Il colpo di stato del 26 luglio in Niger ha colto di sorpresa gli osservatori, sebbene sia stato il settimo colpo di Stato dell’Africa occidentale negli ultimi tre anni, seguito a breve distanza di tempo dall’ottavo in Gabon. Questi colpi di Stato militari condividono cause e aspirazioni comuni ed evidenziano il progressivo declino dell’influenza economico-politica della Francia e dell’Occidente in Africa.
Dal 2020 sono avvenuti sette colpi di Stato nella regione del Sahel (la fascia meridionale del Sahara, che divide il Maghreb dall’Africa sub-sahariana1), una vera e propria “epidemia”, secondo il presidente francese Emmanuel Macron, con un “effetto domino” che ha determinato una condizione di profonda ansia e confusione su ciò che sta accadendo. I commentatori mainstream non sono riusciti a dare un senso alla sequenza di due colpi di Stato ciascuno in Mali e Burkina Faso, e uno a testa in Chad, Guinea e Niger, con un ulteriore colpo di Stato nel vicino Gabon2, seppure hanno individuato molte possibili cause che hanno portato all’intervento dei militari, nodi da lungo tempo irrisolti come la diffusione del terrorismo (legato alle attività di Stato Islamico, Al-Qaeda e Boko Haram), l’indebitamento insostenibile, l’insicurezza alimentare (che investe circa 800 milioni di africani), gli impatti distruttivi dell’estrattivismo neocoloniale e le tensioni politiche latenti dovute a diffusa corruzione, povertà, cattiva gestione dei beni statali, repressione politica, profonda polarizzazione ed estremismo violento3. Ma in Niger il numero degli attacchi jihadisti era notevolmente diminuito negli ultimi mesi (sia per una maggiore efficacia delle operazioni delle forze armate nigerine supportate dai francesi sia per l’avvio di colloqui di pace con i jihadisti a livello locale). E non c’è stata alcuna minaccia islamica diretta in Guinea, dove i soldati ribelli nel 2021 hanno spodestato Alpha Condé, il cui terzo mandato presidenziale ha violato la costituzione.
Tutti i golpisti hanno denunciato l’ingerenza straniera come illegittima e inefficace. “Contiamo solo su noi stessi“, è stato il messaggio del capitano Ibrahim Traoré, presidente di transizione del Burkina Faso, in un discorso dell’ottobre 2022. “Il nostro popolo ha deciso di prendere in mano il proprio destino e costruire la propria autonomia con partner più affidabili“, ha dichiarato il ministro della Difesa del Mali, colonnello Sadio Camara, il 13 agosto a Mosca. Tuttavia, né l’influenza russa né la crisi dell’imperialismo francese – che molti analisti hanno indicato come causa – spiegano da soli gli eventi recenti.
La serie di colpi di Stato nel Sahel indica principalmente la fine di un decennio durante il quale la gestione della crisi di sicurezza che devasta la regione è stata internazionalizzata sotto l’egida della Francia (dal gennaio 2013 sotto la presidenza Hollande al novembre 2022 sotto quella di Macron, con le operazioni Serval, prima, e Barkhane, poi), della UE (con l’operazione Takuba, durata dal 2014 al 2022 e che ha coinvolto Belgio, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Germania, Italia, Olanda, Portogallo, Svezia e Ungheria; dal 2022 la missione militare è stata rilocalizzata in Niger), degli USA (con due basi militari, 1.100 soldati e un impegno di più di 500 milioni di dollari dal 2012) e dell’ONU (con l’operazione MINUSMA, decisa dal Consiglio di Sicurezza nel 2013, che dovrebbe chiudersi alla fine di quest’anno). Interventi militari seguiti alla destabilizzazione della Libia nel 2011 e all’assassinio di Muammar Gheddafi, eventi che sembravano avere “spianato la strada” alla riconquista neo-coloniale del Sahel da parte dell’Occidente senza incontrare sostanziali ostacoli, contribuendo però anche alla diffusione dell’insorgenza jihadista nella regione.
Dal Mali al Burkina Faso e dal Niger al Gabon, ultimo in ordine di tempo, tutti i Paesi caduti nelle mani dei militari – Sudan a parte – sono membri della cosiddetta “Francafrique”, quel sistema di potere politico, economico e militare che faceva capo a Parigi, ex potenza coloniale dal 1897 al 1960 (quando nella sola Africa occidentale controllava quasi cinque milioni di chilometri quadrati, ossia otto volte la superficie della stessa Francia4), presente con forze militari dispiegate sul terreno e rilevanti interessi minerari, commerciali e finanziari (anche attraverso la gestione del Franco CFA Uemoa che costringe gli 8 Paesi della regione a rinunciare alla propria sovranità monetaria e a mantenere almeno la metà delle loro riserve valutarie presso la Banque de France)5. Un sistema di relazioni con cui Parigi ha mantenuto i legami con le famiglie dominanti e ristrette élite, spesso in diretto conflitto con il desiderio popolare di cambiamento. E che nella mente di molti, attraverso il quale Parigi continua a dettare legge, manipolando l’ambiente politico ed economico per favorire le élite che sembrano avere una maggiore affinità con la Francia che con i cittadini dei propri Paesi6.
