti pubblici, composto da tutti i partiti, ha rilevato che solo il 10% dei finanziamenti per l’“agenda di livellamento” era stato speso e che i ministri conservatori non erano in grado di fornire “nessun esempio convincente” di ciò che i finanziamenti avevano realizzato. Un effetto dell’iper centralizzazione dello Stato unitario e del governo britannico di Londra. Nel quinto giorno in carica, Keir Starmer (dopo aver passato una giornata in tournée, incontrando i leader nazionali in Scozia, Galles e Irlanda del Nord) e la sua vice Angela Rayner hanno incontrato i sindaci regionali dell’Inghilterra con l’intenzione di dare il via a una nuova era di devolution, una nuova ondata di accordi che potrebbero vedere le autorità locali farsi carico di tutto, dai trasporti pubblici alle infrastrutture fino al finanziamento delle competenze. Hanno annunciato anche la redazione di un nuovo disegno di legge in proposito da includere nel discorso del re.[]
  5. Un senso di declino scorre attraverso e attorno al territorio sotto forma di fiumi e coste inquinate dalle acque reflue. A marzo, uno dei grandi rituali pubblici inglesi – l’annuale regata Oxford-Cambridge sul fiume Tamigi – è stato per la prima volta preceduto da avvertimenti ai vogatori che, a causa della concentrazione di batteri E. coli nell’acqua, dovevano coprire tagli e ferite con medicazioni impermeabili e fare attenzione a non ingoiare eventuali schizzi di quello che veniva chiamato il “Dolce Tamigi“. La British Environment Agency ha scoperto che nel 2023, le società che gestiscono l’approvvigionamento idrico nazionale – il servizio idrico è stato privatizzato dal governo conservatore del primo ministro Margaret Thatcher alla fine degli anni ’80 – hanno riversato nei fiumi e nei mari del paese più effluenti umani grezzi e non trattati che in qualsiasi altro anno precedente registrato.[]
  6. Proprio lo stato dell’NHS è stato uno dei temi più discussi nel corso della campagna elettorale: per le liste di attesa, così come per il calo della soddisfazione per il servizio. Il servizio sanitario, l’istruzione, i servizi locali, i servizi pubblici, le carceri (che sono iper affollate), i trasporti e molto altro sono stati privati di fondi vitali o saccheggiati per guadagni privati.[]
  7. Un gruppo che nel corso degli anni ha deteriorato il tenore di vita della popolazione, gettato il paese nel caos e generato imbarazzo per gli standard morali. Che ha sottovalutato le conseguenze della Brexit (Theresa May), che ha gestito in maniera catastrofica la pandemia, tergiversando per settimane ribadendo la strategia dell’immunità di gregge e creando lo scandalo «partygate» (Boris Johnson), che ha cercato di imporre un “mini budget” (che tagliava di 5 punti percentuali l’aliquota marginale più alta, creando un buco di 45 miliardi di sterline), determinando una “tempesta perfetta” finanziaria (Liz Truss) che ha richiesto l’intervento diretto della Banca d’Inghilterra e ha portato milioni di persone a subire massicci aumenti dei mutui, e che infine ha deciso di indire le elezioni anticipate all’insaputa di molti funzionari del partito (ma non di tutti, visto che una decina di stretti collaboratori del primo ministro Rishi Sunak sono indagati e uno anche arrestato per aver scommesso sulla data delle elezioni prima che venisse ufficialmente annunciata).[]
  8. Nel 2019, Boris Johnson aveva insistito sul fatto che gli anni della “gestione declino” erano finiti e aveva salutato “l’inizio di una nuova età dell’oro”. La rottura con Bruxelles avrebbe riportato la “Gran Bretagna globale” al suo posto naturale al vertice della prosperità e del successo. Ma i risultati della Brexit si sono dimostrati tutt’altro che proficui. A giugno, in un rapporto intitolato “Life in the Slow Lane”, la apartitica Risolution Foundation ha rilevato che “dal 2019, la performance relativa della Gran Bretagna nelle esportazioni di beni è crollata”, rilevando che è cresciuta solo dell’1,1% annuo, solo un quinto della media per i membri dell’OCSE. Le ragioni di questo tipo di collasso non sono misteriose: la scelta di abbandonare il