di Rino Malinconico, (segretario regionale del Prc della Campania) –
1) Le stesse problematiche che ci consegna il Nord dell’Italia vivono certamente anche al Sud, ma con l’aggravante che qui si intrecciano con una specifica e corposa “questione meridionale”, una questione che narra ancora, qua e là, di vecchie arretratezze e di insufficienze storiche nello sviluppo economico e sociale, ma che si presenta soprattutto in forme nuove, con caratteristiche pienamente interne all’attuale ciclo del capitalismo.
Il punto decisivo risiede nel modo stesso di funzionamento dell’economia contemporanea, che tende ad essere compiutamente duale anche nei paesi avanzati, con la creazione di aree forti (segnate comunque da una rigida compressione del lavoro), e il parallelo determinarsi di aree deboli, destinate al declino o addirittura al degrado e alla marcescenza sociale.
L’affanno del Sud si spiega, oggi, anzitutto con il modello sociale costruito dalla fase più matura del capitalismo, modello che si è rafforzato ulteriormente nello stesso ciclo della crisi economica. Viene incessantemente riprodotta, in altri termini, una società atomizzata, con poca capacità di interazione sul piano delle culture e delle dinamiche collettive, unificata esclusivamente dalle regole del mercato. Ciò si traduce, nel nostro Sud, in un moltiplicarsi abnorme della disgregazione economica e sociale, proprio perché la spinta generale alla frammentazione trova un terreno già fertile, preparato da una storia antica di squilibri e disarmonie. Il Sud che frana, che si piega sotto il peso della criminalità organizzata, dei disastri ambientali e della precarietà assoluta dell’esistenza, è un’immagine chiarissima della moderna barbarie dei nostri tempi.
2) Questo Sud così difficile e lacerato può rappresentare, tuttavia, anche un terreno di sperimentazione politica straordinaria, che mette in questione proprio le caratteristiche di fondo del capitalismo contemporaneo. Non si tratta più di ragionare a partire dallo schema, ormai anacronistico, del binomio arretratezza/sviluppo. Non c’è un deficit di modernità al Sud; esso è segnato, invece, dalla modernità nel suo versante della svalorizzazione sociale della ricchezza, la qual cosa è appunto l’altra faccia della valorizzazione produttiva.
Si tratta di una attività, questa della svalorizzazione, anch’essa compiutamente moderna, poiché di tale natura è il capitalismo del nostro tempo: è produzione di ricchezza che non si traduce in civiltà, ed è costruzione di società che non si traduce in futuro.
Il Sud esemplifica con chiarezza, nella sua connessione con il Nord dell’Italia, proprio questa dinamica costitutiva dell’attuale stadio capitalistico di produzione e riproduzione. Il rapporto di capitale ha bisogno di generare continuamente ricchezza, e al tempo stesso ha bisogno di superarla continuamente, poiché la svalorizzazione sociale della ricchezza accumulata ricostruisce le condizioni indispensabili dello stesso slancio produttivo. Ha dunque bisogno dei tempi e dei luoghi che producono in modo sofisticato prodotti sofisticati; ma ha anche bisogno dei tempi e dei luoghi che riequilibrano in basso quegli stessi prodotti e che, più in generale, mantengono l’insieme dei prodotti e della produzione ad un livello meno ricco di saperi, in uno con modalità produttive rinchiuse nell’alveo della flessibilità spinta e della compressione più brutale del valore-lavoro. Sono i luoghi a basso tasso di opportunità, che esaltano a dismisura la precarietà del lavoro proprio come parte di una più complessiva precarietà dell’esistenza. Così, ci sono aree del nostro Paese che, per storia o per tradizione, hanno una moderna vocazione per la produzione complessa e d’avanguardia, e simmetricamente ci sono luoghi che, per storia, per tradizione, per fisionomia geografica o urbanistica, possiedono una altrettanto moderna vocazione alle dinamiche della svalorizzazione, del degrado e della precarietà.
3) C’è una precisa lettura del capitalismo contemporaneo dietro questo giudizio sul Mezzogiorno; e cioè che il capitalismo contemporaneo si articola, anche qui in Italia, come una compiuta e generalizzata realtà sociale: nel senso che l’attività di produzione viene sempre più compresa entro le più complessive strutture di tenuta e riproduzione della vita materiale, sicché la nostra epoca si caratterizza, molto più che in passato, per la connessione strettissima di tutte le relazioni e tutte le attività umane. Alla mobilitazione produttiva concorrono non soltanto tutte le energie e le potenzialità interne al perimetro delle fabbriche e degli uffici, ma anche i sistemi integrati delle infrastrutture, della logistica, della distribuzione, della comunicazione, della formazione, dell’assistenza; analogamente, la cooperazione produttiva non si racchiude nel solo tempo di lavoro, ma deborda continuamente nei tempi di vita e nelle vicende specifiche delle singole persone. Questa nuova dimensione cooperativa della produzione determina una irreversibile novità storica: la società, modellata dalle dinamiche economiche, condiziona a sua volta l’economia, ne descrive i limiti e le possibilità e dà ad essa prospettiva o declino.