Secondo molti osservatori occidentali e africani, il fallimento dell’intervento francese è paragonabile a quello degli statunitensi in Afghanistan (anche se si può sempre sostenere che il ritiro dell’esercito francese è stato meno catastrofico di quello degli Stati Uniti da Kabul e che il fallimento militare sia da attribuire alla cattiva governance dei Paesi africani). Una situazione fallimentare che, auspicabilmente, dovrebbe spingere politici e organizzazioni della società civile francesi a condurre una decisa valutazione critica delle politiche seguite che evidentemente sono state costellate da errori di analisi, presunzioni fuori luogo sull’influenza dell’ex potenza coloniale e valutazioni sopravvalutate dei risultati dei programmi di cooperazione militare e di sviluppo economico.
A partire dal 2020, con i primi colpi di Stato, sembra di essere entrati in un’altra fase nella quale gli Stati del Sahel stanno ora riprendendo l’iniziativa a spese soprattutto della presenza e del ruolo politico-militare ed economico della Francia. In Niger, il nuovo governo ha annunciato che non permetterà più alla Francia di sfruttare l’uranio7. Il governo di Abdourahamane Tchiani8 ha accusando Parigi di “palese interferenza”, ordinando alla polizia di espellere l’ambasciatore francese, che rimane ormai confinato all’interno dell’ambasciata9 e revocando tutta la cooperazione militare con la Francia, il che significa che i 1.500 soldati francesi dovranno fare le valigie (come hanno fatto sia in Burkina Faso che in Mali). Migliaia di persone hanno manifestato nella capitale nigerina, Niamey, in favore di queste decisioni. Un impasse che, secondo gli osservatori, a questo punto terminerà solo con la inevitabile capitolazione francese e il ritiro dei soldati dal Paese.
È interessante notare che da parte dei militari golpisti non vi sia stata alcuna dichiarazione pubblica sulla base aerea 201, la struttura americana ad Agadez, a mille chilometri dalla capitale Niamey. Si tratta della più grande base statunitense di droni al mondo e la chiave per le loro operazioni nel Sahel per controllare e contrastare il terrorismo jihadista. Alle truppe statunitensi è stato detto di rimanere per ora nella base e i voli dei droni sono stati sospesi. Gli Stati Uniti si sono rifiutati di definire il cambio di governo come un colpo di Stato, ma le richieste della sottosegretaria di Stato, Victoria Nuland, non sono state accolte. In ogni caso, Parigi è frustrata dal fatto che Washington sia disposta a dialogare con la giunta militare.
La minaccia di un intervento militare regionale
Nelle ore successive al colpo di Stato, Francia, Stati Uniti e i principali Stati occidentali hanno condannato il cambiamento di regime e chiesto la reintegrazione del presidente Mohammed Bazoum, che era stato immediatamente arrestato dal nuovo governo. Ma né la Francia né gli Stati Uniti hanno voluto guidare la risposta al colpo di Stato e hanno fatto pressioni sui 15 Stati della Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale (nota come ECOWAS o CEDEAO), guidati dalla Nigeria, affinché intervenissero politicamente e militarmente, secondo il cosiddetto ”modello Rwanda” applicato in Mozambico10.
L’ECOWAS ha condannato il colpo di Stato. Negli ultimi anni, l’ECOWAS ha sospeso il Burkina Faso e il Mali a causa dei colpi di Stato avvenuti in quei Paesi. Anche il Niger è stato sospeso dall’ECOWAS pochi giorni dopo il colpo di Stato11. Non molto tempo dopo il colpo di Stato in Niger, l’ECOWAS ha imposto un embargo al Paese che include la sospensione del suo diritto alle transazioni commerciali di base con i suoi vicini (incluso il taglio della fornitura di elettricità dalla Nigeria, che soddisfaceva il 70% del fabbisogno interno), il congelamento dei beni della banca centrale del Niger detenuti nelle banche regionali e il blocco degli aiuti esteri (che comprendono il 40-45% del bilancio del Niger).
La dichiarazione più sorprendente è stata che l’ECOWAS avrebbe adottato “tutte le misure necessarie per ripristinare l’ordine costituzionale”. Ma la scadenza del 6 agosto data dall’ECOWAS non è stata onorata perché il blocco non è riuscito a concordare l’invio di truppe oltre il confine. Comunque, l’ECOWAS ha chiesto che una “forza di riserva” fosse riunita e pronta a invadere il Niger. Da allora, l’opzione dell’intervento militare dell’ECOWAS sembra essere tramontata. Le manifestazioni di massa nei principali Paesi dell’ECOWAS – come Nigeria e Senegal – contro l’invasione militare del Niger hanno spinto i governanti di questi Paesi ad abbandonare il sostegno ad un intervento.
