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Accordo sul gas tra Algeria e Italia per uscire da due gravi crisi politiche

di Alessandro
Scassellati

Diversificare i fornitori di gas naturale è diventato il mantra della politica estera europea ed italiana. Il problema è che, restando ancorati ai combustibili fossili, per non importare gas dalla Russia autoritaria e illiberale vogliamo importare più gas da altri Paesi autoritari come Algeria e Egitto nella speranza che le loro dinamiche politiche interne e le loro pulsioni geopolitiche non finiscano per metterci nei guai, generando nuove crisi, dipendenze e ricatti nel prossimo futuro. L’accordo con l’Italia per gas e altri settori economici rappresenta una boccata di ossigeno per l’élite algerina che sta cercando di consolidare il proprio potere dopo 4 anni di forte instabilità politica interna che hanno scosso dalle fondamenta un regime autoritario, repressivo e corrotto che, oltre ad essere un alleato storico di Russia e Cina, ha una ambiziosa agenda geopolitica nel Nord Africa e nel Sahel che lo pone in antagonismo con Marocco, Francia e Spagna.

Il nuovo accordo per il gas tra Italia e Algeria

Dallo scoppio della guerra tra Russia ed Ucraina, una delle priorità della politica estera italiana è diventata la diversificazione dell’approvvigionamento dell’energia, soprattutto per quanto riguarda il gas. “Non vogliamo più dipendere dal gas russo, perché la dipendenza economica non deve diventare asservimento politico”, ha detto Draghi. “Per fare questo, dobbiamo diversificare le fonti di energia e trovare nuovi fornitori”.

Per settimane il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha svolto una serie di missioni in Algeria, Qatar, Repubblica del Congo, Angola, Egitto, Azerbaijan e Mozambico. Ad accompagnarlo in questo “tour del gas” Claudio Descalzi, l’amministratore delegato dell’ENI, la multinazionale italiana dell’energia fossile che ha un posto centrale nella strategia italiana di penetrazione nel “Mediterraneo allargato” e che, come ha fatto notare polemicamente Il Foglio, una volta Di Maio e il Movimento 5 Stelle definivano “corrotta”. L’obiettivo è stato quello di creare le condizioni per firmare nuovi accordi per le forniture di gas, in modo da riempire gli stoccaggi per far fronte ai mesi freddi e al contempo ridurre le forniture russe del 50% entro il 2023 (sostituite per un terzo dall’Algeria e per il resto da altri paesi africani, compreso l’Egitto, e da Qatar e Azerbaijan).

L’11 aprile il presidente del consiglio Mario Draghi, insieme ai ministri Di Maio e Cingolani e a Descalzi, è volato ad Algeri per incontrare il presidente Abdelmadjid Tebboune e chiudere il primo nuovo accordo sulle forniture di gas metano per ridurre la dipendenza dell’Italia dal gas russo che attualmente è pari a circa il 40% delle sue importazioni1. Da notare che il viaggio di Draghi ad Algeri è stato preceduto il 30 marzo da quello del segretario di Stato americano, Antony Blinken, il quale ha sollecitato i governanti algerini ad essere disponibili a vendere più gas naturale all’Europa e a prendere una posizione di condanna della Russia. L’Algeria è tra i Paesi che hanno relazioni politiche storiche con la Russiail terzo maggior acquirente al mondo di armi russe, il primo in Africa) e che si sono astenuti nelle prime due votazioni all’Assemblea Generale all’ONU. L’Algeria ha anche votato contro la decisione di sospendere la Federazione Russa dal Consiglio per i diritti umani. Questo mentre il presidente Tebboune ha voluto discutere a lungo con Blinken dei dissidi e della rottura con il Marocco in relazione soprattutto alla questione del Sahara Occidentale, che continua ad avvelenare rapporti tra i due vicini2.

L’accordo tra ENI e la compagnia petrolifera statale algerina Sonatrach prevede maggiori importazioni di gas naturale a partire dal prossimo autunno dall’Algeria, il più grande produttore africano e il secondo fornitore di gas dell’Italia (dopo la Russia), attraverso il gasdotto Trans-Mediterraneo (TransMed/Enrico Mattei), un’infrastruttura posseduta congiuntamente da ENI (presente in Algeria dal 1981) e Sonatrach dal 1983, che passando per la Tunisia può pompare un massimo di circa 32 miliardi di metri cubi di gas algerino all’anno fino alle coste italiane. Ha una capacità giornaliera di oltre 110 milioni di metri cubi (mcm), ma attualmente trasporta meno di 60 milioni di mcm. Nel 2021, le importazioni italiane dall’Algeria sono aumentate del 76% a 22,5 miliardi di metri cubi (bcm), il 29% dei flussi complessivi. Roma si è assicurata 9 miliardi di mcm (un terzo di quelli russi) in più dal Paese nordafricano dal 2023-24 (solo 3 bcm di gas subito, poi 3 bcm di gas e 3 bcm di GNL).

Negli ultimi tempi l’Algeria aveva limitato le sue esportazioni a seguito dell’aumento dei consumi interni, degli investimenti insufficienti e dell’instabilità politica, inclusa la chiusura di un gasdotto verso la Spagna in conseguenza alla disputa con il Marocco relativa al Sahara Occidentale, dal momento che Madrid ha abbandonato la politica di neutralità tenuta per 50 anni e ha deciso di sostenere il piano di autonomia limitata presentato dall’arcirivale dell’Algeria, il Marocco, appoggiato da USA e Francia, con il quale l’Ageria ha interrotto le relazioni diplomatiche nell’agosto 20213.

L’amministratore delegato di Sonatrach, Toufik Hakkar, ha affermato che l’Europa è il “mercato naturale preferito” per il gas algerino, che rappresenta circa l’11% delle importazioni di gas europee. Sonatrach è “un fornitore affidabile di gas per il mercato europeo ed è pronto a supportare i suoi partner a lungo termine in situazioni difficili“, ha detto Hakkar. Gli impianti di liquefazione dell’Algeria, che consentono l’esportazione del gas via nave, attualmente vengono utilizzati solo al 50%-60% della capacità. Grazie a prezzi e vendite crescenti di gas naturale e petrolio, l’Algeria prevede di investire circa 40 miliardi di dollari nell’esplorazione, produzione e raffinazione di gas e petrolio tra il 2022 e il 2026. Ha bisogno di denaro per aumentare la sua produzione di gas, poiché non ha investito molto in nuova produzione negli ultimi tre decenni, mentre i consumi interni sono aumentati vertiginosamente a seguito di una rapida crescita demografica. Lo stesso gasdotto TransMed non sta funzionando a pieno regime perché l’Algeria non ha il gas in più per saturarlo. Per questo, in cambio delle nuove forniture di gas, l’Algeria chiede all’Italia supporto tecnico e politico per un gasdotto che dovrebbe collegare i giacimenti del delta del Niger alle coste del Mediterraneo.

