Fortunatamente finora il Covid-19 si è diffuso poco nei paesi africani. Più nelle capitali, molto meno nelle campagne e nelle piccole città. Lo scenario catastrofico internazionale ha risparmiato l’Africa, nonostante le terribili previsioni. Per quali motivi? Forse l’immagine dell’Africa deteriorata – e piena di pregiudizi – che si è creata si trasformerà in una prospettiva positiva?
Vediamo i numeri del contagio. Tenendo presente che l’Africa è un continente enorme e complesso, e non possiamo parlarne come se fosse un Paese, e soprattutto ignorando le questioni sociali ed economiche che possono essere molto diverse da una nazione all’altra. In Senegal, uno dei paesi africani più colpiti, oltre tre mesi dopo il primo contagio, i casi confermati nel comunicato dal governo al 15 giugno 2020 sono 5.173, di cui 3.424 guariti, 64 morti e 1.684 in trattamento. Un tasso di letalità tra i più bassi al mondo, al di sotto dell’1%.
In Madagascar al 16 giugno 2020 i casi positivi sono 1.317 e 12 i morti, e le zone a rischio sono soprattutto la capitale Antananarivo e la città di Tamatave. Anche qui il tasso di letalità è 0,94%.
In Costa D’Avorio sono 5.439 i casi positivi, di cui 2.590, e 46 decessi.
In Etiopia dal bollettino del 15 giugno risultano: 3.521 casi positivi confermati su 186.955 test effettuati, di cui 417 guariti, 620 ricoveri, 60 morti. Il 56% dei nuovi casi riguardano il distretto di Addis Abeba. 75 nuovi casi il 15 giugno. Quindi 2.839 casi attivi in Etiopia.
È di oggi la notizia che i tre paesi con maggiori contagi sono: Sudafrica (1424 morti e oltre 65mila contagiati), Egitto (1484 morti e oltre 42.000 casi) e Nigeria (399 morti e 15.181 casi). Questi tre paesi hanno il 70% del totale del continente, mentre gli altri
51 paesi hanno il 30%. L’eccezione che conferma la regola. Sono numeri che nessuno si aspettava. In Senegal e Madagascar
Sono numeri che nessuno si aspettava. In Senegal e Madagascar i primi contagi registrati erano di persone occidentali provenienti dall’Europa. Hanno chiuso gli spazi aerei già tra il 15 e il 20 marzo, sono attive le misure di distanza fisica, lavarsi le mani frequentemente con acqua e sapone, stare a casa ed evitare assembramenti, portare la mascherina.
Come si può chiaramente evincere, i numeri sono lontanissimi dalle decine di migliaia registrati nel resto del mondo. Una differenza enorme. Per quali motivi il Covid-19 ha colpito l’Africa poco e in ritardo, senza la gigantesca paura che ha sequestrato il resto del mondo? Sono molteplici.
Gli africani sono abituati a combattere le epidemie cicliche, la malaria, l’ebola, l’annuale epidemia di meningite, di cui quasi nessuno si preoccupa, e le cui devastazioni causano milioni di vittime ogni anno. Quindi hanno una resistenza, probabilmente anche un’immunità genetica al SARS-CoV-2, che gli occidentali non hanno. Certo, è vero che il continente africano ha un servizio igienico-sanitario obsoleto, è vero che i posti di terapia intensiva sono pochissimi, gli esperti finora hanno ignorato gli immensi problemi igienico-sanitari causati dalla mancanza di accesso all’acqua potabile. Ma non si può generalizzare. La resistenza degli africani è un primo indiscutibile motivo.
Il clima: le temperature calde potrebbero rendere il virus meno attivo. E la giovane età della popolazione africana: l’età mediana è di 19,7 anni, il 60% ha meno di 25 anni. Il virus colpisce soprattutto gli anziani con malattie collaterali importanti.