Il panico dell’Unione Europea
“È iniziata una nuova era di instabilità”, ha affermato l’Alto Rappresentante per la Politica Estera e di Sicurezza dell’Unione Europea Josep Borrell12. E mentre i 27 valutano sanzioni contro i golpisti nigerini13, le turbolenze internazionali si riverberano sulle vicende africane, nella consapevolezza che i cambi di regime possano offrire nuove sponde alla penetrazione di Cina e Russia14, ma anche di Turchia, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Qatar India e Israele. D’altra parte, all’ONU Mosca ha posto il veto contro il rinnovo delle sanzioni ai danni della giunta militare al potere in Mali. Un’evoluzione che alimenta il timore che il gruppo paramilitare russo Wagner possa restare “operativo” in Africa, nonostante la morte il 23 agosto del suo capo, Yevgeny Prigozhin15.
Per l’Unione Europea, poi, la crisi nigerina rappresenta una minaccia in relazione alla questione del controllo dei flussi di migranti e rifugiati, diventata esplosiva con la fine di fatto dell’accordo migratorio Libia-Unione Europea (attraverso l’Italia) a seguito del rovesciamento del regime di Gheddafi nel 2011. Il Niger, infatti, rappresenta uno dei principali snodi verso l’Europa, attraverso il Mediterraneo centrale. Nel 2015 l’Unione Europea, alle prese con l’arrivo di oltre un milione di migranti, istituì il Fondo fiduciario di emergenza per l’Africa per finanziare iniziative volte a contrastare il fenomeno. Il Niger, dietro promessa di poter usufruire di parte di quei fondi, varò la legge 2015-36, che metteva di fatto fuori legge il trasporto clandestino di migranti attraverso il suo territorio. Dopo il picco del 2016, quando 330.000 migranti attraversarono il territorio nigerino, si verificò un effettivo calo drastico dei flussi, con numerosi arresti e confische di mezzi ad Agadez. Tuttavia, i fondi che avrebbero dovuto permettere agli ex trafficanti di avviare attività economiche legali per mantenersi si sono rivelati insufficienti o mal gestiti e il traffico di migranti è tornato lo scorso anno, come certificano i dati dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, ai livelli del 2022. La situazione attuale è anzi ulteriormente peggiorata in quanto oggi i trafficanti, per evitare gli arresti, battono piste secondarie più pericolose. Un fallimento che all’Unione Europea è costato caro: tra il 2015 e il 2022, ha infatti finanziato 19 progetti in Niger per un totale di 687 milioni di euro, di cui la parte più significativa è stata spesa per politiche incentrate quasi esclusivamente sul controllo delle frontiere e sull’applicazione della legge. Piuttosto che affrontare le cause della migrazione, l’Europa ha cercato di costruire il suo confine meridionale nel Sahel attraverso misure militari e di politica estera, inclusa l’esportazione di tecnologie di sorveglianza illegali ai governi di questa regione africana.
Infine, l’Unione Europea è interessata al completamento del gasdotto transahariano (TSGP), da 13 miliardi di dollari e 5.600 chilometri, che dovrebbe fornire 30 miliardi di metri cubi (bcm) di gas naturale all’Europa. Il gasdotto andrebbe da Warri, in Nigeria, attraverso il Niger, fino all’hub del gas di Hassan R’Mel in Algeria, dove si collegherebbe ai gasdotti esistenti verso l’Europa. Il gasdotto è uno sforzo congiunto di Algeria, Nigeria e Niger e nel luglio 2022 i Paesi hanno firmato un memorandum d’intesa per la sua realizzazione. Il gasdotto dovrebbe contribuire a sostituire almeno in parte le forniture di gas che non arrivano più attraverso i gasdotti Nord Stream, dopo il sabotaggio, né dal gasdotto East-Med, bloccato dal governo degli Stati Uniti in base ad obiezioni ambientali.
Le ragioni dei colpi di Stato nel Sahel
Quando l’ECOWAS ha suggerito la possibilità di un intervento in Niger, i governi militari del Burkina Faso, del Mali e della Guinea hanno affermato che si sarebbe trattato di una “dichiarazione di guerra” non solo contro il Niger, ma anche contro i loro Paesi16. Sono già stati lanciati appelli affinché il Niger, uno dei Paesi più importanti del Sahel, entri a far parte del dialogo per creare una federazione che includa Burkina Faso, Guinea e Mali. Si tratterebbe di una federazione di Paesi che hanno avuto colpi di Stato per rovesciare quelli che sono stati considerati governi filo-occidentali che non hanno soddisfatto le aspettative di popolazioni sempre più povere.
La storia del colpo di Stato in Niger diventa in parte la storia di quello che la giornalista comunista Ruth First ha chiamato “il contagio del colpo di Stato” nel suo straordinario libro, The Barrel of the Gun: Political Power in Africa and the Coup d’états (1970). Nel corso degli ultimi trent’anni la politica nei Paesi del Sahel è stata non solo molto instabile17, ma si è anche seriamente inaridita. I partiti con una storia radicata nei movimenti di liberazione nazionale, anche i movimenti socialisti (come il partito di Bazoum) sono stati trasformati fino a diventare rappresentanti delle loro élite, che sono divenute strumenti di un’agenda occidentale.