L’ENI, che detiene contratti gas a lungo termine con Sonatrach (fino al 2027), ha annunciato a marzo una significativa scoperta nel deserto algerino (bacino nord del Berkine) con circa 140 milioni di barili di petrolio a regime. Ma, non è chiaro fino a che punto questa capacità possa essere disponibile a breve termine, anche se la produzione potrà essere aumentata rapidamente utilizzando tecniche di riempimento per migliorare la produzione nei pozzi che già producono e potrà anche essere accelerata la produzione dei campi che sono ancora improduttivi.

Draghi ha firmato una “Dichiarazione d’intenti sulla cooperazione bilaterale nel settore dell’energia” che include anche co-investimenti in progetti di energie rinnovabili ed idrogeno verde. “Vogliamo accelerare la transizione energetica e creare opportunità di sviluppo e occupazione”, ha detto Draghi.

L’Italia dovrebbe finire presto il processo di connessione della sua rete elettrica all’Algeria, sempre attraverso la Tunisia, con il completamento del cavo sottomarino lungo 192 chilometri da 600 megawatt tra la Tunisia e la Sicilia. Una volta completato, l’Italia potrà guardare alle nazioni del Maghreb per bilanciare la sua offerta e la sua domanda, invece di fare affidamento esclusivamente sugli scambi di elettricità con i suoi vicini europei attraverso i confini settentrionali e adriatici dell’Italia. “La diversificazione delle forniture energetiche è possibile e fattibile in un tempo relativamente breve, più breve di quanto immaginassimo solo un mese fa. Quanto sta avvenendo con Russia e Ucraina – ha aggiunto Draghi – ridisegna le interconnessioni per il gas oggi, domani per l’idrogeno, ma anche energia elettrica rispetto a come sono oggi in Europa: c’è la possibilità che i Paesi del sud dell’Europa con le connessioni che hanno con la sponda meridionale del Mediterraneo possano diventare essi stessi hub di energia elettrica, prodotta da rinnovabili, e gas”. In sostanza, Draghi condivide l’idea lanciata dal francese Jean-Louis Guigou, fondatore dell’Istituto per le previsioni economiche del mondo mediterraneo (Ipemed) di trasformare l’Algeria in una sorta di “batteria elettrica” per l’Europa.

La visita di Draghi ad Algeri si inserisce in un percorso di rilancio delle relazioni tra Italia e Algeria avviato dopo il 2019, che ha visto a novembre scorso la visita di Sergio Mattarella (con l’intitolazione del giardino “Enrico Mattei”). L’incontro con Tebounne è stata anche l’occasione per parlare del vertice intergovernativo previsto ad Algeri il 18 e 19 luglio, dopo la visita di Stato in Italia del presidente Tebboune a fine maggio. L’Algeria è il primo partner commerciale dell’Italia nel continente africano – e l’interscambio tra i due Paesi è in forte crescita. Sono circa 200 le imprese italiane con presenza stabile in Algeria, impegnate nel campo energetico ma anche nei settori delle infrastrutture e delle grandi opere. “Vogliamo rafforzare i rapporti a tutti i livelli: oggi con il presidente Tebboune abbiamo parlato oltre al comparto energetico di investimenti in tanti altri settori dall’agroalimentare al settore elicotteristico, al settore energetico nelle rinnovabili, all’idrico nel deserto, per aumentare la produzione di grano, al marittimo per le costruzioni di navi da pesca di alto mare” ha detto Draghi nel corso di un incontro all’ambasciata italiana. “C’è lo spazio e l’atteggiamento è aperto a una varietà di collaborazioni, qualcosa che è desiderato da molto tempo”.

La guerra in Ucraina offre una nuova chance all’Ageria

I governanti algerini, alle prese da anni con enormi difficoltà politiche ed economiche, considerano un’ancora di salvezza l’aumento di prezzi e domanda di gas naturale e petrolio da parte di Italia e altri Paesi europei come conseguenza della guerra in Ucraina. Gas e petrolio forniscono il 95% dei ricavi derivanti dalle esportazioni e costituiscono il 60% del budget nazionale. La guerra in Ucraina, se da un lato ha creato un problema di sicurezza alimentare per l’Ageria, come per tutti i Paesi del Nord Africa4, dall’altro ha portato a un rialzo spettacolare del prezzo del petrolio (ben oltre i 100 dollari al barile) e ha creato nuove opportunità di mercato per il gas algerino. Le esportazioni algerine di idrocarburi sono passate dai 20 miliardi di dollari nel 2020 a 34,5 miliardi nel 2021, con un prezzo medio del barile di 71 dollari. Nel 2022, i ricavi saranno certamente ancora più alti.

Nel 2008 il prezzo medio al barile aveva raggiunto il massimo storico di 147 dollari, spinto da diversi fattori, tra cui le tensioni in Medio Oriente, un calo del valore del dollaro e tassi di crescita senza precedenti della Cina. Per molti anni, questo afflusso di denaro ha permesso al regime algerino di assorbire le tensioni sociali come una spugna. A partire dal 2014, però, il quadro di mercato per gas e petrolio si è via via deteriorato, arrivando a toccare livelli minimi nel 2020, durante la prima fase della pandemia da CoVid-19. Un deterioramento che ha contribuito ad approfondire la gravissima crisi politica ed economica che, tra il 2019 e il 2021, ha scosso dalle fondamenta il Paese. Una crisi che si è particolarmente aggravata durante la pandemia. Come ha sottolineato Mohamed Sami Agli, presidente della Confederazione algerina dei datori di lavoro (CAPC). “Abbiamo subito tutto il peso delle conseguenze della pandemia, come tutti i Paesi del pianeta, ma abbiamo anche subito quelle del calo dei prezzi del petrolio e del gas. Tutto ciò ha avuto un grave impatto sulla situazione economica dell’Algeria e sulle sue attività.

