Ovvero, lo Stato pigliatutto e il padronato arrogante, lamentoso e mantenuto
Nel quadro di un mio recente saggio (Liberismo, statalismo e iniziativa privata al tempo della Corona-pandemia, 11 maggio 2020, cfr. www.pierobernocchi.it) – che analizzava soprattutto il rapporto tra capitalismo di Stato e privato/familiare a livello mondiale e nazionale e si impegnava a confutare la erronea tesi del marxismo e comunismo novecentesco (e ancora molto in voga oggi nella “compagneria”) della dipendenza/sudditanza del primo al secondo – scrivevo tra l’altro, per quel che riguarda l’Italia:
“ La borghesia di Stato – che dirige le istituzioni politiche, i governi e gli Stati, i partiti dominanti, le strutture amministrative, giudiziarie, poliziesche, militari, la gran parte dei mass-media e i grandi sindacati – non può essere considerata una acefala burocrazia suddita del capitale privato, quando è palese che muove masse di denaro e di conseguente potere decisamente superiori a quest’ultimo. Un solo esempio in tal senso, “qui ed ora” in Italia. Carlo Bonomi, il nuovo presidente della Confindustria, la quale secondo molti farebbe e disferebbe i governi, è assurto alla carica di presidente sulla base del suo ruolo di CEO della Synopo spa, una holding che distribuisce in Italia i prodotti dell’industria californiana Natus di apparecchiature tecniche per le cliniche e che nel 2019 ha fatturato la risibile cifra di 17 milioni di euro, dando lavoro a circa 3600 persone, mentre Bonomi vi ha immesso la miserabile somma di 31 mila euro (!!), mentre gli utili sono stati di 250 mila euro. Ed ecco un illuminante raffronto con alcune strutture “pubbliche”: il Comune di Torino l’anno scorso ha ‘movimentato’ nel bilancio annuale 1 miliardo e 230 milioni (circa 70 volte tanto la Synopo) con circa 10.500 dipendenti (quasi il triplo); il Comune di Bologna ha messo in campo un po’ più di un miliardo di euro (circa 60 volte tanto) con 4300 dipendenti; senza poi parlare di Milano con i suoi 3 miliardi di bilancio con 16 mila dipendenti e di Roma, con bilancio di 4 miliardi e 600 milioni e 48 mila dipendenti (per la verità, ad oscurare la holding di Bonomi basterebbe il comune di Perugia, “fatturato” annuo di 500 milioni). E a parte la Synopo, è tutta l’industria italiana ad essere poca cosa come fatturato e occupazione rispetto alle principali strutture statali, regionali e comunali. Persino la FCA – che resta la prima industria tra quelle con capitali almeno in parte italiani – nel 2018 occupava solo 57 mila persone in Italia, cioé meno dei lavoratori/trici impiegati/e nei due comuni di Roma e Milano”.
Tanto più questa tesi mi sembra valida oggi, alla luce della drastica inversione di rotta dell’Unione Europea rispetto all’austerità e ai vincoli di bilancio anche per paesi gravati da un debito pubblico mastodontico come l’Italia, che consentirà al governo e in generale alle strutture statali e alla burocrazia di Stato (o borghesia di Stato, per chi accetta la lettura di essa come classe), di avere a disposizione una notevolissima massa monetaria che ne accrescerà ulteriormente il potere, il controllo e l’invadenza in tutti i settori della società. Ne è testimonianza, tra le tante, la vicenda di Colao e del suo “mirabolante” mega-Piano economico e sociale. Titolo di un impegnativo articolo di Repubblica del 16 giugno, a firma di Emanuele Lauria: “Fine di un amore mai nato“. E questo è il passaggio più rilevante dell’articolo: “Colao chiude la task force e dice: ‘Ho solo dato una mano, un apporto di idee per il rilancio del Paese. E adesso torno a Londra’. Colao saluta e se ne va, chiude un’esperienza che è la storia di un amore mai nato“. Sono anni (anzi, decenni) che provo a spiegare/dimostrare con libri, saggi, articoli, che nei principali paesi economicamente sviluppati, forse con la parziale eccezione degli Stati Uniti, il capitalismo di Stato è più potente e decisivo di quello privato/familiare, senza manco dover citare il modello di maggior successo, il colosso cinese. E di certo lo è in Italia, che è il paese “occidentale” con la più forte e radicata esperienza di capitalismo di Stato, anzi ne è l’inventore ad Ovest: e anche a questo ruolo italico (prima con il fascismo, poi con la DC e il dirigismo, sul modello del “socialismo reale” ma ben altrimenti ricco, del PCI nelle regioni “rosse”) ho dedicato centinaia di pagine. Però, visto che la abbondante maggioranza degli attivisti/e e dei frequentatori/trici delle aree conflittuali, antagoniste o anticapitaliste (insomma, quella che amichevolmente chiamo la “compagneria”) ‘sti libri manco li ha aperti, e neppure saggi e articoli, mi potrei considerare soddisfatto, qui ed ora, se i lettori/trici di questo scritto accettassero almeno il mio invito a dare la giusta dimensione a ‘sta minchiata di mega-Piano Colao e nel contempo – e soprattutto – fossero disposti/e almeno a mettere in discussione l’idea fallace che siano i Bonomi, i Del Vecchio o le Marcegaglia, e in genere la Confindustria, a tenere al guinzaglio e comandare a bacchetta i governi, i partiti e oggi i Conte, il Pd, i grillozzi ecc.