La guerra franco-americana-NATO in Libia nel 2011 ha consentito ai gruppi jihadisti di uscire dalla Libia, riversarsi nell’Algeria meridionale e nel Sahel (quasi la metà del Mali è controllata da formazioni legate ad al-Qaeda) ed esportare l’instabilità in tutta la regione. Una combinazione di Tuareg armati, gruppi secessionisti, contrabbandieri transahariani e propaggini di al-Qaeda si unirono e marciarono a sud del Sahara per catturare quasi due terzi del Mali (fondando lo Stato Islamico dello Azawad e puntando su Bamako, la capitale), gran parte del Burkina Faso e sezioni del Niger. L’ingresso sulla scena di queste forze ha dato alle élite locali e all’Occidente la giustificazione per restringere ulteriormente le limitate libertà sindacali, per estirpare la sinistra dalle fila dei partiti politici legalizzati e per eliminare, arrestare o costringere all’esilio tutti gli oppositori politici. Come nota l’ISPI, “a cadere sotto i colpi di Stato sono soprattutto semi-democrazie corrotte, alle prese con conflitti armati e influenze esterne, e incapaci di rispondere adeguatamente ai bisogni delle popolazioni”. Di fatto, i leader dei principali partiti politici di destra, di centrodestra o di centrosinistra che si sono alternati al governo in questi Paesi, non hanno avuto una reale indipendenza dalla volontà di Parigi e Washington. Debolissimi dal punto di vista del consenso interno, questi autocrati sono diventati dipendenti dal sostegno diretto o succubi dell’Occidente. Una evoluzione che ha fatto crescere un’insofferenza diffusa per questi regimi e classi dirigenti che, sotto l’apparenza di elezioni democratiche (quasi sempre “truccate”, in “modo fraudolento” o “piene di irregolarità”), nascondevano la difesa di interessi privatistici e tradivano in modo più o meno aperto il patto sociale con i cittadini.
In assenza di strumenti politici affidabili, ora sempre più ampie componenti urbane e rurali, piccolo-borghesi e giovanili (con milioni di giovani che considerano la migrazione verso nord come l’unica alternativa ad una vita in povertà e senza diritti) sfiduciate, impoverite e marginalizzate di questi Paesi si rivolgono per la leadership ai loro figli e fratelli nelle forze armate percependoli come “salvatori della patria”, come gli unici in grado di proteggere la società dal terrorismo e dall’instabilità. Persone come il capitano del Burkina Faso Ibrahim Traoré (nato nel 1988), cresciuto nella provincia rurale di Mouhoun18, e il colonnello Assimi Goïta (nato nel 1988), originario della città mercato del bestiame e della ridotta militare di Kati, rappresentano perfettamente queste ampie frazioni di classe. Le loro comunità sono state duramente colpite dai programmi di austerità imposti dal Fondo Monetario Internazionale, dal furto delle risorse dei loro Paesi da parte delle multinazionali occidentali e dai pagamenti per la presenza di guarnigioni militari occidentali.
Popolazioni scartate, prese “in ostaggio dai vari regimi politici che si sono succeduti”, senza una reale piattaforma politica che parli per loro, queste comunità si sono mobilitate a sostegno dei loro giovani nell’esercito. Questi sono “colpi di Stato del colonnello” – colpi di stato della gente comune che non ha altre opzioni – non “colpi di Stato del generale” – colpi di stato delle élite per arginare il progresso politico del popolo. Ecco perché il colpo di Stato in Niger viene difeso con manifestazioni di massa da Niamey alle piccole e remote città al confine con la Libia.
Certamente, le forze imperialiste occidentali – in particolare gli Stati Uniti con truppe sul terreno in Niger – non vorrebbero vedere il successo di questi colpi di Stato. L’Europa, attraverso la leadership francese, aveva spostato i confini del proprio continente dal nord del Mar Mediterraneo al sud del deserto del Sahara, inquadrando gli Stati del Sahel in un progetto noto come G-5 Sahel. Ora, con i governi antifrancesi in tre di questi Stati (Burkina Faso, Mali e Niger) e con la possibilità di problemi nei due stati rimanenti (Chad e Mauritania), l’Europa dovrà ritirarsi sulle sue coste.
“Si sta mettendo gradualmente in discussione il nostro ordine internazionale nel quale l’Occidente ha avuto e continua ad avere un posto preponderante “, ritiene Macron. Una messa in discussione che pensa sia il risultato del ritorno della guerra, soprattutto in Europa con l’offensiva russa in Ucraina, e dell’ascesa di una “politica del risentimento” dall’Asia all’Africa, che si nutre “dell’anticolonialismo, reinventato o fantasticato” e di un “anti-occidentalismo strumentalizzato” (da Cina e Russia), ha detto.