Oggi, la situazione politica del Paese è stata apparentemente stabilizzata e il presidente Tebboune, con il sostegno dell’esercito e di una nuova generazione di tecnocrati, sta cercando di ricostruire un nuovo “patto sociale autoritario” gestito da un apparato statale che dovrebbe essere in grado di assumersi, oltre ai tradizionali compiti repressivi, nuove funzioni ridistributive e di regolazione delle relazioni con il capitale internazionale. Nella cittadinanza, dopo una fase di grande mobilitazione, è tornata a prevalere una nuova condizione di apatia politica, accompagnata da una forte mancanza di fiducia nelle istituzioni, mentre le cause economiche, politiche e sociali della rivolta popolare del 2019-21 – povertà, vulnerabilità, mancanza di diritti e democrazia, alta disoccupazione giovanile, bassi salari, inadeguati sistemi educativo e sanitario, mancanza di innovazione e assenza di libertà e rispetto dei diritti umani, corruzione – sono ampiamente presenti e in molti casi peggiorate.

Ora, l’élite politico-militare che ha consolidato la sua presa del potere nel corso dell’ultimo anno punta a creare un nuovo “patto sociale autoritario” che dovrebbe fare leva su un ciclo economico espansivo basato ancora una volta sulla rendita derivante dalla produzione ed esportazione di gas e petrolio verso l’Europa. Una evoluzione di mercato che, se dovesse continuare, avrà sicuramente un impatto positivo sulle finanze pubbliche. L’aumento della tassazione su petrolio e gas, infatti, comporterebbe una crescita delle entrate di bilancio sufficiente per coprire l’attuale livello di spesa pubblica per i trasferimenti sociali che costituisce il 23,7% del bilancio generale dello Stato e quasi il 10% del PIL5.

Al tempo stesso, l’élite algerina sembrerebbe consapevole che affidarsi solo su petrolio e gas rischia di non bastare ad assicurare stabilità politica e crescita economica, oltre che essere controproducente sul medio-lungo periodo. Per questo mira ad avviare una diversificazione dell’economia, incluso il comparto dell’energia, con lo sviluppo delle risorse rinnovabili, del settore turistico e dell’iniziativa privata come settori prioritari. Al momento solo il 3% dell’elettricità prodotta in Algeria, ad esempio, proviene da fonti rinnovabili, e la strada per giungere all’obiettivo del 27% entro il 2030 fissato dal governo, per cui servirà l’installazione di almeno 22.000 MW nei prossimi 10 anni, rimane in salita.

Per sostenere ripresa e diversificazione economica il governo sta attivamente cercando di attrarre investimenti europei, arabi, cinesi e americani. Finora le leggi approvate dal parlamento algerino per incoraggiare gli investimenti esteri e privati e rafforzare il settore energetico hanno avuto scarsi effetti. La speranza è che ora si possa aprire un ciclo espansivo degli investimenti diretti esteri come successo negli ultimi due decenni in Marocco, dove comunque nonostante l’apparente successo nell’attrazione di capitali internazionali, persistono forti squilibri sociali, economici e territoriali6.

L’estabishment algerino spera nel 2022 di cominciare a gettare le basi della ripresa che tutti chiedono, a cominciare dagli operatori economici, nazionali ed esteri. Il prossimo futuro dirà se questo avverrà, ma molti algerini non sembrano più credere a questi auspici e piani di riscossa nazionale formulati tante volte in tanti anni da presidenti e governi successivi, ma che non si sono mai materializzati.

La lunga crisi politica algerina: la sfida dell’hirak

Per decenni, dall’indipendenza del 1962, i governi nazionalisti algerini, pur definendosi socialisti rivoluzionari, hanno fondato il loro potere su un “patto sociale autoritario“, in cui lo Stato forniva occupazione, sussidi economici, sicurezza e servizi (istruzione, sanità, etc.) in cambio della lealtà e passività politica dei cittadini. La repressione ha ostacolato il cambiamento politico e schiacciato qualsiasi opposizione, ma il regime rivoluzionario algerino, forgiatosi nella sanguinosa guerra anticoloniale contro la Francia tra il 1954 e il 1962, è riuscito a migliorare le condizioni di vita della popolazione, riuscendo ad assicurare stabilità, a mantenere il controllo del Paese e anche un elevato grado di consenso.

Dalla seconda metà degli anni ‘80, l’Algeria incoraggiata da istituzioni come il FMI, ha iniziato a privatizzare una parte delle imprese statali, a liberalizzare le politiche commerciali, a ridurre la qualità dei servizi erogati, e a porre fine ai controlli dei prezzi in uno sforzo teso a stimolare la crescita e a ridurre le pressioni sul bilancio statale. Sempre più ampie fasce della popolazione -in larga parte giovani e donne – sono state sospinte ai margini, nell’economia informale, nella disoccupazione e nella povertà, finendo per rafforzare il ruolo di partiti, movimenti ed enti islamici di beneficenza ed assistenza, mentre i benefici delle “riforme” economiche sono andati in modo quasi esclusivo a beneficio di una ristretta oligarchia economica politicamente connessa con i governanti, che hanno ottenuto appalti, acquisito aziende pubbliche e ricevuto concessioni.

Le “riforme” hanno portato ad una grave crisi sociale ed economica e ad una prima rottura del “patto sociale autoritario”. Una convergenza di circostanze ha reso più difficile mantenere lo status quo: l’aumento delle divisioni negli standard di vita, élites al potere sempre più autoreferenziali ed irresponsabili, e una gioventù irrequieta, in rapida crescita demografica, con poche possibilità di accesso ad opportunità di studio e lavoro ben remunerato, hanno portato molti a credere di non avere nulla da perdere votando per i partiti islamisti ed arrivando ad entrare nelle file dei guerriglia jihadista (di orientamento salafita). Tra il 1988 e i primi anni ’90, la repressione spietata da parte delle forze di polizia e dell’esercito ha gettato la popolazione nelle braccia degli islamisti e il Paese ha vissuto una guerra civile – il cosiddetto “decennio nero” – che ha fatto oltre 200 mila morti. Una guerra civile scoppiata dopo che l’esercito ha annullato un’elezione politica generale che gli islamisti avrebbero vinto nel 19917.

