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Cancel culture: cambiamo la storia

di Marcello
Pesarini

Un fenomeno attraversa il mondo odierno facendo presa più di una ventosa per il suo richiamo verso tutte le coscienze e non può essere ignorato: la cancel culture.
Non analizziamo le reazioni immediate sia di ripulsa sia di adesione ideologica in una serie di scelte ritenute salvifiche ed improcrastinabili da chi le compie, perché è utile contestualizzarne il peso, ormai durevole negli anni.

Premetto che negli ultimi decenni, dal 1980 in poi, si è proceduto da parte del capitale, anche sotto mentite spoglie, alla demolizione non scientifica ma emotiva delle ideologie collettiviste come il socialismo, che tanta civiltà e crescita di coscienze aveva dato all’umanità, del femminismo, delle scelte ambientaliste, dei diritti civili e dell’autodeterminazione sessuale.
Se i valori sopra elencati non sono stati portatori di cambiamenti epocali in brevi periodi perché richiedono anni per l’accumulo di energie, consapevolezze, forme di appartenenza che si trasforma in autodisciplina, essi sono stati capaci di arrivare a giorni in cui, per dirla con Lenin, si sono conquistati anni.
L’ondata di veleni espressa nei confronti di tante forme di associazione ha tolto, con l’aiuto dei mezzi d’informazione classici e dei social, un alfabeto alle nuove generazioni e ha influenzato pericolosamente la nascita autonoma di un linguaggio e pratiche in cui ritrovarsi, privati volutamente di narrazione storica.
Se le nuove generazioni, Z, in precedenza X e Millennials, subiscono un velocissimo processo di cancellazione della memoria, quelle immediatamente precedenti sono state condotte per mano su questa strada, tanto da immaginare ad esempio l’ingresso nel mondo del lavoro molto facile di coloro che avevano partecipato alle lotte del 68 e 77. Di queste generazioni, non certo depredate dalla speranza di futuro come le attuali, è corretto raccontare lo spirito con cui si inventarono un’occupazione o rinunciarono ad un’altra più garantita ma più inquadrata nel sistema che avevano contestato, come la nascita del Terzo Settore, cooperative e associazioni figlie anche delle esigenze nate dalle lotte della Psichiatria Democratica, un nome su tutti Basaglia.

Tornando al presente, rileva un articolo molto acuto letto su una mailing list che le masse apparentemente amorfe e addormentate perché spogliate di strumenti di esame del mondo circostante e bombardate da input che regolano anche il loro tempo libero subiscono quasi un risveglio di quegli istinti che erano stati lasciati agli animali, e reagiscono quando meno lo si aspetti. Coraggio.
Partiamo dalla fucina di questi cambiamenti, il Nord America.
Di fronte all’aumento, non casuale ma inserito nel contesto della nuova barbarie e ignoranza, di efferati episodi sistemici di razzismo, ostentati e rivendicati da chi li compiva, il mondo afro-americano si è rivoltato dopo l’assurdo assassinio di George Floyd al grido “Black Lives Matter”.
Parallelamente sono tornate a scendere in piazza le donne contro la violenza sessuale maschile, contro gli stereotipi legati al modo di vestirsi e di comportarsi, al grido “Non importa come mi vesto” e in difesa del diritto di aborto contro le decisioni della Corte Suprema in tutto il continente americano.
In un secondo momento in Europa, in Paesi come la Polonia dove il diritto di aborto ha subito duri attacchi, come negli USA, ma anche in Italia, dove tutt’ora la legge 194 è minata dalla destra politica che coniuga la figura della donna che si è fatta da sé con il patriarcato e la sacra famiglia, dalla crescente presenza di medici “obiettori di coscienza”, e dalla rinuncia di coloro che praticavano gli aborti perché erano ridotti a svolgere solo quelle mansioni, e perciò anch’essi discriminati.

I diritti delle donne, la stessa dialettica di genere inserita nei tempi di vita, di lavoro e cura, stanno subendo pericolosi arretramenti, in controtendenza con l’uso quasi ostentato ma spesso di facciata di un linguaggio politically correct.
Per respingere attacchi che minano alle fondamenta le conquiste sono necessarie alleanze fra generazioni e classi subordinate, non si possono riprendere le battaglie storiche senza un riferimento dialettico tipico dei movimenti novecenteschi.