mercato unico più grande del mondo ha avuto delle conseguenze. Come il rapporto riassume, se il Regno Unito avesse preservato la sua quota di mercato pre-Brexit, le sue esportazioni sarebbero cresciute di 64 miliardi di dollari invece di ridursi di 4 miliardi di dollari tra il 2019 e il 2022. Carenza di manodopera, di materie prime, di semilavorati e componenti e di beni di prima necessità. Anche le istituzioni finanziarie, su cui aveva fatto affidamento il Regno Unito dopo la de-industrializzazione voluta da Thatcher, si sono in parte spostate verso l’Europa continentale. Quando poi alla crisi pandemica è sopraggiunta l’inflazione e le conseguenze dell’invasione russa dell’Ucraina (i prezzi dell’energia sono saliti alle stelle e c’è stata la peggiore crisi del costo della vita degli ultimi decenni), la situazione è precipitata. L’economia britannica è sempre più tenuta a galla dall’esportazione di servizi finanziari, legali, tecnici e pubblicitari, in gran parte guidata dalle aziende statunitensi che esternalizzano questo tipo di lavoro ad aziende britanniche, e in particolare da società di private equity. Ciò è molto positivo per banchieri, avvocati, dirigenti pubblicitari e consulenti aziendali, ma molto meno per agricoltori, operai manifatturieri e consumatori comuni. Il Regno Unito è bloccato in un circolo vizioso. L’economia non cresce, quindi il paese è affamato del denaro di cui ha bisogno per essere ricostruito. Le sue istituzioni si degradano. Il denaro stanziato per gli investimenti viene utilizzato per coprire i costi giornalieri (scuole e ospedali hanno entrambi arretrati per riparazioni pari a 12 miliardi di sterline). Il mancato investimento significa ancora una volta l’incapacità di crescere e il ciclo peggiora e si ripete. Gli shock esterni mettono in luce la debolezza del paese: la ripresa dalla crisi finanziaria, dalla pandemia e dal picco energetico è stata più prolungata e meno completa rispetto ad altre economie avanzate.[]
  9. Gli impegni più importanti del programma di Starmer non hanno certo creato grandi aspettative: includono la decarbonizzazione della rete elettrica entro il 2030, la costruzione di 1,5 milioni di case in cinque anni, il raggiungimento degli obiettivi di attesa dei servizi sanitari da tempo mancati entro il 2029 e l’assunzione di 6.500 insegnanti, 5.000 agenti fiscali, 3.000 agenti di polizia altamente qualificati e 8.500 operatori per la salute mentale.[]
  10. Nel nominare il suo gabinetto, Starmer ha quasi senza eccezione inserito i ministri ombra nei loro compiti di governo, un segno del suo impegno per la competenza e la stabilità piuttosto che per grandi incarichi come favori per gli alleati. Più di otto membri su dieci del suo gabinetto hanno frequentato scuole comprensive, rispetto ai due terzi circa che hanno frequentato scuole private nei gabinetti conservatori negli ultimi anni. Contiene anche il maggior numero di ministri donne della storia, inclusa la prima cancelliera donna in assoluto, Rachel Reeves. La Gran Bretagna ora ha un ministro dell’istruzione che aveva diritto ai pasti scolastici gratuiti e un ministro dell’edilizia abitativa cresciuto nell’edilizia sociale.[]
  11. La sinistra socialista è divisa in diverse organizzazioni: Grassroots Alliance, Momentum e il Socialist Campaign Group, con migliaia di attivisti all’interno e all’esterno del Labour che forniscono la base di una rete o di un movimento più strutturato di attivisti ecosocialisti e climatici. C’è una pattuglia molto agguerrita di deputate socialiste (alcune legate alle componenti più radicalmente di sinistra come Momentum) che, nonostante i tentativi di estromissione dalla tornata elettorale, sono state candidate a forza, soprattutto grazie all’intervento dei sindacati, e hanno vinto: Diane Abbott ad Hackney North, Zarah Sultana a Coventry, Apsana Begum a Poplar, Bell Ribeiro-Addy a Brixton, etc.. Infine, Jeremy Corbyn è stato rieletto da indipendente nel distretto londinese di Islington North, dopo che gli era stato impedito di candidarsi coi laburisti.[]