Il “patto sociale autoritario” è stato poi ristabilito tra la fine degli anni ‘90 e i primi anni 2000, grazie alla repressione e alle risorse economiche derivanti dalla crescita dei prezzi di petrolio e gas. Una fase espansiva che è durata fino al 2014, allorquando il manifestarsi degli effetti negativi della riduzione dei prezzi di petrolio e gas ha nuovamente eroso la capacità dell’establishment algerino di mantenere gli impegni insiti nel “patto sociale autoritario”.

Quest’ultima lunga crisi politica algerina è formalmente originata dalla decisione dell’82enne presidente Abdelaziz Bouteflika, uno degli ultimi leader della generazione della guerra di liberazione, al potere dal 1999, di ricandidarsi per un quinto mandato8.

Bouteflika aveva stabilizzato il Paese dopo la guerra civile degli anni ’90. Eletto presidente nel 1999 con il sostegno dei militari, Bouteflika aveva negoziato una tregua con gli islamisti e avviato un processo di riconciliazione nazionale che ha consentito di offrire l’amnistia ai ribelli islamisti disposti a deporre le armi e di ristabilire la pace interna al Paese. Era stato poi rieletto nel 2009 e nel 2013, tra accuse di frode, corruzione9, nepotismo, clientelismo e mancanza di veri sfidanti.

Bouteflika aveva superato indenne la fase delle “Primavere arabe” nel 2011 con un mix di repressione (arresti e il divieto di manifestare in vigore dal 2001), aumenti dei salari, un debole sistema di assistenza sociale, un programma di opere pubbliche, infrastrutture e industrie (strade, ponti, ferrovie, aeroporti, porti, metropolitana, dighe, 2 milioni di case popolari, stadi, 10 mila moschee, raffinerie e altri impianti industriali) in gran parte realizzate dalle grandi imprese statali cinesi, e assunzioni nel settore pubblico.

Lo Stato algerino ha continuato a perseguire una import substitution strategy attraverso circa 400 aziende pubbliche, di cui solo un quinto considerato realmente competitivo e appetibile per una privatizzazione. Le spese statali hanno continuato a permettere alcune peculiarità del “patto sociale autoritario” algerino: sussidi energetici (la benzina costava 25 centesimi al litro nel 2019), l’università gratuita e l’accesso alla sanità pubblica, perfino libri e alloggi gratis per chi risiedeva ad oltre 50 km di distanza. In pratica, lo Stato algerino ha mantenuto bassi i salari sovvenzionando i consumi.

Fino al 2014, la rendita derivante dai prezzi in ascesa di gas e petrolio, che rappresentano il 95% dell’export (l’Europa importa dall’Algeria circa il 25% del suo fabbisogno di gas: la Spagna il 50% e l’Italia il 29%) e il 60% del bilancio statale, ha consentito alti livelli di spesa statale, ma il deterioramento dei prezzi globali di gas e petrolio ha messo in crisi il “patto sociale autoritario”. Tra l’altro l’Algeria deve ancora importare la maggior parte del suo consumo di prodotti petroliferi raffinati non avendo sufficientemente investito a valle dell’estrazione di greggio.

Bouteflika si era ricandidato per la quinta volta alle elezioni presidenziali – fissate per il 18 aprile 2019 -, nonostante che dall’aprile 2013 fosse stato invisibile al pubblico e ridotto ammutolito e immobile su una sedia a rotelle a seguito di un ictus. Una mossa che ha provocato le prime imponenti manifestazioni di protesta popolare a partire dal 16 e 22 febbraio – l’hirak (movimento, in arabo), un movimento di opposizione senza leaders – dopo quasi due decenni, il cui slogan iniziale era: “È una repubblica, non un regno“.

In una lettera pubblica apparentemente scritta da Bouteflika, il presidente aveva riconosciuto la legittimità della protesta pacifica e promesso che, una volta eletto, avrebbe convocato una “conferenza nazionale inclusiva e indipendente per discutere, elaborare e adottare riforme politiche, istituzionali, economiche e sociali”, e preparare “una nuova costituzione che segnerà la nascita di una nuova repubblica e di un nuovo sistema politico algerino” e che sarebbe stata adottata solo se approvata in un referendum popolare. Subito dopo si sarebbe dimesso e ci sarebbero state nuove elezioni.

Le proteste popolari pacifiche sono andate avanti per oltre tre settimane, ottenendo anche l’appoggio esplicito della magistratura, degli imam delle moschee e dei lavoratori entrati in uno sciopero generale, e l’11 marzo, non appena rientrato dall’ennesimo ricovero in un ospedale svizzero, Bouteflika ha annunciato in una lettera pubblica che per lui non ci sarebbe stato un quinto mandato e che le elezioni presidenziali sarebbero state posticipate, mentre sarebbe stata creata una conferenza nazionale incaricata di elaborare una nuova costituzione entro la fine del 2019. Quest’ultima sarebbe poi stata sottoposta ad un referendum popolare. La conferenza nazionale avrebbe dovuto stabilire anche una nuova data per le elezioni presidenziali, da tenersi dopo il referendum costituzionale, organizzate sotto l’autorità esclusiva di una commissione elettorale nazionale indipendente. Bouteflika ha anche fatto dimettere il premier, l’impopolare Ahmed Ouyahia10 per rimpiazzarlo con il ministro dell’Interno (da tempo accusato di brogli elettorali), Noureddine Bedoui, un tecnocrate 59enne amico di Nacer Bouteflika, il fratello del presidente. Un governo provvisorio che è stato composto da alleati e fedelissimi Bouteflika.

Una concessione che è stata presentata come una grande vittoria della protesta popolare pacifica, ma che in realtà è stata imposta dall’esercito e che avrebbe consentito al regime algerino di guadagnare tempo (almeno un anno e mezzo) per cercare di comporre i propri conflitti interni e trovare un successore a Bouteflika che garantisse i loro interessi e fosse presentabile. Se per anni il presidente è sopravvissuto “mummificato” in un Paese dove la metà dei 43 milioni di cittadini hanno meno di 27 anni (altamente istruiti, ma per oltre un quarto sono disoccupati e sono impossibilitati ad emigrare in Europa dalle politiche migratorie restrittive della UE), in sua vece ha comandato le pouvoir come gli algerini chiamavano l’oligarchia composta dagli onnipotenti fratelli Saïd, Nacer e Zohr Bouteflika, da voraci clan clientelari, da potentati del gas (le statali Sonatrach e Sonelgaz, ma anche ENI e la spagnola Repsol), dal vecchio Fronte di Liberazione Nazionale (al potere dall’indipendenza del 1962) e, soprattutto, da polizia segreta e generali come il Capo di Stato Maggiore e viceministro della Difesa Ahmed Ghaid Salah. Il settore della difesa riceveva quasi il 6% del PIL nel 2017 – equivalente al 54% di tutta la spesa militare dei Paesi del Nord Africa – e l’Algeria ha il secondo esercito del continente africano dopo quello egiziano, equipaggiato in gran parte con armi di fabbricazione russa.