Proviamo a seguire la narrazione senza stravolgerla.
Negli USA e nel mondo anglosassone le ribellioni hanno colpito effigi, statue, tabelle stradali riconducibili al razzismo, allo schiavismo che il mondo, soprattutto occidentale, aveva assorbito per convivere con esse: parliamo di Abramo Lincoln, Winston Churchill, e tanti altri, o peggio dichiaratamente maschilisti e razzisti come Indro Montanelli, sempre accettato nei salotti bene del nostro Paese, che tutt’ora crede che il fascismo abbia fatto tante buone cose, e tollerato per il suo maschilismo e anticomunismo arguti e ben presentabili.
Il punto da affrontare secondo me non è quanto sia lecito o meno che masse che vivono varie forme di oppressione prendano di mira in maniera liberatoria questi oggetti, quanto piuttosto non restare intrappolati in un manicheismo non storico, che vanifichi le giuste lotte, e le rimozioni che personalmente non disapprovo.
Non ci sono le condizioni per colpire di fioretto quando si ha un governo come quello di Giorgia Meloni, che è preoccupato di difendere giuridicamente, ma soprattutto dialetticamente, i propri atti di fronte a tragedie come quella di Cutro, della quale la raccolta di cadaveri dal mare è durata moltissimo. Una volta tenuto un Consiglio dei ministri nel luogo della tragedia, senza rivolgersi alla cittadinanza né alle vittime superstiti, se ne sono tornati nel castello del karaoke a stonare sulla base di una canzone che aveva illuminato la nostra gioventù, in più parlando di una ragazza che era morta di annegamento.
Partendo dalla constatazione che il mondo attuale è abitato da numerose generazioni che combattono gli stessi nemici da decine di anni, ed altre che stanno conoscendoli come tali da poco,  l’atteggiamento di chi si spaventa di fronte ad un’ondata che è presente e non è passeggera e si ritira sdegnosamente nei suoi ambiti, è sbagliato e sembra contrapporsi a chi scende in campo ed esprime la sua posizione: accettare o comunque non considerare dirimente l’attacco ai simboli e alla terminologia è un atteggiamento che mi sembra di colloquio, di confronto.
Individuiamo certamente in questa nuova spinta all’assoluto, al depurato, alla sconfitta di tutto ciò che è stato sporco, oppressivo, bianco, patriarcale, un sentimento e un comportamento liberato, fecondo, che permetta di affrontare collettivamente, in maniera attuale la società utilizzando le nuove forme di comunicazione.
La società da combattere è deficitaria di prospettive per le nuove generazioni e non più capace di permettere una salubre permanenza per le precedenti: lo vogliamo vedere come punto d’unificazione e non di divisione?
Acquistano peso e prospettiva le lotte per le energie rinnovabili, il rifiuto del green washing compiuto dai grandi gruppi industriali, come la contestazione di lavori pagati a numero di pezzi prodotti come tutto l’e-commerce e le consegne a domicilio del cibo.
Stiamo parlando di un’economia che tende a isolare i lavoratori e le lavoratrici fra di loro, in modo da non poter individuare né una controparte né un nemico ideologico, raffigurato con una simbologia.