  12. Lo scontro politico interno al Partito laburista non è cosa nuova, anzi si può dire che è tradizione consolidata. Dai tempi dei tre governi Wilson (1964, 1966 e 1974), passando per gli esecutivi Callaghan (1976) e poi Blair (1997, 2001 e 2005), la contraddizione fra un gruppo dirigente che guardava al centro e al mondo imprenditoriale e finanziario e una sinistra che invece rimaneva ferma sulla difesa degli interessi della working class e dei cosiddetti new movements ha caratterizzato la dialettica interna del partito. In particolare, è col movimento sindacale che le maggioranze centriste hanno avuto gli scontri più duri. Un movimento sindacale che è fondatore del Labour Party e ancora oggi ne garantisce i principali finanziamenti e rappresenta uno dei principali bacini di iscritti. Con la segreteria Starmer, la musica non è cambiata, anzi forse è ancora peggiorata, nonostante l’ondata di lotte, scioperi, vertenze che si è abbattuta sul paese negli ultimi due anni, ha fatto diventare quello britannico il territorio col più forte e continuo scontro sindacale a livello occidentale. Praticamente tutte le categorie sono scese in sciopero: lavoratori e lavoratrici dei trasporti (ferrovie, pullman, traghetti, aerei, pubblici e privati), delle pulizie e delle poste, della scuola, vigili del fuoco, personale sanitario, lavoratori e lavoratrici del settore IT, dell’industria siderurgica, addirittura gli avvocati penalisti. Organizzazioni sindacali come Unite, Unison, Cwu e Rmt sono solo le principali sigle di un universo sindacale in fermento. Lo scontro fra sindacati e partito laburista è cresciuto negli ultimi due anni. In particolare con Unite, l’organizzazione sindacale che maggiormente contribuisce al partito, in termini di iscritti/e e di fondi. Con la parola d’ordine «Jobs, Pay and Condition», l’organizzazione ha lanciato una campagna vertenziale che dal giugno 2022 a oggi ha portato a 243 vittorie in tutti i settori e su tutti i temi. Attaccata ripetutamente per gli scioperi organizzati dalla sua organizzazione, Sharon Graham, la segretaria generale di Unite, aveva dichiarato che con queste posizioni, il Labour Party aveva toccato il suo nuovo minimo storico e che oggi gli unici a difendere i lavoratori sono i sindacati. La Graham ha parlato di un sistema “truccato” a favore delle imprese che si ingrassano facendo salire l’inflazione e abbassando i salari, mentre i politici non vogliono o non possono fermarlo: «Siamo nel bel mezzo di un ciclo di crisi. E ancora una volta i ricchi e i potenti chiedono ai lavoratori di pagare la crisi invocando il contenimento dei salari. Stiamo affrontando questa situazione con azioni sindacali, ma stiamo anche scoprendo come stanno realmente le cose». La polemica è salita di tono fino al 5 maggio scorso, quando ha minacciato il ritiro dei fondi al partito se Starmer continuerà a farsi dettare la linea dagli industriali in cambio dell’appoggio elettorale, costringendo il segretario a rettificare il tiro su una serie di dichiarazioni. Il giornale Big Issues ha recentemente raccolto tutte le svolte di Starmer rispetto al suo Manifesto con cui venne eletto segretario nel 2020, dagli assegni familiari alle scuole private. Tra i punti su cui si è assistito a queste inversioni a U, anche l’idea di un secondo referendum sulla Brexit, o la difesa della libertà di movimento per i cittadini dell’Unione Europea.[]
  13. D’altra parte, la tendenza votata al blairismo per togliere voti ai Conservatori è maggioritaria nel partito. Al punto che alcuni parlamentari Tory, come Mark Logan e Nathalie Elphicke, sono stati imbarcati nel partito non più tardi di due mesi fa, mentre Nick Boles, ex-ministro della pianificazione nel governo Cameron, è stato contattato per una revisione del quadro politico-legislativo in materia di semplificazione edilizia, sia residenziale, sia commerciale. Di contro sta la tendenza socialista, frutto degli ultimi due anni di conflitti sindacali e sociali: si pensi anche ai movimenti sulla giustizia climatica come Just Stop Oil o a quelli sul carovita come We Don’t Pay, alle imponenti manifestazioni in solidarietà con la Palestina e alle