Grandi manifestazioni popolari pacifiche sono continuate per settimane, invocando yetnahaw gaa! (devono andarsene tutti), denunciando la corruzione generalizzata, l’assenza di libertà individuali, le violazioni dei diritti umani, le condizioni di povertà di gran parte della popolazione, le rivendicazioni dei diritti delle donne e dell’identità culturale minoritaria berbera della Kabylia. Un fronte pacifico di forze popolari, giovani, donne, associazioni della società civile, sindacati, intellettuali che si è rapidamente ampliato, manifestazione dopo manifestazione. La spontaneità della ribellione, la grande partecipazione femminile e giovanile (una generazione Internet e dei social network), l’imponenza delle manifestazioni di piazza e degli scioperi, la non violenza della protesta si è rapidamente trasformata in un’ondata rivoluzionaria orientata contro il regime politico-militare.

Alla fine è arrivato il “pronunciamento” del 79enne generale Salah che ha dichiarato che Bouteflika era “totalmente incapace di svolgere le sue funzioni” e, quindi, di guidare il Paese. Salah ha invocato l’avvio delle procedure previste dall’articolo 102 della Costituzione per destituire il presidente (e sostituirlo ad interim dal presidente del Consiglio Nazionale), ma un comunicato della Presidenza della Repubblica ha annunciato il 1° aprile che Bouteflika aveva deciso di dimettersi “prima del 28 aprile, data della fine del suo mandato elettivo“.

La decisione è arrivata dopo un vero e proprio stallo tra l’esercito e il clan presidenziale che è stato rotto – attraverso i media – da accuse di cospirazione contro il fratello del capo dello Stato, Saïd Bouteflika, e alti funzionari dell’intelligence. Il 2 aprile, Salah ha chiesto la immediata applicazione dell’aticolo 102: “Non c’è più spazio per perdere tempo … Abbiamo deciso chiaramente … di stare con le persone in modo da soddisfare tutte le loro richieste“. In serata è stato reso pubblico un breve messaggio della presidenza che ha dichiarato che Bouteflika aveva “comunicato al presidente del Consiglio Costituzionale la sua decisione di porre fine al suo mandato“.

Le dimissioni di Bouteflika hanno avviato la presidenza provvisoria dal presidente del Consiglio Nazionale, Abdelkader Bensalah (un alleato fedele di Bouteflika) fino alle elezioni presidenziali che si sarebbero dovute tenere il 4 luglio. Salah era il principale favorito alla successione, ma il movimento di protesta ha iniziato a chiedere più che il rovesciamento di Bouteflika, ossia un effettivo cambiamento del regime politico attraverso una transizione democratica. Il termine per candidarsi alle presidenziali è scaduto il 25 maggio, ma sono arrivate solo due candidature di politici praticamente sconosciuti. Nessun esponente di primo piano si è fatto avanti, un risultato delle pressioni dell’hirak, che respingeva il voto del 4 luglio e chiedeva un cambiamento radicale del sistema politico-istituzionale prima di ritornare alle urne.

Con la cancellazione delle elezioni del 4 luglio e il mandato del presidente ad interim Bensalah che si concludeva ufficialmente il 9 luglio, il Consiglio Costituzionale ha prorogato il suo mandato per un periodo indefinito, facendo cadere il sistema politico nell’ignoto. L’Algeria è entrata in un vuoto costituzionale e con esso, nell’incertezza politica sulla strada da percorrere. Tuttavia, liberare la transizione dalla costituzione esistente avrebbe potuto offrire anche un’opportunità per una più autentica transizione verso la democrazia, attraverso l’apertura di un negoziato tra il regime e il movimento di opposizione che chiedeva una revisione, se non una riscrittura, della costituzione e la creazione di istituzioni indipendenti per garantire la credibilità delle elezioni presidenziali, parlamentari e municipali.

Intanto il 5 maggio sono stati arrestati Saïd Bouteflika e due generali con l’accusa di aver complottato contro le forze armate. E’ stato arrestato anche Issad Rebrab, un critico di Bouteflika, ritenuto l’uomo più ricco del Paese e numero uno di Cevital, la più importante compagnia privata algerina. Abdelmoumene Ould Kaddour, amministratore delegato di Sonatrach, la compagnia nazionale di idrocarburi, è stato allontanato dal proprio incarico (sarà estradato nell’agosto 2021 dalle autorità degli Emirati su richiesta della giustizia algerina). Il 27 maggio è stata pubblicata una lista di 12 politici (due ex primi ministri, 8 ex ministri e 2 ex governatori) indagati e poi arrestati per corruzione in appalti pubblici.

Questa sorta di intervento della magistratura in stile “mani pulite” ha portato molti analisti a pensare che il regime transitorio si stesse muovendo per rimpiazzare i vertici delle più importanti istituzioni politiche e finanziarie del Paese, allontanando i soggetti più compromessi del regime Bouteflika e/o critici, sostituendole con personaggi più presentabili e affidabili. La progressiva presa di distanze di alcuni importanti imprenditori e delle loro società dai centri di potere anche per una mancanza di fiducia nei confronti della capacità del governo di gestire gli affari e le politiche economiche, ha contribuito a creare una situazione ancora più indefinita, nell’assenza di una figura che potesse essere ritenuta accettabile per la transizione, da tutte le parti in gioco, a partire dall’hirak.

Il 15 settembre il comitato elettorale ha fissato al 12 dicembre la data delle nuove elezioni presidenziali, rompendo lo stallo politico. Questo annuncio non ha placato la rabbia dei manifestanti, i quali hanno considerato il voto solo come un modo per riconfermare il sistema di potere esistente. La decisione è stata fortemente contestata anche dai partiti di opposizione, che hanno boicottato le sedute di approvazione delle leggi necessarie per dare il via libera alla scelta finale. Parallelamente, inoltre, la commissione speciale creata dal governo ad interim per risolvere la crisi ha escluso la possibilità di creare un’assemblea costituente e tenere una conferenza nazionale così come era stato richiesto dai manifestanti dell’hirak, suggerendo invece solo alcune modifiche a costituzione e legge elettorale e la creazione di un’autorità di supervisione indipendente in vista delle elezioni.