Avevo facilmente anticipato giorni fa che Colao avrebbe fatto la stessa fine di Cottarelli: e infatti oggi se ne torna a casa a Londra. Per giunta, rispetto ai tempi cottarelliani, lo Stato, il governo, i principali partiti e soprattutto la burocrazia statale (quella che io chiamo “borghesia di Stato” ma la definizione non è decisiva) hanno più soldi che mai e tutti i coltelli dalla parte del manico. E quelli che chiamiamo “padroni” (anche se, FCA a parte, sono quasi tutti “padroncini”: riguardatevi ad esempio quanto scritto sopra a proposito del fatturato ridicolo dell’azienducola di Bonomi, che della Confindustria è pur sempre il presidente, arrogante quanto e più dei suoi predecessori e come essi lamentoso, borioso e pretenzioso) devono sbavare dietro al governo per ottenere una parte della montagna di soldi che la UE (di cui mi pare che la maggioranza della “compagneria” non abbia ancora realizzato la virata di linea a 180 gradi) ha autorizzato a spendere, insieme al contributo decisivo della BCE e ai soldi che dalla UE in un modo o nell’altro arriveranno. In tali condizioni e con tali rapporti di forza, che Colao o Bonomi possano dare la linea a governo e burocrazia di Stato a me pare fantascienza. I “padroncini” possono certo lamentarsi, come hanno sempre fatto nella storia italica da Valletta in poi, per essere sovvenzionati, aiutati e sorretti. Ma sanno bene che con la loro forza autonoma non vanno da nessuna parte, da decenni persino la Fiat sarebbe fallita senza le stampelle dello Stato. Il capitalismo privato italico – convinciti, o “popolo di sinistra” – è maledettamente straccione, piccolo piccolo (tranne appunto l’ex-Fiat che non è manco più italiana anche se ha la faccia di culo di chiedere soldi – come sempre fatto dagli Agnelli – allo Stato italiano, mentre si sta pure per fondere con Peugeot), perde pezzi continuamente, i “gioielli” (si fa per dire) passano di mano a capitalismi esteri uno dopo l’altro, e nella competizione internazionale regge solo la piccola e media industria che ha trovato (ma ancora per quanto?) delle nicchie protette oppure ha utilizzato e spremuto il sempre valido made in Italy del cibo, dell’abbigliamento, della moda, dell’arte, del turismo ecc. E se tali “padroncini” ottengono comunque tanto dallo Stato e dai governi non è perché questi ultimi ne siano succubi, ma solo per l’impressionante debolezza e frammentazione di tutto il lavoro dipendente e di quello, altrettanto impotente, delle microimprese e del piccolo lavoro autonomo, la cui “autonomia” è tale solo nominalmente; nonché per l’estrema fragilità di tutta la sinistra conflittuale e antagonista, politica, sindacale e sociale, disgregata e divisa come mai nella storia dell’Italia repubblicana, ferma restando la speranza che la catastrofe pandemica almeno porti qualche positiva novità nella capacità collettiva di contrastare e invertire tale disgregazione.
Come stiano poi attualmente i rapporti di forza tra i due mondi (capitalismo di Stato e privato) Conte e i partiti di governo lo hanno detto con una grinta inusuale, seppur non con la mia terminologia, a Bonomi che lagnosamente strepitava: “Che minchia avete combinato voi della Confindustria? Che piani avete, a parte quello di chiedere sempre aiuti dallo Stato?”. E che un Colao qualsiasi pensasse di mettere in riga la burocrazia statale, di “tagliarla”, di “snellire”, di liberalizzare sul serio, facendo fuori davvero la burocrazia di Stato, che si illudesse di dare la linea al governo, dimostra solo la sua misconoscenza di questo paese, dove i più potenti sono coloro che gestiscono le casse statali, e in generale il capitalismo di Stato, che opera, armeggia, controlla e si infila anche dove ha fatto finta di liberalizzare, e che avrà pieni poteri nelle prossime settimane e mesi di decidere come distribuire l’ingente massa di denaro a disposizione. Dopodiché, certo, alcune delle proposte del “piano”, per giunta niente affatto nuove, troveranno una qualche applicazione (dagli s-vincoli per gli appalti alla digitalizzazione, dalla green economy al lavoro a distanza, fino alla ristrutturazione dei sussidi e dei sostegni a chi perde il lavoro), ma non perché ideazioni di Colao bensì in quanto oramai cose imposte dalla speranza di poter così mantenere, e magari accrescere, la “benevolenza”, e i conseguenti finanziamenti, della UE e della BCE, altre ben note strutture e pilastri del capitalismo di Stato continentale, non di quello privato/familiare. E non è un caso che sia stato Salvini l’unico che ha preso sul serio, nel mondo politico-istituzionale, il Colao che mo’ se ne torna a Londra.
Dunque, ripensando al grande Arbore e al suo fedele scudiero Frassica, e al geniale “tormentone” brasileiro dell’epoca felice della loro comicità (Indietro tutta,1988), possiamo salutarlo con un
COLAO MERAVIGLIAO, CHE MERAVIGLIA ‘STO COLAO MERAVIGLIAOOOO...