associazioni antirazziste. Il Labour, in media, è calato dell’11% nei collegi elettorali con una popolazione musulmana superiore al 10%. Solo una settimana prima delle elezioni, il Times riferiva che, nonostante avesse promesso di riconoscere lo Stato di Palestina, Starmer avrebbe ritardato tale iniziativa “per paura che potesse minare la relazione speciale della Gran Bretagna con gli Stati Uniti”. Si dice che i suoi “alleati” sostenessero che poteva “permettersi di ignorare le voci filo-palestinesi a sinistra, dato che il partito laburista è sulla buona strada per vincere le elezioni con un’ampia maggioranza”. Non è stato quindi casuale che in quattro distretti, fra i quali Leicester e Blackburn (oltre ovviamente Islington North dove correva Corbyn, animatore di tutte le grandi manifestazioni di questi mesi), notabili laburisti hanno perso il seggio a vantaggio di candidati indipendenti considerati «Pro-Palestine», mentre altri candidati , tra cui la 23enne anglo-palestinese Leanne Mohamed che non ce l’ha fatta per 500 voti a Londra Est, sono stati sconfitti. A Birmingham il candidato del Worker’s Party ha perso per soli 1.500 voti contro quello laburista.[]
  14. Il manifesto elettorale del Labour rifiuta di abolire il “two child benefit cap”, uno dei provvedimenti più discussi introdotti dal governo di Theresa May nel 2017. Si tratta di una limitazione alle detrazioni fiscali e agli assegni per ogni figlio in più dopo il secondo. Nelle intenzioni dei Conservatori, questo avrebbe incentivato le famiglie con più figli a lavorare di più. Secondo una ricerca del think tank indipendente Resolution Foundation, il risultato è stato invece un aumento dell’incidenza della povertà nelle famiglie più numerose rispetto a quelle con due figli. Ci sono 750 mila bambini in più che vivono in povertà rispetto a quando i Conservatori salirono al potere nel 2010, e 4,3 milioni di bambini soffrono la fame. Nel 2010 c’erano 35 banchi alimentari; nel 2024 ce ne sono circa 3 mila. Molte agenzie locali sono fallite, portando a profondi tagli nei servizi di base come la raccolta dei rifiuti, l’assistenza sociale e le biblioteche. Il motivo, secondo Starmer e i suoi sostenitori, per cui il manifesto promuove politiche fiscali ed economiche moderate è dovuto al fatto che per la dissennata gestione delle finanze dei Tory non ci sono abbastanza soldi per poter portare avanti politiche più radicali. Per questo il manifesto del Labour Party per le elezioni si concentra in particolare sul tema della stabilità economica.[]
  15. Nelle parole della neo Cancelliera dello Scacchiere Rachel Reeves “la stabilità è il cambiamento”. L’idea di fondo era che in un paese dominato dal caos causato dai Tory, fosse possibile che elettori moderati votassero per un partito e dei candidati di sinistra che propongono serietà, equilibrio e pragmatismo. La scelta di Reeves non è casuale. Il suo curriculum da tecnocrate è impeccabile: laureata alla London School of Economics, ha lavorato alla Banca d’Inghilterra, un profilo tecnico che però ha poi trovato il suo spazio in politica. La sua politica economica è la Securonomics, termine coniato da lei. Questa linea si basa sull’idea che sia il lato dell’offerta a trainare l’economia, quindi la produzione di beni e l’erogazione di servizi da parte delle imprese. Per questo lo Stato deve concentrare le sue limitate risorse sul settore privato, collaborando in maniera strategica per raggiungere gli obiettivi di crescita economica (la “creazione di ricchezza”). L’attuale piano di Reeves non è particolarmente nuovo: è quello di “convincere BlackRock a ricostruire la Gran Bretagna”, utilizzando il denaro pubblico per “derischiare” gli investimenti nelle infrastrutture e nella produzione di energia: utilizzando di fatto lo Stato per garantire i profitti privati. Il capo di BlackRock Larry Fink, che ha sostenuto Starmer, ha posizionato la sua azienda come un mezzo per fornire risorse per investimenti verdi senza aumentare le tasse sui ricchi. Piani che hanno consentito al Labour di promettere di mantenere un certo rigore nei conti pubblici ed evitare