L’enfasi del regime sulla necessità di nuove elezioni faceva parte di una strategia per sbloccare lo stallo senza però veramente sovvertire le gerarchie del potere, spingendo verso un precipitoso percorso di avvicinamento alle elezioni che ha giocato a sfavore dell’hirak e al processo di rinnovamento basato sull’ampio consenso portato avanti da questo movimento popolare di opposizione. Allo stesso tempo, l’annuncio delle dimissioni del primo ministro Bedoui, dipinto da alcuni come un’importante vittoria per i manifestanti, è sembrato piuttosto una mossa dell’establishment politico-militare per accontentare temporaneamente la piazza e offrire un segno di apparente cambiamento politico.

Anche le condanne da 15 a 20 anni di carcere per “attentato all’autorità dell’Esercito” e “complotto contro l’autorità dello Stato” al “processo del secolo”, celebrato in due giorni in un tribunale militare (25 settembre), di alcune delle più importanti figure dell’era Bouteflika non più funzionali ai progetti delle alte cariche dell’esercito – come Saïd Bouteflika, i generali Mohamed Mèdiéne e Athmane Tartag, ex capi dei servizi segreti dal 1990 al 2019, Louisa Hanoune, segretaria generale del Partito dei Lavoratori, l’ex ministro della difesa Khaled Nezzar e suo figlio, l’affarista Belhamdine Farid (tutti e tre quest’ultimi in contumacia) – sono sembrate solo servire a distogliere l’attenzione dai veri problemi politici ed economici del Paese.

A pesare sulle incognite future del Paese vi erano delle criticità di tipo strutturale – una riduzione della produzione petrolifera/gasifera e delle entrate conseguenti, una scarsa diversificazione dell’economia, una elevata disoccupazione giovanile11 – che riguardavano il contesto macro-economico e sociale dell’Algeria, che in parte avevano contribuito a creare le condizioni dello stallo politico da un lato, e delle rivolte della popolazione dall’altro.

Prima di dimettersi, il governo Bedoui ha accelerato sulla legge finanziaria del 2020 che perpetuava ed estendeva le politiche d’austerità, aumentando il fardello fiscale indiretto – tra cui l’IVA – e creando nuove tasse che avrebbero pesato prevalentemente sui meno abbienti. Prevedeva un taglio di spesa per la funzione pubblica (-20%) che di fatto non avrebbe permesso il turnover dei pensionandi, aumentava la precarietà con l’introduzione dei contratti a tempo determinato nel settore pubblico, tagliava le spese per i grandi lavori previsti dal 2008 su una serie di infrastrutture essenziali come i trasporti, prevedeva la possibilità di introdurre i pedaggi autostradali, e soprattutto prevedeva il superamento della soglia del 49% per il capitale straniero nelle partnership dei settori non strategici e la possibilità di indebitamento con l’estero per le aziende, di fatto cedendo alle pressioni del capitale internazionale.

Inoltre, il governo ha spinto per l’approvazione di una nuova legge sugli idrocarburi tesa a incentivare espressamente gli investimenti stranieri nel settore, senza però mettere in discussione la proporzione del 51/49 che assicura la maggioranza all’azienda statale Sonatrach in qualsiasi partenariato con attori stranieri. Il settore degli idrocarburi era in seria difficoltà per due fattori difficilmente governabili: il prezzo molto al di sotto della quota stimata dal FMI per appianare il debito algerino (116 dollari al barile contro il prezzo sotto i 60) e l’aumento del consumo domestico. Ma, anche per politiche che hanno portato all’abbassamento della produzione, nonché della partnership con aziende estere che era notevolmente diminuita negli anni, da un terzo nel 2007 ad un quarto nel 2019. Per rilanciare gli investimenti si voleva utilizzare lo strumento delll’esenzione fiscale alle imprese straniere che avrebbero deciso di investire in Algeria.

 

L’elezione di Tebboune alla presidenza e la dura repressione dell’hirak

I militari, sotto la guida di Salah, avevano erroneamente scommesso sulla mancanza di respiro dell’hirak, ma si sono riservati un ruolo da protagonisti. I manifestanti hanno continuato a protestare contro l’eventualità che il cambiamento politico fosse soltanto di facciata, lasciando intatti i privilegi di politici e militari. L’hirak ha ritenuto che tutta la classe dirigente transitoria fosse ancora troppo collusa con il vecchio regime di Bouteflika e, quindi, non legittimata a portare avanti il processo di cambiamento politico verso un’auspicata Seconda Repubblica democratica. Ma, un esito di tipo “tunisino” sembrava precluso dal rifiuto categorico dell’hirak di canalizzare la sua forza in partiti politici e di avere dei veri leader.

Piuttosto, l’Algeria sembrava destinata a marciare verso uno scenario di tipo “egiziano”, con le forze armate che, sfruttando una fase di tensione sociale e crisi economica, fossero disponibili a delegittimare intenzionalmente la classe politica, presentata come responsabile della difficile condizione sociale, per poi imporsi come unica alternativa possibile al caos e come il principale responsabile delle decisioni politiche del Paese. Oppure verso uno scenario “siriano”, ossia uno scontro tra militari, hirak (totalmente pacifica e non islamista) e pezzi di establishment legato a Bouteflika che avrebbe potuto degenerare in una guerra civile.

In ogni caso, la quasi totalità delle richieste dei manifestanti sono rimaste lettera morta, le alte cariche dell’esercito hanno voluto procedere in maniera spedita verso l’elezione presidenziale – per cui è stata istituita una commissione indipendente e modificata la legge elettorale – come strategia d’uscita all’impasse politico. Tutti i 5 candidati alle elezioni presidenziali sono stati politicamente legati al regime e talvolta sono stati stretti collaboratori di Abdelaziz Bouteflika.

