E’ da poco trascorsa la Giornata Mondiale per l’Ambiente, che le Nazioni Unite hanno dedicato al tema della ‘rigenerazione’ oltre che alla tutela degli ecosistemi.
A questo punto di piena crisi climatica con ricadute globali come la stessa pandemia, non basta infatti la semplice conservazione dello status quo. Perciò, nel Programma Ambientale ONU si fa esplicito appello al ripristino con #GenerationRestoration per questa sfida epocale.
Un ecosistema è l’unità ecologica fondamentale, una comunità di organismi viventi di specie diverse, che vivono in un particolare ambiente fisico.
Sebbene i fenomeni ambientali non riconoscano i confini politici, è interessante vedere come le organizzazioni delle comunità umane, i vari stati o gli enti internazionali come l’UE organizzino questo sistema sulla base di priorità politiche, spesso altisonanti ma per larga parte inefficaci in termini di tutela dei beni comuni.
Negli ultimi decenni le attività umane hanno eroso le risorse naturali e alterato in modo significativo i tre quarti degli ecosistemi terrestri e i due terzi degli oceani, distruggendo gli habitat, sovrasfruttando le risorse ed emettendo gas climalteranti e altri inquinanti.
Secondo Save The Children ben 710 milioni di minori vivono nei 45 Paesi a più alto rischio di subire l’impatto della crisi climatica, il 70% dei quali sono in Africa, dove rischiano di soffrire la carenza di cibo, malattie e altre minacce per la salute. L’Organizzazione Mondiale della Sanità stima che la crisi climatica porterà a circa 95.000 morti in più all’anno per denutrizione tra i bambini fino ai 5 anni entro il 2030 e 24 milioni in più entro il 2050. Inoltre, la crisi climatica ha un impatto più forte sulle bambine che hanno meno probabilità di rientrare a scuola dopo un disastro. Come in Pakistan dove, dopo l’alluvione del 2010, il 24% delle bambine al sesto anno di scuola ha abbandonato gli studi rispetto al 6% di bambini.
Fra le priorità dell’agenda del millennio delle NU anche l’investimento di 1miliardo di dollari per interventi nell’arco di dieci anni proprio per il recupero di ambienti devastati. Gli sforzi politici multilaterali intendono raggiungere benefici tangibili almeno per il 2030, mediante il ripristino di 350 milioni di ettari di ecosistemi terrestri e acquatici degradati, rimuovendo fino a 26 miliardi di tonnellate di gas serra dall’atmosfera.
Tuttavia, non basta il ripristino di foreste ed habitat naturali distrutti dal capitalismo predatorio e dalle speculazioni delle multinazionali, che vanno dalle pratiche di land-grabbing, passando per l’estrazione mineraria massiva, fino alla desertificazione.
Nel medio-lungo periodo la prospettiva deve essere quella della decarbonizzazione delle economie verso modelli di sviluppo circolare, da affiancare nel breve periodo appunto ad azioni di ripristino.
Soltanto la combinazione di entrambi questi fattori può aiutare ad evitare l’estinzione prevista per il 60% della biodiversità, sostenendo con programmi agri-forestali la sicurezza alimentare per 1,3mld di persone sulla soglia della penuria di cibo.
Anche in questo caso però gli interrogativi sulla portata della digitalizzazione, sul suo reale impatto per l’ambiente e la salute, oltre ai dubbi sulle priorità industriali di molti stati, al di là di impegni generici, sembrano destare le maggiori preoccupazioni.
In un quadro che vede almeno l’Italia, di certo non da sola, raggiungere l’overshoot-day, ovvero la data di superamento delle risorse disponibili annualmente già per metà maggio, rispetto alla media dei paesi UE, tendenzialmente orientati verso la fine di luglio, si capisce come la sola tecnologia non garantisca certo una soglia di salvaguardia adeguata, senza un radicale cambio del modello produttivo. La stessa digitalizzazione degli acquisti con l’e-commerce, se da un lato ridimensiona l’impatto di grandi magazzini – ponendo però criticità sul piano dell’occupazione di addetti -, dall’altro impone costi ambientali di consegna al dettaglio senz’altro imponenti e spesso poco o punto considerati nel computo finale.
Nell’ambito delle misure di Green Deal Europeo, l’UE ha posto fra le priorità del quadro pluriennale di bilancio quella della transizione ecologica, raggiungendo una quota fino a mille miliardi di finanziamenti fra programmi comunitari e leva finanziaria degli investimenti pubblici e privati. Fra i primi si contano il JustTransitionFound, InvestEU ed Horizon Europe, che affiancano il programma appositamente dedicato all’ambiente ed al clima, ovvero LIFE con una dotazione di 3,5mld.€ per il primo capitolo e 1,9mld.€ per il secondo sull’azione climatica.
In questo senso gli ambiziosi obiettivi riguardano appunto le modalità di implementazione della transizione verde, come la promozione dell’economia circolare, della sostenibilità del sistema alimentare, della riconversione ecologica delle PMI, con particolare attenzione alla biodiversità.
Tuttavia dai piani nazionali attualmente in fase di valutazione da parte della Commissione, come per il PNRR dell’Italia, sono diverse le misure riguardanti soprattutto le infrastrutture e le grandi opere dal carattere apparentemente obsoleto, dal nucleare all’alta velocità, solo per fare alcuni esempi.
Sul piano delle relazioni internazionali invece particolarmente importanti sono gli accordi bilaterali, come per la collaborazione strategica fra UE ed l’India, rilanciata alla fine dello scorso aprile, sia in termini di rapporti commerciali, che sulla lotta al cambiamento climatico. Diverse sono le cause che hanno portato all’aumento del commercio e degli investimenti tra i due soggetti internazionali: incrementi considerevoli anche del 72% negli scambi di prodotti negli ultimi dieci anni e l’afflusso di investimenti esteri da parte dell’UE passato dall’8% al 18%; facendola così diventare il più importante finanziatore estero dell’India. In termini di emissioni di gas serra le due entità sono rispettivamente al terzo e al quarto posto al mondo e nella transizione verso un’economia sostenibile.
A preoccupare seriamente la Sinistra Europea è invece l’accordo di libero scambio fra UE e Mercosur, ancora in alto mare, ma dal potenziale dirompente sul piano del lavoro e dell’agricoltura, soprattutto per i risvolti della blanda legislazione sui pesticidi nei paesi produttori dell’America Latina, dove gli stati europei foraggiano ben il 25% delle emissioni di gas serra prodotte nella filiera e sono i secondi responsabili in ordine di grandezza delle operazioni di deforestazione in corso.
Cambiamenti ed opportunità a livello ambientale sono al centro del convegno orgnanizzato dallo European Forum giovedì 10 giugno, con particolare attenzione alle prospettive che si sono aperte in seguito alla fine della presidenza Trump, alla rinnovata adesione degli Stati Uniti alla Convenzione di Parigi sul Clima e alla nuova fase di relazioni UE-USA.
In una fase in cui il multilateralismo sembra cedere il passo a scenari maggiormente decisivi a livello regionale, senz’altro sfide dalla portata mondiale come quelle sull’ambiente e sul clima risentono degli stravolgimenti diplomatici e dei programmi dei maggiori attori internazionali.
INFO:
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