l’immagine di una sinistra irresponsabile sul piano finanziario. La maggior parte degli investimenti pubblici saranno infatti concentrati sul settore della transizione energetica, ma alcune promesse, a crescita invariata, rischiano di richiedere fondi ingenti, come quello sulla rivitalizzazione dell’NHS. Starmer ha escluso di innalzare le imposte sui più ricchi e le corporation, dicendo che il paese ha già un’elevata pressione fiscale. Anche la debacle della Brexit è una realtà che limiterà fortemente la spinta di Starmer verso la crescita economica, senza la quale la sua promessa di rinnovamento diventerebbe rapidamente vana. Il rischio quindi è che nel voler sembrare il più possibile pragmatico e competente, il Labour Party sottovaluti i problemi delle fasce più deboli della popolazione, che si dirigeranno invece verso partiti più estremisti come Reform UK.[]
  16. Il tasso di crescita annuale della produttività dal 2007 è stato di un minuscolo 0,4%, il più basso su un periodo equivalente dal 1826. Il PIL pro capite è cresciuto solo del 4,3% negli ultimi 16 anni, rispetto al 46% nei 16 anni precedenti. Inoltre, la crescita del PIL negli ultimi anni è stata guidata quasi esclusivamente dall’aumento della dimensione complessiva della popolazione, in altre parole, dall’immigrazione che entrambi i principali partiti affermano di voler limitare severamente. I governi conservatori, teoricamente avversi alle tasse, sono stati costretti ad aumentare tasse complessive a un livello mai visto dal 1950, quando il Regno Unito si stava ancora riprendendo dalla seconda guerra mondiale.[]
  17. Tra l’altro, l’esistenza stessa di Reform UK rischia di innestare una nuova corsa del Partito Conservatore spostata nettamente a destra, verso posizioni più estreme soprattutto sul fronte immigrazione. In queste elezioni il Labour ha avuto fortuna e ha vinto con una valanga di voti perché l’opposizione era divisa. Se ci sarà un riallineamento a destra, con Farage dilagante, continuare ad assecondare la loro agenda non farà altro che spingere più persone tra le braccia di Farage. Tony Blair si è rifatto vivo subito dopo le elezioni e ha esortato Starmer a mantenere il controllo sull’immigrazione per contrastare l’ascesa dell’estrema destra: l’immigrazione avvantaggia il Regno Unito, ma sono necessari controlli per “chiudere le strade” ai populisti.[]
  18. Il salario reale medio annuo è sceso di circa 14.000 euro al di sotto del livello pre-crisi finanziaria del 2008. Ci sono quasi tre milioni di disoccupati a causa di malattie croniche; 6,7 milioni di persone ricevono lo Universal Credit, un sussidio statale, e in molti casi hanno un lavoro, che però non gli basta per vivere. In campagna elettorale Starmer aveva promesso che con le misure economiche del nuovo governo non sarebbero state introdotte nuove tasse; che le tasse per le aziende avrebbero avuto come massimo il 25% attuale; che sarebbe aumentato il salario minimo per renderlo più congruo con il costo della vita; e che sarebbe stato istituito un sistema di rivalutazione delle pensioni. Per aiutare le famiglie i Laburisti vogliono costruire 3.000 nuovi asili e scuole primarie e fornire ai bambini delle famiglie più povere una colazione gratuita nelle scuole (il progetto “Free breakfast club”). Sono tutte misure molto costose, che nelle intenzioni di Starmer dovrebbero essere finanziate con una razionalizzazione delle spese in altri settori e con un rilancio dell’economia. Il partito laburista ha accettato gli stessi vincoli fiscali stabiliti dai conservatori, evitando in gran parte gli aumenti delle tasse per aumentare le entrate di cui ha bisogno se vuole sostenere i servizi pubblici e iniziare a compensare il deficit di investimenti. Date le crescenti tensioni sociali ed economiche che affliggono il Paese, la nuova leadership sarà tentata di evitare riforme più audaci a favore di una mera gestione della crisi. Un approccio così cauto che corre il rischio di disperdere una maggioranza parlamentare di proporzioni storiche.[]
Labour Party, Regno Unito
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