Tra i candidati “di punta” sono stati selezionati due anziani esponenti dell’era Bouteflika, poi caduti in disgrazia e relegati all’opposizione politica “tollerata”: Ali Benflis e Abdelmajid Tebboune. Benflis (75 anni) è stato a capo del governo dal 2000 al 2003 ed è il capo politico di Talaie El Hourrieyt. Tebboune (74 anni), benvoluto nell’ambiente militare ed in particolare da Salah, è stato primo ministro per solo 81 giorni nel 2017, prima di cadere in disgrazia, e rimosso su pressione del fratello del Presidente e del potente uomo d’affari Ali Haddad (entrambi incarcerati, con Haddad poi condannato a 4 e 18 anni di prigione per corruzione e altri reati). E’ un vecchio militante del FLN, più volte ministro, ma con più un profilo da tecnocrate che da uomo politico12.

La campagna elettorale è stata caratterizzata da un’ondata di arresti per reati di opinione. I militari e i politici al potere hanno sempre considerato il movimento di protesta come potenzialmente infiltrato da terroristi e su questa base hanno giustificato la repressione. I mezzi di informazione controllati dal regime hanno cercato di far apparire l’hirak come un fattore di destabilizzazione che faceva correre all’Ageria il pericolo di un’invasione esterna (dal Marocco o dal Mali o dalla Libia) o di una nuova guerra civile, che solo l’esercito al potere avrebbe potuto evitare13.

Almeno 200 persone sono state arrestate per aver manifestato pacificamente nei luoghi dove si tenevano i comizi, chiedendo il rinvio del voto. A nulla sono valse le pesanti condanne degli ex primi ministri, Ahmed Ouyahia (15 e 12 anni) e Abdelmalek Sellal (12 anni) per corruzione e abuso di potere il 10 dicembre. Le elezioni del 12 dicembre si sono svolte in un clima teso. L’hirak non ha considerato legittimi i cinque candidati – visti tutti come “figli del regime” di Bouteflika e dei militari – e ha boicottato le elezioni. Solo il 39,9% degli aventi diritto ha votato, il tasso più basso di tutte le elezioni presidenziali pluraliste nella storia dell’Algeria. Ha vinto Tebboune con il 58% dei suffragi, cioè con poco più di 4 milioni di voti, su un corpo elettorale di 24 milioni ed una popolazione totale di 43 milioni14.

La morte improvvisa del generale Salah (23 dicembre 2019) ha aperto nuovi interrogativi, anche se è stato prontamente sostituito dal generale Said Chengriha (74 anni), anch’egli parte della stessa generazione di ufficiali che mossero i primi passi nell’Esercito di Liberazione Nazionale. Poche settimane dopo il suo insediamento, Tebboune ha fatto un gesto distensivo verso l’hirak, concedendo la grazia a circa 10 mila prigionieri, in gran parte arrestati durante le manifestazioni di protesta. Ha anche offerto pubblicamente di dialogare con l’hirak, la formazione di un comitato per modificare la costituzione e incontri con esponenti dell’opposizione.

Tebboune ha cercato fin da subito di riabilitare l’immagine della classe politica e riconquistare la fiducia della popolazione, arrivando a definire l’hirak un “fenomeno benefico (“il benedetto Hirak ha salvato il Paese dal collasso totale”) e promettendo una riforma della Costituzione nonché l’impegno a garantire migliori opportunità economiche e maggiori libertà civili. E’ stato a questo punto l’hirak a cominciato a perdere la sua ala più moderata e il numero dei partecipanti alle manifestazioni del venerdì è calato.

Un nuovo governo è stato formato da Abdelaziz Djerad, un professore universitario di scienze politiche ed ex diplomatico, il 2 gennaio 2020. Con le casse statali che dipendevano dalle esportazioni e dai prezzi (calanti) di petrolio e gas per la maggior parte delle entrate annuali, il governo ha concordato con il parlamento di tagliare la spesa pubblica del 9% nel 2020. Questo prima della diffusione della pandemia di CoVid-19 nel mondo e della guerra dei prezzi del petrolio tra Arabia Saudita, Russia e i produttori americani di olio da scisto. Con la pandemia, alle perdite economiche causate dal blocco di vari settori dell’economia si sono unite le pesanti ripercussioni derivanti dall’ulteriore calo del prezzo del petrolio dovuto ad un crollo globale della domanda, con preoccupanti conseguenze sulle finanze dello Stato e sulle prospettive economiche del Paese. In questa situazione, il governo Djerad ha deciso di intensificare la campagna di arresti, intimidazioni e condanne sommarie contro giornalisti, attivisti e membri della società civile, spesso incarcerati per settimane con la generica accusa di minaccia alla sicurezza dello Stato e senza la possibilità di vedere i propri legali.

Senza alcun dibattito è stata definita una modifica del testo della costituzione – che rafforza i poteri del presidente15, del parlamento e della magistratura e riduce a due i mandati presidenziali e parlamentari – ed è stata condotta una campagna per il referendum (1° novembre) dalla quale sono state escluse le opposizioni. All’esercito, che rimane l’istituzione più potente nella politica algerina, la modifica costituzionale ha conferito un nuovo potere: il diritto di intervenire al di fuori dei confini dell’Algeria a determinate condizioni.

Il 1° novembre, solo poco più del 23% degli aventi diritto ha votato al referendum e la modifica costituzionale è stata approvata con il 66,8%. Tebboune ha firmato la nuova Costituzione il 1° gennaio, definendo il documento “una pietra miliare per la nuova Algeria” che avrebbe risposto alle richieste dell’hirak, pur mantenendo in vigore (anzi rafforzando) il regime presidenziale e i poteri dell’esercito.

L’arrivo del coronavirus CoVid-1916 ha di fatto cristallizzato le dinamiche interne, costringendo il governo a sospendere le principali attività produttive e imporre misure di quarantena che hanno bloccato la mobilitazione sociale. Questa situazione ha anche offerto alle autorità il pretesto per attuare nuove misure repressive nei confronti di alcuni esponenti del movimento di protesta. Nonostante la situazione, la società civile e molti cittadini non hanno perso di vista le rivendicazioni e gli obiettivi della protesta, organizzando forum di dibattito online. E’ stato anche aperto un canale radio online, Radio Corona Internationale, lanciato da attivisti e membri della società civile in esilio che, con toni satirici e provocatori, ha analizzato e discusso la situazione algerina, criticando i governanti e tenendo vive le ragioni dell’hirak[.

