La casa editrice Bompiani, nella collana Narratori Stranieri e per la traduzione di Ileana Zagaglia, pubblica “Alla linea – Fogli di fabbrica” di Joseph Ponthus,1 un libro che fu dato alle stampe in Francia nel 2019. Ne proponiamo una recensione sia per il valore dell’opera sia per lo sguardo che ci regala sulla condizione operaia contemporanea.
Baptiste Cornet -che con una raffinata scelta prenderà il nome d’arte di Joseph Ponthus2 – era nato nel 1978 a Reims. Figlio di una famiglia né agiata né di grande cultura, grazie a una borsa di studio aveva potuto frequentare ottime scuole e conseguire titoli di studio di alto livello in campo letterario.
Si impiegò poi come educatore specializzato del Municipio di Nanterre per occuparsi di giovani in difficoltà. Con quattro di loro fu autore di Nous… la cité, pubblicato nel 2012 dalle Éditions La Découverte. Si tratta di un libro che è il risultato di laboratori di scrittura, ma che costituisce anche una testimonianza sulla vita quotidiana dei giovani e sul loro rapporto con la società.
Nel 2015 l’amore e il matrimonio lo portano a Lorient, in Bretagna, allontanandolo dalla banlieu e dalle sue lotte (Cornet era un militante della sinistra radicale). Dal momento che non riesce a impiegarsi come educatore si iscrive in un’agenzia interinale e diviene operaio a tempo determinato, ovvero con contratti settimanali o alla meglio mensili. Lavora dapprima in una fabbrica di lavorazione del pesce e poi in un macello.
Per due anni Joseph Ponthus combatte a ogni fine turno con la stanchezza che lo sfinisce
“Le ore passano non passano sono perso
Sono in uno stato di dormiveglia estatica di veglia paradossale
quasi come quando ti addormenti e i pensieri vagano seguendo
il lavoro dell’inconscio
Ma non sogno
Non ho incubi
Non mi addormento
Lavoro”
per scrivere ciò che la fabbrica gli restituisce in un corpo a corpo ininterrotto: sono schiaffi piuttosto che esperienze, vertigini piuttosto che sensazioni, un gorgo che ingoia il tempo piuttosto che un pesante orario di lavoro.
Nel 2019 le pagine composte in questi anni vengono pubblicate con il titolo À la ligne, Feuillets d’usine, dalle Editions de la Table ronde. Mentre il sottotitolo “volantini di fabbrica” si spiega da solo, per quanto riguarda il titolo va ricordato che la ligne è sia la catena -cioè la linea di produzione- che il capoverso tipografico, quello che comunemente si dice un “a capo” come la traduzione italiana opportunamente mette in rilievo.
La pubblicazione del libro ha due effetti: innanzitutto Joseph Ponthus viene licenziato dopo aver consegnato una copia del libro alla direzione della fabbrica, poi Ponthus sperimenta il successo letterario perché la sua opera riceve riconoscimenti e premi. 3
Joseph Ponthus morirà presto: la sua casa editrice, la Table ronde, il 14 febbraio 2021 scriverà questo messaggio su twitter “È con immenso dolore che abbiamo appreso della morte la notte scorsa di Joseph Ponthus, all’età di 42 anni, dopo una feroce battaglia contro il cancro. I nostri pensieri sono con sua moglie Krystel e sua madre, di cui condividiamo il dolore.” 4
Alla linea, volantini di fabbrica è un’opera importante a partire dalla forma: è stato definito un romanzo-poema working class e in queste definizioni c’è molto di vero. L’opera racconta di un percorso che si può ben definire un viaggio dell’autore dentro l’esperienza del lavoro di fabbrica e il fatto che non ha punteggiatura ma è una sequenza di frasi ricorda una poesia in versi liberi e rafforza il paragone con il poema epico. Peraltro, nel capitolo 41 sarà lo stesso Ponthus a suggerirci
“La fabbrica potrebbe essere il mio Mediterraneo su cui traccio
le rotte perigliose della mia Odissea
I gamberetti le mie sirene
I buccini i miei ciclopi
Il guasto del nastro trasportatore solo un’altra tempesta
La produzione deve continuare
Sognando Itaca
Nonostante la merda”
Però Alla linea si occupa anche di una dimensione interiore, di un livello di rispecchiamento e di riflessione sull’esperienza e così all’andamento epico si intreccia il dialogo interiore proprio del romanzo. Un romanzo epico working class, dunque, di un lavoratore francese del primo ventennio del 2000. Una condizione di classe che ha visto da tempo la massiccia introduzione del lavoro interinale, intermittente e precario e la frammentazione e la stratificazione della condizione operaia. Ma, al di là della composizione di classe e della particolare socializzazione delle forze produttive, la fabbrica come divoratrice di vita e come generatrice di alienazione è sempre la stessa. Essa, i suoi ritmi e la sua urgenza vuota hanno riflessi anche sulla lingua: Joseph Ponthus scrive
“Scrivo come penso sulla mia linea di produzione vagando tra i pensieri da solo determinato
Scrivo come lavoro
Alla catena
Alla linea e sulla linea a capo”
E inoltre dirà in una intervista “La fabbrica […] detta il ritmo: su una linea di produzione, tutto avviene molto velocemente. Non c’è tempo per mettere delle graziose frasi subordinate. I gesti sono meccanici e i pensieri vanno alla linea.”
