focus

Buon 20 giugno

di Stefano
Galieni

di Stefano Galieni –

Cronaca italiana. 43 richiedenti asilo rinchiusi ancora sulla nave che li ha soccorsi e che si è rifiutata di portarli in Libia (ritenuto dalla Corte Europea, e non dai soliti bolscevichi, porto non sicuro). Sua maestà il principe di felpa e nutella ha graziato 10 fra donne, minori e malati, che ora sono accuditi a Lampedusa e poi dimostrando una padronanza del ruolo ha dichiarato “quella nave, la Sea Watch 3, può restare al largo di Lampedusa anche fino a gennaio”. In applicazione del decreto sicurezza bis ha emanato un ordine perentorio immediatamente controfirmato dagli alleati a 5 stelle: “la nave di quella Ong non ha diritto di attraccare, di sostare, di navigare”. Quindi l’equipaggio potrebbe decidere di farla volare o di andare a picco? Ma mentre il potente italico è volato a Washington per ottenere l’imprimatur di Trump, ovvero ricevere ordini cosa a cui tanti governi precedenti erano abituati, venivano a galla (restando in mare) due fatti, connessi al tema e apparentemente contraddittori. Da una parte la Germania: 50 (cinquanta) città tedesche si sono offerte di ospitare i profughi, qualche sindaco si è dichiarato disponibile anche a provvedere al loro trasporto dall’Italia. L’omologo tedesco dell’inflessibile uomo del Viminale intende dissuadere i sindaci, aprendo uno scontro non solo fra istituzioni federali e locali ma fra le persone. E in effetti bisogna comprendere il ministro Horst Seehofer. Dipende infatti anche da lui il fatto che i “dublinati” (coloro che obbligati a chiedere asilo nel primo paese d’approdo, l’Italia, sono riusciti a raggiungere un altro paese, la Germania, siano stati rispediti a frotte negli aeroporti italiani. Repubblica ha raccontato e documentato quello che a molti era noto, 1.200 persone sedate e caricate negli aerei affinché il loro viaggio di ritorno avvenisse “tranquillamente”. Meno enfasi sul fatto che ad esempio queste persone, una volta giunte a Fiumicino (Roma) si ritrovino abbandonate a se stesse. Soltanto la rete solidale, per quanto slabbrata e fragile dei movimenti e dell’associazionismo riesce ad intervenire. Ieri sera, da Baobab Experience, sono partiti per andare a prendere in aeroporto M., giunta in Italia minorenne, poi scappata in Germania, che si è fatta 5 mesi di carcere per essersi opposta all’identificazione e che, al compimento del diciottesimo anno, ha ricevuto in regalo dai “buoni governanti germanici” un biglietto aereo di solo andata, destinazione Roma. Poteva andarle peggio, in molti vengono rimandati dalla Germania, dall’Olanda, dalla Danimarca, in paesi “sicuri” in cui non c’è più traccia di guerra come l’Afghanistan. E andrà probabilmente peggio nei prossimi mesi. Il regime di Isaias Afawerke, presidente “provvisorio” dell’Eritrea dal 1993, sta cercando di riconquistarsi una facciata democratica. Sono anni che dal piccolo paese del Corno d’Africa, 10 milioni di abitanti, si fugge con una media di 5.000 persone al mese. Sono soprattutto giovani come M che non vogliono essere condannati a fare il servizio militare a vita. È il paese che probabilmente ha pagato negli ultimi 6 anni il numero di vite più alto nella fuga. Uomini, donne e spesso anche bambini precipitati nella fossa comune del Mediterraneo.
O forse ci sbagliamo. Sono vittime dei governi precedenti. Con i nuovi non si muore più perché tenere chiusi i porti dissuade i trafficanti. Già, che fortuna che hanno i fuggitivi: muoiono di nascosto, perché sulle coste libiche non ci sono quasi più testimoni dei naufragi, mancando tanto le navi della marina, della Guardia di Frontiera europea e di molte Ong. O muoiono lontani nei centri di detenzione libici, che in TV si ha il coraggio di descrivere come monitorati dall’Unhcr (almeno ci si documentasse prima di sputare odio), o nei ghetti al confine in Niger, nel caos che regna ancora in Sudan. Si crepa, ma quelli sono ancora più invisibili, nel tentativo di forzare e riforzare la rotta balcanica. Lo fanno in silenzio e in silenzio vengono rispediti via. Non fanno notizia.
Tutto questo per dire “buon 20 giugno” (Giornata mondiale del rifugiato). Per dirlo ai tanti che sulla data faranno dichiarazioni retoriche e preconfezionate. Del resto anche il ministro devoto mariano ripete che lui i “veri rifugiati” li accoglie. Un intenditore, il ministro. Per dirlo a coloro che utilizzeranno la data per lavarsi la coscienza, per affermare che questo è il problema del secolo e dovremo affrontarlo con pacatezza e severità, lontani da ogni ideologia. I richiedenti asilo presenti in Italia sono oggi lo 0,27 della popolazione residente. Nel resto d’Europa a malapena si arriva allo 0,3. Numeri che neanche in borsa susciterebbero tanti allarmi. È questo il problema del secolo? O forse il fatto che guerre mai domate, combattute anche grazie alle armi caricate sulle navi per cui a chiudere i porti non ci va un ministro ma soltanto lavoratori portuali e solidali come è accaduto recentemente a Genova e a Marsiglia, hanno portato a 70 milioni il numero di persone in fuga dal proprio paese, di cui soltanto una percentuale infinitesimale cercherà di raggiungere il continente più ricco? O forse è problema del secolo il fatto che, grazie a numerosi fattori causati non certo da “pericolosi clandestini”, intere aree del continente africano, dal lago Chad al delta del Niger a buona parte del Sahel, al Mozambico, stanno divenendo inadatte alla vita umana e impongono di fuggire? O crisi economico politiche devastanti come quelle in Egitto, Tunisia, paesi del Golfo di Guinea, in cui la parola futuro oggi non ha diritto di essere declinata. Per chi prova a pensare ad un futuro decente, che valga la pena vivere, i 43 della Sea Watch, i dublinati non solo tedeschi, i rinchiusi nei CPR o negli hotspot (altro fallimento annunciato) sono solo la punta più visibile e dolorosa di un problema da affrontare con altri mezzi e con altre strategie politiche ed economiche incompatibili con il neoliberismo. Dedicato anche a chi ancora pensa che migrare sia un “diritto liberale”.