Il leader polacco Tusk, battezzato come europeista, è stato molto netto nel considerare possibile la guerra contro la Russia, invitando a prepararsi.
Essendo un momento “particolare” della Storia di noi tutti, mi sono interrogato “senza visioni pregiudiziali” su cosa possa consentire al leader di una Nazione “media” di pensare addirittura ad un conflitto con la Russia. Purtroppo tra le risposte possibili c’è quella che Tusk può farlo perché sta dentro la politica che la UE ha deciso di assumere. Ciò che sarebbe impossibile per la Polonia è possibile per una forza assai più ampia come è la UE. Questo è un bene? Capisco che dopo trent’anni in cui la discriminante proposta è quella tra europeismo e nazionalismo questo interrogarsi senza limiti non è facile. Ma lo sento doveroso. C’è da fare i conti con la realtà, che ci parla di una UE che insiste sulla guerra. Ma anche con la Storia lunga. L’europeismo nasce anche come risposta alla esigenza di non farsi più guerre tra “europei”. Ma durante la loro lunga Storia gli europei mentre si facevano le guerre tra loro hanno messo in campo cose come crociate, colonialismi, schiavismo, imperialismi, genocidi, guerre, invasioni ripetute della stessa Russia.
Cosa prevale di questa lunga Storia nella UE attuale? Il ‘900 è stato il secolo del confronto tra socialismo e capitalismo come elemento “razionale” rispetto agli orrori di guerre mondiali, nazifascismo, Shoah. Per trent’anni la Comunità europea si costruisce su un prevalente del modello sociale che, nonostante la guerra fredda, segna un comune, ad ovest ed est, sia pur diverso, “progresso”. Poi arriva l’89. Gorbaciov propone la casa comune europea. Gli si risponde come? Qui c’è il punto cruciale che ha segnato il nostro presente. I “vincitori” si sono pensati tali e più che pensare al futuro si sono ricongiunti con una parte del proprio passato. La volontà di potenza, economica ed ora militare, ha sostituito quella di pace e di giustizia. C’è da dire che i rischi di una degenerazione dell’europeismo erano presenti nella consapevolezza dello stesso vecchio PCI. All’eurocomunismo si arriva non solo, come faceva comodo agli avversari sottolineare, per smarcarsi dall’Urss ma anche per qualificare l’europeismo. Senza una opzione sociale infatti si rischia di costruire semplicemente un nuovo nazionalismo, a livello europeo, e senza il substrato democratico conquistato nel ‘900. Facendo un azzardo storico culturale, un po’ la parabola del sionismo. La realtà è che la critica più serrata al nazionalismo, agli imperialismi, alla guerra è quella rivoluzionaria del Comunismo. La degenerazione dello stalinismo non può cancellare questo dato. Che invece aiuta a capire le nuove degenerazioni del putinismo e di quello che chiamo europeismo reale per provare a salvare il termine. Nelle differenze tra Berlinguer e Spinelli sul tema degli euromissili c’è materiale da riscoprire per riappropriarsi di quella preoccupazione storica che Berlinguer aveva e che anticipava l’estremo tentativo di Gorbaciov. Purtroppo né gli europeisti reali né tantomeno i socialisti europei hanno avuto contezza del processo che si andava innestando col mix tra funzionalismo, globalizzazione e rinascita di un imperialismo europeo. La Jugoslavia doveva fare cogliere che la “nave UE” che entrava nelle guerre stellari si nutriva dell’esplosione di pianeti come la federazione balcanica. E che si poteva arrivare a concepire di poter ripetere l’evento con la Russia. Ipotesi certo estrema ma che ha la caratteristica di essere una possibile risposta al cosa porta la UE a aizzare una guerra da cui, sembra, avere solo da perdere. E chi scrive non è convinto che valga solo il servilismo verso gli USA. La questione, immanente, della guerra si intreccia con quella che le è connessa della democrazia. La UE oggi è meno democratica di quanto lo furono gli Stati del ‘900 e degli stessi USA attuali. Il tema della democrazia globale fu proprio precisamente di Berlinguer e Gorbaciov. Ma anche del movimento dei movimenti, che colse ben prima di un Papa argentino, i rischi della guerra preventiva e permanente, economica, sociale e militare. Oggi divenuta geopolitica ma in senso orwelliano. E a riflettere su una democrazia locale e globale, “zapatista”, moltidutinaria e mondiale. Serve ancora un altro europeismo per questa prospettiva? La risposta non sta scritta in nessun manuale. Dipende dal movimento reale che sappia abbattere lo stato di guerra presente e fare la Rivoluzione.
Roberto Musacchio
1 Commento. Nuovo commento
Ha colpito anche me la presa di posizione di Tusk. Colpito, ma non sorpreso. Vittorioso (a fatica) sui nazionalisti del Pis, Tusk si adegua, come del resto la patriottica Meloni, alle linee strategiche dettate dagli USA che vogliono la ricostituzione di una Cortina di Ferro che separi la Russia, subliminalmente concepita ancora come URSS, dal resto del Vecchio Continente, negando la sua appartenenza piena alla cultura europea.
Di qui la incongrua resurrezione della NATO che, come ha detto il papa, ha “abbaiato” a lungo ai confini della Russia.
La “casa comune” gorbacioviana, ultima, grande utopia sorta dalla nostra cultura politica, era molto pericolosa per gli Stati Uniti, che hanno “preferito” avere a che fare con un etilista democratico come Eltsin. Essa ha avuto echi evidenti nella Ost-Politik di Angela Merkel, leader indimenticato della Germania e della UE, ma poi la strategia di lunga lena di Washington, che ha sistematicamente minato ogni tentativo di costituire un soggetto politico europeo (vedi il ruolo dell’UK), sostenendone il frettoloso e dissennato allargamento, ha avuto la meglio, complici le élites apolidi brussellesi.
Al netto della zuccherosa retorica europeista, la UE non è un soggetto politico vitale, ma una creaturella fragile e asfittica. Non a caso – e qui dissento da Musacchio – ma perché così vogliono gli USA, potenza egemone (?) dell’occidente, che non tollerano dualismi nel loro campo.
“Ci si può dire ancora europeisti?”, è la domanda del titolo. Prima di rispondere bisognerebbe sapere, in concreto, cosa si intende con il termine “europeista”. Personalmente, allo stato attuale, vedo come unico indirizzo strategico “europeo” la rinuncia alla costruzione di uno stato unitario federale e la nascita di una confederazione di stati nazionali che salvaguardi lo Zollverein continentale, senza roboanti proclami di riarmo comune, buoni solo ad alimentare i già straordinari profitti delle industrie belliche.