Queste dichiarazioni vanno messe in relazione con altri versi -del capitolo 43 e che citeremo più oltre- nei quali si fa riferimento a Georges Perec, esponente di spicco del Ouvroir de Littérature Potentielle (officina di letteratura potenziale) ovvero delle tecniche della scrittura vincolata o a restrizione.
Non si tratta dunque di una analogia semplice quella che in Ponthus tiene assieme il gesto meccanico dell’operaio alla catena con la scrittura di À la ligne. L’opera diventa sì una fetta di autobiografia autentica, ma anche il frutto di precise scelte letterarie. Non si creda però che questo livello intellettuale sottragga qualcosa alla freschezza del racconto o alla sua leggibilità. La narrazione del percorso di vita dell’autore si snoda con naturalezza, rivestendo con sobria solidità la sua cultura, il suo sostrato di scelte e convinzioni e, in definitiva, la sua posizione esistenziale.
Il percorso di lotta di Ponthus si compie così quotidianamente nelle fabbriche bretoni; addirittura nei week end quando la fabbrica si dilata e va a occupare anche il tempo libero. Persino i mesi in cui Ponthus torna a fare l’educatore non sfuggono alla relazione e al confronto con il lavoro di fabbrica e, a paragone con la radicalità di quella condizione, perdono senso, si sgonfiano.
Questo percorso di lotta propone due momenti decisivi che invitiamo a rintracciare ciascuno a modo proprio nella lettura del libro.
Il primo a nostro modo di vedere si trova nel capitolo 43 quando si esplicita il carattere esistenziale, limitativo e disciplinare (ma anche artistico, come abbiamo visto all’inizio) dell’esperienza operaia di Ponthus:
“<<Di questo luogo sotterraneo, non ho niente da dire. So che ha avuto luogo e che ormai la traccia è scritta in me e nei testi che scrivo.>>
Georges Perec
Les Lieux d’une ruse
La mia vita non sarebbe stata la stessa senza la psicoanalisi
La mia vita non sarà mai più la stessa dopo la fabbrica
La fabbrica è un lettino”
Il secondo si manifesta –oltre che in altri luoghi del romanzo- esplicitamente nel capitolo 39 in un dialogo con il cagnolino Pik Pok, quando la gioia buca la desolazione della condizione di sfruttato:
“Come si può essere così contenti per la stanchezza e un
mestiere disumano
Ancora non lo so
Pensavo di andarci
Solo per poter pagare le tue crocchette
Il veterinario quando serve
Non per questa fatica né questa gioia”
Per chi avrà seguito il percorso di Ponthus nel gelo da frigorifero tra gamberetti e merlani, tra il sangue nel mattatoio e in bicicletta sotto la pioggia per le strade di Bretagna, nelle ore peggiori della notte e quando lo spazio una sigaretta è tutta la pausa vitale sottratta al lavoro, sarà chiaro che questa gioia non nasce da una introiezione della sofferenza. Non è il fantasma estetico di Apollinaire volontario nelle grande guerra quello che ritorna, sebbene più volte evocato nella rappresentazione della trincea. Si tratta invece della gioia della irriducibilità operaia che pagina dopo pagina si afferma attraverso la resistenza, il rifiuto, il furto, lo sciopero solo intravvisto in quanto interinale, la solidarietà operaia come piani di lotta: l’unica acquisizione su cui costruire relazione umana dentro e fuori la fabbrica.
Giancarlo Scotoni
- ISBN-13 978-8830109490[↩]
- Pontus de Tyard (1521 – 1605) è stato un poeta, filosofo e vescovo francese, interno al gruppo della Pléiade. Pontus vedeva “l’atto della poesia come una forma di ispirazione divina, un possesso di muse simile alla passione romantica, al fervore profetico o al delirio alcolico.” da https://it.upwiki.one/wiki/La_Pl%C3%A9iade e cfr. anche con la nota 3[↩]
- il Grand Prix RTL-Lire, il premio Eugène-Dabit per il romanzo populista e il premio per gli studenti delle scuole superiori 2021-2022.[↩]
- Il tempo perduto di uno scrittore operaio di Alberto Prunetti comparirà su jacobinitalia.it il giorno seguente [↩]