Le sanzioni destinate a ridurre il sostegno di massa ai nuovi governi aumenteranno e la possibilità di un intervento militare incomberà sulla regione nel prossimo futuro. Il dilemma del neocolonialismo persiste come uno dei principali ostacoli allo sviluppo per numerosi Paesi africani nonostante la loro indipendenza ufficiale, poiché i Paesi occidentali mantengono una significativa influenza sulle loro economie e politiche. La presenza di multinazionali, debito estero e rapporti commerciali ineguali sono tra le varie espressioni di questa realtà. Per queste ragioni, almeno per ora, i colpi di Stato hanno il potenziale per fungere da simboli di resistenza contro le minacce alle autonomie nazionali. Dato che Cina e Russia si stanno già facendo strada nella regione aggiudicandosi accordi sui metalli delle terre rare, si presenta per questi Paesi un’occasione d’oro per sfruttare la caduta dell’Occidente.
Il paradosso è che, nonostante tutti i suoi problemi, l’Africa è in forte espansione economica e demografica (con un’età media di 19,7 anni), è piena di giovani talenti ed è ricca di risorse naturali ed umane, per cui per molti versi rappresenta il futuro. Questa prospettiva, oltre alle preoccupazioni più egoistiche sull’immigrazione di massa, sulla sicurezza sanitaria globale, sulla diffusione dell’ideologia jihadista e sulla crescente influenza di Cina e Russia, dovrebbe suggerire che un radicale miglioramento delle relazioni economico politiche dell’Occidente con i Paesi del continente africano – verso una partnership realmente alla pari – sarebbe nell’interesse di tutte le parti. Ma questo richiederebbe un cambiamento radicale del modello di economia e degli atteggiamenti culturali ed ideologici che l’Occidente dimostra di avere enormi difficoltà a fare19 .
Alessandro Scassellati
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- Il Sahel è una fascia, lunga 5.400 chilometri, che unisce la costa atlantica della Mauritania e del Senegal con il Mar Rosso, sulle coste del Sudan e dell’Eritrea; al centro, da est a ovest, ci sono l’Etiopia, il Chad, il Niger, la Nigeria settentrionale, il Mali, il Burkina Faso, la Mauritania, il Senegal e la Guinea. È una terra di transito, dove da secoli convivono i pastori dei popoli Peul o Fulani e gli agricoltori. Nel suo segmento occidentale, ebbe origine la tratta internazionale degli schiavi nel XVI secolo: il commercio triangolare basato sull’esportazione di prodotti dall’Europa al Sahel, dove venivano scambiati con schiavi africani che poi venivano trasportati nelle Americhe per produrre ed estrarre le merci (zucchero, cotone, caffè, cioccolato, argento, etc.) che poi venivano scambiate sui mercati europei. Il sistema mercantile, da cui è emerso il capitalismo industriale, non sarebbe esistito senza che gli africani occidentali fossero diventati la principale merce umana in questa triangolazione. Il Sahel è stato anche teatro di attività commerciali transahariane, che collegavano diverse rotte a tutte le latitudini africane, che sono durate più di quello triangolare. Si vedano i libri recenti di Marco Aime e Andrea de Giorgio, Il grande gioco del Sahel, Bollati Boringhieri, Torino 2023; Jean-Loup Amselle, L’invenzione del Sahel. Narrazione dominante e costruzione dell’altro, Meltemi, Milano 2023.[↩]
- Senza considerare due tentativi di colpi di Stato falliti in Guinea Bissau, Gambia e a Sao Tomé e Principe nel 2022. Poi, c’è la guerra in corso in Sudan dal 15 aprile tra l’esercito regolare e le forze paramilitari RSF che ha già causato la morte di circa 5.000 persone e la fuga di altre circa 4 milioni. Infine, si parla di possibili prossimi colpi di Stato in Senegal e Cameroun.[↩]
- Ken Connor e David Hebditch concludono il loro libro dal titolo sardonico e cinico, How To Stage A Military Coup, From Planning to Execution, elencando 10 condizioni che rendono probabile un colpo di Stato militare: un Paese è un’ex colonia o un possedimento d’oltremare; si trova a latitudini tropicali; ha divisioni religiose, etniche e/o tribali; possiede notevoli risorse naturali, in particolare petrolio; soffre di corruzione endemica e nepotismo; è strategicamente posizionato; ha un regime dispotico a lungo termine; il personale dell’esercito è addestrato all’estero; ha finanziamenti disponibili per i mercenari; e ha avuto un colpo di Stato in precedenza.[↩]
- Fu solo dopo la Conferenza di Berlino (1884-85) che Francia, Spagna, Italia, Regno Unito, Germania, Portogallo e Belgio si spartirono arbitrariamente l’intero continente come colonie, ad eccezione dell’Etiopia e della Liberia. L’Africa divenne una fonte di materie prime e di lavoro coatto nella divisione internazionale del lavoro.[↩]