Vediamo assieme cosa avviene.
Proviamo a porre l’accento sulla sconfitta e non sulla sostituzione simbolica, altrimenti rischiamo di sconfinare nel campo letterario a operazioni simili in tutto e per tutto a quelle che George Orwell prefigurava nel suo 1984, che non a caso ha avuto il ruolo di ispirazione di numerose opere, esprimendo il concetto di regime che riscrive la storia, con preciso riferimento allo stalinismo.
La semplice sostituzione, cioè il riscrivere la storia, è operazione con intenti reazionari  espressa più volte ed in maniera smaccata dai regimi stalinisti nel 900; oggi viene perpetrata in maniera più sottile agendo sull’analfabetismo di ritorno, quello del presto e subito, assieme alla lotta alla memoria, spesso denunciata in Italia dall’ANPI, attraverso l’attacco ora all’antirazzismo e all’antisemitismo per poi negare e riscrivere l’origine e le idee che stanno dietro alla seconda guerra mondiale.
Tutti movimenti hanno i loro scheletri negli armadi. Ricordiamo che il termine “negro”, che negli USA coincide con “nigger”, veniva usato in Italia fino agli anni 70-80 da poeti, artisti, musicisti che certo non avevano intenzione di rivolgersi con disprezzo verso chi poi è stato definito, forse con più ipocrisia, colorato, fino alla necessità attuale di bypassare la definizione in base alla pigmentazione, almeno nella sua accezione inesatta di “razza”.
È sufficiente leggere i diari ricostruiti da tante donne che hanno fatto fronte contro il nazismo e l’antisemitismo per leggere la loro importanza, la loro sofferenza in prima linea, non in retrovia come a lungo si è detto, ed accorgersi come ogni tempo ha la sua rivalutazione, non certo paternalistica, del loro ruolo.
Eppure quanto è stato fatto insieme da antifascisti e antifasciste è l’Italia democratica, che resisterà fino a quando ricostruirà gli anticorpi necessari, di certo basandosi sul lavoro e sul rinnovamento della democrazia, come dei tempi di vita e di lavoro.
Non tutte le donne, men che meno gli uomini, sono state capaci di stare al passo con le nuove autonomie, con “il parlar di sé da sé” del dopoguerra ed ancora di più degli anni 90 del 900.
Ma tutti e tutte ne giovano, anche se più volte noi maschi siamo recalcitranti a riconoscere un percorso che ci ha destrutturato e messi in discussione, per il solo fatto che non proveniva da noi, anzi ci contestava.
Oggi la sfiducia nella delega da parte delle donne nei confronti degli uomini e delle nuove generazioni nei confronti delle precedenti è vera e motivata.
Viene però suscitata con abilità dai nemici delle nuove generazioni che si ribellano, cioè dai difensori delle classi dominanti, paternalisti neanche troppo dissimulati, che ben difficilmente danno indietro lo scettro del potere.
Nell’ecologismo, come in molti campi, emergono le donne e prendono l’iniziativa.
Siamo tutti e tutte poco incisivi nei movimenti contro la guerra, sconfitti sul momento dalla propaganda guerrafondaia e dall’incapacità di dare un respiro unificante al pacifismo, che riesca a penetrare i movimenti ambientalisti, la lotta al lavoro povero, ritrovare le sue basi nel femminismo.

È una necessità delle varie generazioni quella di far camminare l’esigenza di pulizia morale assieme alla riappropriazione di valori democratici, antirazzisti e femministi.
La società è articolata, il personale resta politico anche in una società polverizzata, ma la riscrittura di opere teatrali e di romanzi, per omettere termini considerati negativi ed escludenti oggi, corre il rischio di passare da un dovere imposto per suscitare effetti ridicoli.
Così Matilda di David Rohl legge  Jane Austen, e non Conrad e Kipling, considerati violenti e non coincidenti col personaggio femminile. Personaggio di che epoca e deciso da chi?
Un conto è non volere i calendari con l’effigie di Mussolini, che temo vadano a ruba da soli, e altro è non conoscere su cosa si è basata la sua ascesa.
Anche gli anni 70 hanno avuto la loro agiografia di sinistra: i Led Zeppelin furono chiamati a suonare al Velodromo Vigorelli di Milano come ospiti durante una tappa del Cantagiro, e al termine della loro breve presenza gli spettatori di estrema sinistra che volevano che il concerto continuasse si scontrarono con la Polizia, Gianni Morandi cercò di fare da paciere all’improbabile grido di “Compagni!” e ci fu chi volle vedere in Robert Plant che soffiava sui lacrimogeni un riferimento a Miracolo a Milano.
A 50 anni di distanza, ci sarebbe da riscrivere tutto perché non ci crederebbe nessuno.

Divertissement a parte, c’è una profonda riflessione da fare sul manicheismo che tutt’ora pervade le religioni nordamericane anche se gli  USA sono il Paese dove Antonio Gramsci, che da noi è spesso trattato da cimelio, è oggetto di profondi studi da parte di economisti e delle nuove generazioni.
Chi pensa la propria lotta come condotta da un unicum che non commetterà errori, che non scenderà a compromessi, e lo fa inconsciamente, ripete quanto successo in passato, e rischia di cadere nei tranelli  tesi a rendere l’umanità schiava di tanti burattinai solerti e invisibili.
Ma è una battaglia di tutti: usiamo le nostre intelligenze, non rinunciamo a nessuna delle nostre capacità, perché ne avremo bisogno.

Marcello Maria Pesarini

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