Orbene, proprio perché è intervenuta, anche sul piano dell’economia, questa nuova assoluta centralità degli assetti sociali, nessuna ricetta esclusivamente economica può affrontare davvero una questione meridionale diventata oggi così complessa, e una realtà sociale così lacerata e lacerante, così piena di contraddizioni. Siamo nell’epoca in cui un reale ed armonico avanzamento economico riesce solo se si colloca entro l’alveo di una società attraversata da relazioni positive al proprio interno, che costruisce e conserva elementi di civiltà finanche sul piano di più minuti legami interpersonali.
4) Ma se società ed economia interagiscono molto più che in passato, e in modo diverso perché c’è addirittura una preminenza della qualità della società sulla qualità della economia, non si può procedere, a proposito del Sud, all’identica maniera degli ultimi decenni.
Per dirla in breve, è da rivendicare senz’altro una ripresa della politica industriale e del potenziamento delle infrastrutture nel nostro Mezzogiorno, guidata dallo Stato; e, di contro, va bollata come riduttiva una prospettiva che assegni alle regioni meridionali un ruolo di pura piattaforma logistica. Ma, poste così, nessuna delle due opzioni sarebbe davvero risolutiva. Occorre una qualificazione sociale degli investimenti, una loro aperta finalizzazione in direzione del modello di società. Diventano stringenti, in sostanza, non solo le questioni del “dove produrre”, ma esattamente le tematiche più ampie e ultimative del “cosa” produrre, del “come” produrre, del “quanto” produrre. Si tratta di intervenire contemporaneamente su tutti i punti del vivere sociale, sugli spazi della produzione e del lavoro non meno che su quelli del vivere e delle relazioni interpersonali. E soprattutto di intervenire avendo in testa, ancor prima che un modello di economia, proprio un modello di società e di qualità della vita.
E’ questo il nodo di fondo: la sfida del Sud, anche qui a Napoli e in Campania, si pone oggi esattamente sulla linea di confine dell’alternativa di sistema. Il ragionamento va fatto fin da subito, oltre che dal versante dell’economia, anche da quello della cultura e della politica.
E’ proprio in questo Sud disarmonico, che ha pienamente senso proporre le acquisizioni sulle quali le esperienze più avanzate di conflitto sociale hanno insistito negli ultimi anni, dai processi di sviluppo de-mercificato alla critica del consumismo, dalla difesa dei beni comuni all’apertura comunicativa. E’ proprio in questo Sud difficile, che vede le concentrazioni urbane caotiche e invivibili e al tempo stesso la dorsale appenninica in fase di progressivo spopolamento, che ha senso proporre il ciclo breve di produzione e consumo, oppure l’energia pulita, o anche il recupero ambientale come riqualificazione non solo dell’economia ma dell’intero vivere sociale.
In sostanza, la questione meridionale non può essere affrontata con la pura logica del trasferimento delle risorse. Piuttosto che sulle quantità, bisognerebbe ragionare esattamente sulle caratteristiche qualitative degli investimenti.
5) In tale quadro, c’è un punto che merita particolare attenzione: non si potrà avviare alcuna trasformazione effettiva nel Sud se non si bonifica la palude delle connivenze e dell’acquiescenza alle mafie. Va perciò sostenuto in tutti i modi l’intervento di contrasto attivo alla criminalità organizzata, che avvelena, in senso anche letterale come si è visto proprio in Campania, troppe aree del Mezzogiorno. Al tempo stesso, occorre evitare la regressione securitaria dei nostri ordinamenti e delle nostre pratiche di vita. La legalità e il rispetto delle regole non si impongono con gli stati d’assedio, ma moltiplicando i presidi di civiltà sui territori. Le scuole, le strutture sanitarie, il reticolo funzionante dei trasporti pubblici, l’associazionismo, il volontariato: sono tutti punti che fanno barriera contro la criminalità organizzata e contro l’illegalità diffusa, allo stesso modo, e a volte anche di più, delle caserme dei carabinieri, dei commissariati di polizia e dei tribunali. Si vogliono più sicure le regioni meridionali? Allora la prima risposta è il lavoro; e la seconda sono i servizi sociali.
C’è bisogno, inoltre, di una moralizzazione profonda delle istituzioni e della pubblica amministrazione. che riguarda non solo lo strato dei politici, ma anche lo strato dei funzionari: non soltanto regole più chiare di funzionamento, ma un vero e proprio codice etico che presieda alla vita normale delle pubbliche amministrazioni. La questione morale, ovvero la consapevolezza piena dello stato di degrado in cui versa la vita amministrativa del Sud, e della Campania in particolare – che langue quasi ovunque tra arroganza, sprechi, incompetenze, clientele, commistioni affaristiche e contiguità col malaffare -, dovrebbe attraversare come un lievito decisivo tutte le istanze di progresso, le rivendicazioni dei movimenti, le stesse vertenze specifiche.
Insomma, se è vero che siamo oggi alla “grande crisi del Sud occorre sapere che se ne potrà uscire non con piccoli aggiustamenti, ma solamente con un surplus di radicalità.
qui i video della iniziativa del Lab-Sud tenuta a Salerno il 16 febbraio 2020