- Charles de Gaulle aveva sintetizzato l’importanza fondamentale delle relazioni della Francia con l’Africa affermando che “la potenza mondiale francese e la potenza francese in Africa erano inestricabilmente legate e si confermavano a vicenda”. I collaboratori del generale avevano messo in piedi un sistema per difendere gli interessi particolari di molti capi di Stato africani, molti dei quali non erano esempi di democrazia. Il sistema messo in atto ha permesso di aumentare l’influenza francese, di guidare questi Paesi così preziosi durante i voti alle Nazioni Unite e di dotare la Francia di una “profondità strategica” secondo la maldestra formula recentemente utilizzata da Sébastien Lecornu, l’attuale Ministro delle Forze Armate. Ha permesso anche la penetrazione di alcuni grandi gruppi imprenditoriali e finanziari francesi come il gruppo Bolloré (porti e trasporti marittimi dell’Africa occidentale), il gruppo Bouygues/Vinci (edilizia, energia, risorse idriche e lavori pubblici), Total (petrolio e gas), Comilog (manganese), France Telecom, Société Generale, Credit Lyonnais, BNP-Paribas, AXA. La Francia, a forza di “sorvegliare” le sue ex colonie africane e di sorvegliare i rapporti tra gli Stati del continente africano, mostrava così il profilo di una grande potenza. Dalla sua elezione nel 2017, Macron aveva promesso l’inizio di una “nuova era” nel rapporto del suo governo con l’Africa, basata su un “partenariato” tra pari e sulla fine della “Françafrique”. Si ricorda spesso un discorso di Macron agli universitari di Ouagadougou con la promessa di liquidare i residui dell’eredità coloniale. Nel 2021-22 ha dovuto subire una umiliante ritirata dal Mali, con la cacciata delle forze militari francesi. Poi, all’inizio di marzo di quest’anno aveva detto: “È finita”. In Francia, la strategia africana di Macron viene criticata sia da destra sia da sinistra, partendo dalla constatazione che il governo di Parigi è diventato il nemico numero uno nel Sahel, un capro espiatorio dell’evoluzione geopolitica globale. Jean-Luc Mélenchon, leader del partito La France Insoumise, ha criticato le autorità francesi che hanno ripetutamente respinto le ingiunzioni dei golpisti che l’ambasciatore Sylvain Itté lasci il suolo nigerino. Sostiene che “l’escalation è un errore”.[↩]
- Tra il 1962 e il 1995, la Francia ha compiuto 19 interventi militari distinti in Africa; da allora, ha schierato truppe in più occasioni, anche per importanti operazioni nella Repubblica Centrafricana, in Mali e Niger. E sebbene Parigi abbia sempre difeso tali missioni come necessarie per salvaguardare i propri interessi o proteggere i governi legittimi, gli africani tendono a vedere le azioni militari francesi come imperialismo con un altro nome. La Francia ha dovuto affrontare anche critiche per la sua vasta rete di basi militari in tutta l’Africa. Tali installazioni sono il risultato di trattati di cooperazione militare firmati in segreto o che si ritiene abbiano impegnato i firmatari africani a condizioni politiche ed economiche sfavorevoli.[↩]
- Una lampadina su tre in Francia è alimentata dall’uranio proveniente dal giacimento di Arlit, nel nord del Niger. Orano, precedentemente nota come Areva, ha importanti partecipazioni nelle miniere nigeriane, avendo operato lì per quasi mezzo secolo. Lo sfruttamento dell’uranio ha avuto conseguenze negative per il Niger. Secondo gli organismi di vigilanza ambientale, si sono verificati diversi episodi di rilascio di livelli pericolosi di materiale radioattivo tra la popolazione. Il rilascio di 20 milioni di tonnellate di rifiuti radioattivi da una miniera esaurita che mette in pericolo la vita di 100.000 persone è solo un esempio recente. In Niger quasi il 90% della popolazione non ha accesso all’elettricità, mentre il rinnovo dell’accordo con Orano è stato occasione per una prova di forza e corruzione poiché il Niger richiedeva un aumento delle royalties. Il Niger è un Paese estremamente fragile sotto il profilo ambientale. Solo il 14% del suo territorio è arabile, nella regione meridionale del Paese dove si concentra la presenza umana, ma è colpito da sempre più frequenti siccità, alternate ad alluvioni che erodono il suolo. Le temperature medie, che già lo rendono uno dei Paesi più caldi del mondo, stanno aumentando più velocemente che nel resto del pianeta, aggravando i problemi dei coltivatori e degli allevatori. Le conseguenze si riflettono sul piano sociale: 4,4 milioni di nigerini, su un totale di 25,5 milioni di abitanti, soffrono di insicurezza alimentare grave, circa un quinto dell’intera popolazione, secondo gli ultimi dati del World Food Program. Al tempo stesso, il Niger è il primo Paese al mondo sia per tasso di crescita della popolazione, oltre il 3% annuo, sia per alto tasso di fecondità, con una media di sette figli per donna, e quasi il 60% della popolazione ha meno di diciotto anni. Otto nigerini su dieci vivono fuori dai centri urbani, quattro su dieci si trovano in condizioni di povertà estrema e meno di un terzo della popolazione è alfabetizzata. Il Niger è anche uno dei Paesi più poveri e più indebitati del mondo. Oltre alle esportazioni di prodotti agricoli, bestiame e uranio, è rilevante quella di oro, estratto in gran parte in modo artigianale, pari a 2,7 miliardi di dollari nel 2022 (il 53% del valore totale delle esportazioni), quasi tutto destinato a Dubai.[↩]
