Dopo la Svezia anche l’Italia avrà un governo guidato dalla destra radicale.
Parto da qui per dire che la vittoria di Meloni avrà sì un’eco vasta e densa di preoccupazione ma il fatto che sia in scia a quello che è successo in Svezia rende l’evento meno straordinario e più iscritto nel corso che gli eventi hanno preso in Europa. Che poi sono quelle della guerra e della torsione atlantica, bellicista, nazionalista presa dalla UE. Infatti ai governi di Svezia e Italia va aggiunto quello polacco, non a caso uscito dal mirino delle reprimende europee concentrate invece sull’Ungheria di Orban.
Ne consegue che Meloni starà molto attenta a muoversi in questo quadro di allargamento di fatto della maggioranza europea. Sulla NATO, le armi, la guerra ha già dato ampie rassicurazioni. Innanzitutto a Washington. In Europa, essendo la presidente del partito dei conservatori riformatori composto con i polacchi, probabilmente saprà muoversi meglio di Salvini che sta con Le Pen e frequenta anche poco. Nei rapporti con la Presidenza della Repubblica una presidenzialista come lei non avrà problemi a riconoscere e valorizzare un ruolo che di fatto già da tempo i Presidenti esercitano. Per altro il presidenzialismo potrebbe essere il vero elemento strutturale su cui può caratterizzarsi il governo delle destre. Anche rispetto agli assetti europei. Meloni anche recentemente ha criticato la UE come mancante di democrazia. Ma intendendo come democrazia il peso degli Stati membri che potrebbe essere rafforzato proprio dal presidenzialismo. Che si lega bene al “nazionalismo euroatlantico” proposto dal discorso sullo stato dell’Unione da Ursula von Der Leyen.
Dico questo perché credo difficile che si realizzi ciò che accadde nel 1994 con Berlusconi quando ci furono scandalo e sollevazioni di massa e poi sindacali sull’attacco alle pensioni.
La cosa che più rappresenterà il problema per Meloni sarà la situazione economica. Dopo essere cresciuta all’opposizione di Draghi ora sembrerebbe chiamarlo in causa per la transizione. Ma sicuramente la situazione sarà durissima e questo rappresenterà il nodo vero.
Molto dipenderà dunque dall’opposizione che verrà messa in campo. E qui le cose sono complicate. Il PD esce a pezzi dal voto. Per altro su NATO e guerra ha la stessa posizione di Meloni. E il vincolo europeo è un dogma. Le convergenze in passaggi chiave rischiano di essere molte. Tanto più che sarà incalzato da Calenda e Renzi che hanno avuto un buon risultato e che spingeranno per larghe intese. Vedremo quale opposizione faranno i Cinquestelle dopo che per cinque anni hanno governato con tutti. Ritrovare capacità oppositiva non è facile. E anche Conte sta dentro la maggioranza europea. SI e Verdi fin qui hanno dimostrato di essere più capaci a fare elezioni che mobilitazioni sociali e vedremo la loro tenuta anche viste le differenze strategiche con i verdi europei e tedeschi in particolare.
Per questo è un peccato che Unione Popolare non sia riuscita ad entrare in Parlamento. Ha preso un voto militante ristretto, anche se in piccola crescita su PAP, come è ormai ristretta la coscienza alternativa nel Paese. Che finiti la doppiezza comunista e il lungo sessantotto, con la rottura di Rifondazione Comunista del 2008 come spartiacque, vede una parte delle energie rimaste a inseguire le dinamiche dominanti e le altre che non si rassegnano e che non riescono a ricostruire massa critica culturale, efficace socialmente, politicamente ed elettoralmente.
Questa è la grande questione aperta in Italia che sostanzialmente ha rovesciato il caso italiano.
Unione Popolare è già nel nome una indicazione di lavoro e cioè ricostruire un legame storico nuovo, di classe, popolare, intergenerazionale e intersezionale come si dice ora. Con un “prevalente” che riunisca in una sorta di nuovo intellettuale collettivo. Prevalente che per noi di Transform è liberare l’Europa dal suo regime reale.
D’altronde siamo da tempo in un quadro di stabile instabilità ed ora in una sorta di tempesta perfetta. Stabilità del quadro di regime a-democratico della UE. Instabilità dei governi. Il migliore Draghi è caduto come un Forlani qualunque. Renzi, Salvini, gli stessi Cinquestelle guadagnano e perdono milioni di voti in pochissimo tempo. I dati delle elezioni dicono di milioni di astenuti in più, milioni di voti in meno alla Lega. E ai Cinquestelle che pure un leader capace ha fin qui traghettato evitando la dissoluzione come non abbiamo saputo fare adeguatamente come sinistra radicale al momento dell’inizio della sconfitta.
E poi la minaccia delle destre è in realtà terribile perché si innesta, ed anzi è evocata, da una democrazia già minata e virata verso la democratura. Democrature contro autocrazie è l’orwellismo contemporaneo.
Per questo il che fare è drammatico e chiede che si faccia sul serio una nuova unione popolare.
Roberto Musacchio