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Cara Contessa

di Giancarlo
Scotoni

Caro compagno,

volevo ricordarti a un anno dal saluto e dalla testimonianza di affetto che ti fu tributata da tutte e tutti noi a Roma in una bella giornata di autunno.

Il ricordo di quel pomeriggio ne riporta altri, molto più lontani e oggi ti dedico quello più antico che risale al sessantotto e che penso ti farebbe piacere.

Perché io Contessa la ascoltai per la prima volta nel sessantotto e credo proprio subito dopo la rivolta operaia dei tessili di Schio contro il conte Marzotto.

Oggi so che Gaetano Marzotto era di recente nobiltà: era stato fatto “Conte di Valdagno Castelvecchio”, su intervento diretto di Benito Mussolini nel 1939, per il fatto di rappresentare con la sua opera quel padrone giusto e caritatevole che tanto piace alla retorica reazionaria; allora sapevo solo del conte Marzotto e della sua statua abbattuta.

E dunque a qualche studente delle superiori di Trento la Contessa di un certo Paolo Pietrangeli arrivò assieme alle notizie da Schio, all’irruzione delle lotte operaie che scoprivamo essere già attorno e prima delle nostre ribellioni. Quelle lotte si facevano sentire come un respiro da altri territori, da altri mondi, e davano alle nostre militanze respiro e futuro.

Quei mondi Contessa riusciva a ricucirli. Forse perché era in grado di sostituire con il senso della battaglia attuale la nostalgia delle scarpe rotte e anche la retorica generosa dei soli dell’avvenire; forse perché la visceralità del ritmo faceva da contrappunto all’argomentare dei versi.

Da allora Contessa, dopo averci preceduto, ci ha seguito a lungo nutrendo la rabbia che l’ingiustizia e la violenza dei padroni devono far nascere.

Così, caro Paolo, grazie per averci donato questa canzone che nei cortei partiva come un grido e che ha insegnato tanto a tanti e tante.

Tante altre e altri ebbero la fortuna di conoscerti meglio: li ho sentiti parlare di te e ricordarti, li ho ascoltati.  Tantissime e tantissimi, li ho ascoltati, ti hanno conosciuto con le tue parole e si sono stretti tra loro perché sappiamo che il prezzo lo abbiamo pagato e che al mondo nessuno deve più essere sfruttato.

Ti abbraccio.

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