- I leader militari del Niger hanno formato un gabinetto di 21 persone guidato da Ali Mahaman Lamine Zeine, un civile che era stato ministro delle finanze in un precedente governo e lavorava presso la Banca Africana di Sviluppo in Chad. I leader militari hanno un ruolo di primo piano nel governo. Il 19 agosto, il generale e capo della giunta Tchiani ha dichiarato di prevedere un “periodo di transizione massimo di tre anni”, al termine del quale si terranno elezioni che dovrebbero portare al ritorno del potere ai civili. I militari che hanno rovesciato Bazoum hanno motivato la loro azione con l’incapacità del presidente di preservare la sicurezza dei nigerini di fronte al terrorismo jihadista e al banditismo di miliziani armati nelle aree rurali che ha alimentato conflitti interetnici locali sanguinosi con massacri di interi villaggi (soprattutto di popolazioni Peul o Fulani, prevalentemente pastori nomadi, che vivono dispersi in tutto il Sahel, dal Senegal alla Nigeria, ma anche popolazioni di etnia Dogon o Bambara in Mali e Mossi in Burkina Faso), ma anche con una cattiva governance economica. Anche la giunta maliana aveva avanzato argomenti simili.[↩]
- Ciò ha fatto seguito all’annuncio del presidente francese Emmanuel Macron del 28 agosto secondo cui l’ambasciatore francese in Niger, Sylvian Itté, rimarrà nel Paese. I commenti sono arrivati dopo che la giunta militare di Niamey ha ordinato all’ambasciatore francese di andarsene. “La nostra politica è chiara: non riconosciamo i golpisti“, ha detto Macron e ha ribadito il sostegno di Parigi al deposto presidente Mohammed Bazoum che appartiene alla minoranza araba del Paese, mentre Tchani è invece di etnia hausa, a cui appartiene oltre metà della popolazione nigerina. “Penso che la nostra politica sia quella giusta. Si basa sul coraggio del presidente Bazoum e sull’impegno del nostro ambasciatore sul posto che resta nonostante tutte le pressioni, nonostante tutte le dichiarazioni delle autorità illegittime“, ha detto Macron.[↩]
- All’inizio del 2021, i governi francese e statunitense erano preoccupati per un’insurrezione nel nord del Mozambico che avrebbe avuto un impatto sulle attività del giacimento di gas naturale Total-Exxon al largo della costa di Cabo Delgado. Invece di inviare truppe francesi e statunitensi, cosa che avrebbe polarizzato la popolazione e aumentato il risentimento antioccidentale, Francia e Stati Uniti hanno fatto un accordo affinché il Rwanda inviasse le sue truppe in Mozambico. Le truppe rwandesi sono entrate nella provincia settentrionale del Mozambico e hanno represso l’insurrezione e apparentemente stabilizzato la situazione.[↩]
- Formato nel 1975 come blocco economico, l’ECOWAS ha deciso, nonostante non vi sia alcun mandato nella sua missione originaria, di inviare forze di mantenimento della pace nel 1990 nel cuore della guerra civile liberiana. Da allora, l’ECOWAS ha inviato le sue truppe di mantenimento della pace in diversi Paesi della regione, tra cui Sierra Leone e Gambia.[↩]
- Borrell aveva incontrato Bazoum in Niger il 5 e 6 luglio per definire diverse questioni politiche, di sicurezza e di contrasto alle migrazioni legate ad un esborso di circa 500 milioni di euro da parte della UE. In quell’occasione aveva detto che “il Niger rappresenta un’ancora di stabilità, e sosteniamo la visione del presidente Bazoum per l’intera regione e il suo piano di sviluppo economico che uniscono l’impegno per la sicurezza, la crescita e l’istruzione. Penso che il futuro del Sahel dipenda da governanti simili a lui”.[↩]
- Intanto, l’UE, che è uno dei principali sostenitori finanziari del Niger, ha sospeso il suo sostegno finanziario – 503 milioni di euro dal suo bilancio per migliorare la governance, l’istruzione e la crescita sostenibile tra il 2021 e il 2024 – e la sua cooperazione in materia di sicurezza con effetto immediato. Si ritiene che gli aiuti esteri rappresentino un quarto della spesa del Niger, e l’Unione Europea afferma che solo il 62% del bilancio annuale del Paese è finanziato a livello nazionale.[↩]