L’immagine pregiudiziale è che l’Africa sia il continente della fame, delle guerre, della povertà, dell’ignoranza. Invece sono ormai 40 i paesi africani in grado di utilizzare test specifici per il Covid-19 (dati dell’Ufficio della Regione Africana dell’Organizzazione Mondiale della Sanità). I paesi africani hanno dimostrato un’alta competenza scientifica e la capacità di trattare con il Covid-19. Per esempio, la Facoltà di Medicina di Dakar e l’istituto Pasteur, in Senegal, sono citati tra i migliori del mondo. Poiché la gestione delle epidemie è ciclica, la competenza è disponibile ed efficace, ecco perché la paura non si è impadronita né dei medici, né delle persone. L’uso tempestivo dei protocolli di cura è stato in grado di svolgere un ruolo importante nella gestione della pandemia in Africa. E in Africa sono state usate piante medicinali ancestrali come misura preventiva e curativa, note per rafforzare il sistema immunitario. Ad esempio l’Artemisia con foglie di neem in Senegal, e l’Artemisia Afra in Madagascar.
L’inquinamento non tocca la maggior parte del territorio dei paesi africani. Non è un caso che in Italia la Lombardia continua ancor oggi ad essere la regione più contagiata. La mancanza di inquinamento è un’altra differenza con l’occidente contagiato.
Nel pacchetto di misure di fine marzo nei paesi africani era stata inclusa anche la chiusura dei luoghi di culto. Tutt’altro che scontata, in paesi in stragrande maggioranza musulmani, in cui le moschee scandiscono il ritmo delle giornate, e la componente religiosa è spesso fondamento dell’identità sociale oltre che individuale. Misura impensabile senza l’appoggio dei leader spirituali, attori sostanziali nel quadro politico nazionale. Anche questo è un motivo che ci indirizza verso il cambiare rotta, cancellare la discriminazione verso gli altri, i diversi, i musulmani, e aprire al dialogo interreligioso.
Non è possibile, in questo momento, fare un’analisi definitiva e approfondita degli impatti della pandemia in Africa. Anche perché in Africa ci sono ancora: ampia parte della popolazione affetta da malnutrizione; sobborghi sovraffollati e malsani; fragilità delle strutture sanitarie; conflitti armati in alcuni paesi. Forse un impegno dei paesi occidentali di cooperazione vera, paritaria, non colonialista e dal basso potrebbe dare una mano a risolvere questi problemi. Ma i protagonisti sono i cittadini africani. I paesi ricchi dovrebbero rispettare le risorse minerarie africane, e non sfruttarle, come per esempio nel caso dei minerali clandestini. Il mondo è interdipendente.
E l’immagine dell’Africa è anche positiva: un continente ricco non solo di materie prime, ma anche di capacità delle persone, degli uomini e delle donne. Anche l’emergenza coronavirus lo dimostra.
Concludo con le parole di una importante donna intellettuale africana, Fatoumata Kane Ki-Zerbo, che di recente mi ha scritto: “Il Covid-19ha visibilmente ribaltato l’ordine mondiale e destabilizzato la credibilità dei paesi occidentali, prima considerati come modelli di riferimento sociali, sanitari ed economici. I grandi difetti di questi sistemi, che apparivano attendibili e organizzati, ci ha rivelato che la fragilità può essere universale, nonostante le certezze basate sulla competenza scientifica e l’economia liberista dominante. Infatti il mondo scientifico continua a litigare su come sono stati serviti i potenti interessi economici legati all’industria. Le aziende farmaceutiche continuano a navigare in acque torbide ed è molto probabile che nell’enorme gamma di farmaci disponibili, abbiamo già un trattamento efficace. Tuttavia la ricerca su un nuovo vaccino sembra faccia progressi. Si alzano le voci per la gratuità mondiale del vaccino. Spero che riusciremo a ripensarci ‘umanità’ dopo questo periodo tumultuoso. Il mondo sta attraversando un altro tempo: si delineano inevitabili, nuove e diverse relazioni ed equilibri tra i paesi del Sud del mondo e quelli del Nord. La pandemia sta rimescolando le carte del mondo”. (rivista@cipsi.it)
Nicola Perrone (rivista Solidarietà internazionale, www.cipsi.it)