- L’UE prevede di lanciare in autunno una nuova missione civile e militare nel Golfo di Guinea, in Africa occidentale, per contenere la minaccia rappresentata dai gruppi jihadisti. Gli Stati membri dell’UE hanno concordato questa missione nella riunione del 3 agosto. Polizia e soldati dovrebbero essere dispiegati in Ghana, Togo, Benin e Costa d’Avorio. L’obiettivo della missione sarà “aiutare i quattro Paesi a ridistribuire i servizi statali nella loro regione settentrionale in modo efficiente e responsabile“, ha detto Nabila Massrali, portavoce per gli affari esteri dell’UE. La nuova missione dell’UE comprenderà la formazione e la consulenza delle forze di sicurezza locali, l’aiuto nella preparazione delle operazioni antiterrorismo, la fornitura di supporto tecnico e l’attuazione di misure di rafforzamento della fiducia nel settore della sicurezza “al fine di migliorare la sicurezza umana e le condizioni sociali ed economiche della popolazione locale”.[↩]
- In un messaggio vocale pubblicato su Telegram, Yevgeny Prigozhin aveva offerto i servizi della Wagner e paragonato il colpo di Stato in Niger a una seconda indipendenza per il Paese. “Quello che è successo in Niger non è altro che la lotta del popolo nigerino contro i suoi colonizzatori. Con i colonizzatori che cercano di imporre le loro regole di vita [ai nigerini] e alle loro condizioni e di mantenerli nello stato in cui si trovava l’Africa centinaia di anni fa”.[↩]
- Il 2 agosto, uno dei leader chiave del colpo di Stato in Niger, il generale Salifou Mody, si è recato a Bamako (Mali) e Ouagadougou (Burkina Faso) per discutere la situazione nella regione e per coordinare la loro risposta alla possibilità di un’iniziativa militare ECOWAS o occidentale in Niger. Dieci giorni dopo, il generale Moussa Salaou Barmou (che si è formato a Fort Benning, in Georgia, e alla National Defense University di Washington), si è recato a Conakry (Guinea) per chiedere l’appoggio di quel Paese al leader del governo militare, Mamadi Doumbouya. Anche Russia e Algeria hanno lanciato avvertimenti contro qualsiasi intervento militare in Niger.[↩]
- In Niger, dall’indipendenza dalla Francia nel 1960, si sono verificati cinque colpi di Stato riusciti, incluso l’ultimo, più diversi tentativi non andati a segno, l’ultimo dei quali sempre ai danni di Bazoum appena insediato, nel 2021, era stato sventato proprio dal generale Tchiani e dalla Guardia Presidenziale. Solo nel 1993 il Niger tenne le sue prime elezioni multipartitiche dal 1960. Il Paese ha dovuto affrontare due ribellioni dei Tuareg, minoranza etnica nel Paese (che aveva fatto parte della guardia pretoriana di Gheddafi nel sud della Libia), concluse con accordi di pace nel 1995 e nel 2009. Poi, ha dovuto fronteggiare l’insurrezione jihadista che, a partire dal 2015, è trasbordata dai confini sia con la Nigeria sia col Mali e il Burkina Faso, per poi intensificarsi tra il 2021 e il 2022. Ogni volta che la popolazione del Sahel si è sollevata, è stata colpita. Questo è stato il destino del presidente del Mali Modibo Keïta (1960-1968), rovesciato e incarcerato fino alla sua morte nel 1977, e del presidente del Burkina Faso Thomas Sankara, assassinato nel 1987, durante la presidenza Mitterand. È stata questa la pena inflitta ai popoli dell’intera regione.[↩]
- In Burkina Faso, il risentimento antifrancese non ha trovato altro canale di espressione se non la speranza in un colpo di stato militare che avrebbe portato leader come Thomas Sankara, assassinato nel 1987. Il capitano Traoré, infatti, sfoggia un berretto rosso come Sankara, parla con la franchezza di sinistra di Sankara, e imita perfino la dizione di Sankara. Nel suo discorso al vertice Russia-Africa della fine dello scorso luglio ha definito la federazione slava “famiglia” e ha accusato gli altri presidenti africani di essere “burattini dell’imperialismo”. Ma sarebbe un errore considerare Traorè o Assimi Goita (l’uomo forte in Mali) come di sinistra poiché sono mossi innanzitutto dalla rabbia per il fallimento delle élite e della politica occidentale. Non sono arrivati al potere con un programma ben elaborato, costruito sulla base delle tradizioni politiche di sinistra. Inoltre, sulla base dell’evidenza storica sappiamo che la maggior parte dei golpisti militari promettono il paradiso ma danno l’inferno. Promettono di girare pagina, ma spesso si rivelano non meno incompetenti e addirittura più corrotti e violenti dei loro predecessori civili. Questo è stato particolarmente vero nel Medio Oriente e nel Nord Africa, dove i golpisti militari hanno imparato a mantenere il potere per decenni con l’aiuto di forze d’élite leali che hanno posto al vertice dei loro eserciti nazionali.[↩]
- Su questo tema si veda il mio libro: Suprematismo bianco. Alle origini di economia, cultura e ideologia della società occidentale, DeriveApprodi, Roma 2023[↩]