Al tempo stesso, se a maggio 2020 il presidente Tebboune aveva annunciato un taglio della spesa pubblica pari al 50% a fronte della riduzione delle entrate derivanti dall’esportazione di gas e petrolio alla luce del crollo del prezzo del petrolio, pur rassicurando che questo non avrebbe toccato i prodotti alimentari e le materie prime necessarie per l’industria nazionale, nel documento della legge di bilancio il governo ha invece deciso un aumento della spesa pubblica del 10%. Questo è servito per coprire un aumento dei sussidi pubblici riguardanti in particolare le spese sanitarie, gli stipendi pubblici, gli assegni famigliari nonché l’acquisto di generi alimentari di base come latte, cereali e zucchero, cercando di contrastare un ulteriore deterioramento del potere d’acquisto delle famiglie, della disoccupazione e del clima imprenditoriale che avrebbero potuto mettere ulteriormente a repentaglio la pace sociale. Un pacchetto emergenziale è stato anche stanziato per le aree rurali. Un aumento della spesa pubblica che ha comportato, però, una preoccupante riduzione delle riserve finanziarie del Paese, alzando persino lo spettro del ricorso a fondi internazionali (aborrito dalla classe dirigente dopo le drammatiche conseguenze vissute negli anni ’90), ma che insieme alla presa di ferro del potere, la repressione e la chiusura degli spazi pubblici destinati alla libera espressione, hanno contribuito a tenere sotto controllo le manifestazioni di protesta.

Nel frattempo, Tebboune è stato contagiato dal CoVid-19 ed è stato ricoverato prima in un ospedale militare di Algeri e poi in Germania, sparendo dalla scena pubblica per 3 mesi (come avveniva per Bouteflika). Il 18 febbraio 2021, una settimana dopo il suo ritorno, Tebboune ha sciolto il parlamento e indetto nuove elezioni per il 12 giugno, così da attuare il suo progetto di una “Nuova Algeria” teso a “rinnovare l’attuale classe politica, coinvolgendo i giovani”. Ha annunciato un rimpasto del governo, e in vista del 22 febbraio, anniversario del movimento di protesta hirak, ha annunciato in Tv la decisione di liberare oltre 50 attivisti arrestati durante gli ultimi mesi di repressione nel 2020. “Il benedetto hirak’ ha salvato l’Algeria. Ho deciso di concedere la grazia presidenziale a una trentina di persone per le quali era stata pronunciata una decisione del tribunale e ad altre per le quali non era stato pronunciato alcun verdetto. Da domani tra le 55 e le 60 persone si uniranno alle loro famiglie.”, ha annunciato Tebboune.

Una mossa tesa a calmare il clima di proteste crescenti in tutto il Paese, a causa della profonda crisi economica e sociale, aggravata nell’ultimo anno dalla pandemia e da una durissima repressione da parte delle forze di sicurezza. Mentre i partiti al potere, il FNL e il Raggruppamento Nazionale Democratico (RND), hanno deciso di partecipare alle elezioni, come le formazioni islamiste, che hanno messo in piedi due coalizioni che radunavano tutte le principali correnti (FJD e MSP), invece le formazioni progressiste e laiche, come il Raggruppamento per la cultura e la democrazia (RCD), il Fronte delle forze socialiste (Ffs) e il Partito dei lavoratori (PT), hanno deciso di boicottare le elezioni, viste come “l’ennesimo tentativo del sistema di restare in vita”.

La campagna elettorale è stata caratterizzata dalla nuova ondata di proteste – ripartita il 16 febbraio a Kherrata (nella Kabylia, regione della minoranza amazigh/berbera17, a 300 km ad est della capitale Algeri), culla di hirak, dopo un anno in cui tutte le manifestazioni pubbliche sono state vietate a causa della pandemia di CoVid-19 (dopo 56 manifestazioni settimanali registrate tra febbraio 2019 e marzo 2020), e il 22 febbraio è ripartita anche ad Algeri con migliaia di manifestanti che hanno cantato lo slogan “Non siamo qui per festeggiare, ma perché te ne vada” e urlato “Tebboune è una frode”, “I generali nella spazzatura”, “Il popolo chiede l’indipendenza”, Niente elezioni con la banda [al potere]” – e dalla repressione imposta da un imponente apparato di polizia e dai tribunali, con continui arresti e condanne degli attivisti dell’hirak.

Anche i lavoratori del settore pubblico si sono mobilitati per chiedere riforme ed aumenti salariali. Grandi scioperi hanno colpito diversi settori tra cui l’istruzione, la sanità e i servizi postali. Il governo ha mantenuto costosi programmi sociali e il ruolo centrale dello Stato nell’economia nonostante il crollo dei prezzi globali e delle vendite di petrolio e gas durante la pandemia. I lockdowns e la chiusura delle frontiere hanno colpito duramente l’Algeria e la sua diaspora.

Il governo ha cercato di vietare le manifestazioni dell’hirak e di riprendere il controllo della piazza con la presentazione di una nuova legge, promulgata all’inizio di maggio dal ministero dell’Interno, che ha previsto la richiesta preventiva per l’autorizzazione di nuove manifestazioni con l’indicazione di inizio e di fine corteo, del tragitto e degli slogan autorizzati. Più di 20 mila manifestanti pacifici (ma anche giornalisti) sono stati arrestati (la maggioranza anche solo per poche ore), di cui oltre 180 sono rimasti in detenzione nelle tre settimane successive all’entrata in vigore della nuova legge. Tutti gli arresti sono stati motivati con gli stessi capi d’accusa: “indebolimento dell’unità nazionale”, “istigazione a riunioni disarmate” e “mancato rispetto delle misure amministrative”. Per evitare boicottaggi delle elezioni, le autorità hanno previsto sanzioni severe. Il 5 maggio, il ministero dell’Interno ha annunciato che sarebbero state imposte condanne fino a 20 anni di reclusione nei confronti degli autori “di atti di distruzione o rimozione di urne, di indebolimento del comportamento di voto alle urne e dei disordini nelle operazioni di voto” .

Il 12 giugno si sono tenute le elezioni parlamentari con le quali l’establishment al potere ha sperato di poter voltare pagina rispetto ad una protesta politica che ha cercato di reprimere con ogni mezzo per oltre due anni, ma poche persone sono andate a votare – solo il 23% -, certificando il clamoroso fallimento delle mosse dell’establishment tese a creare legittimità e consenso politico per un regime dominato dalle istituzioni militari e di sicurezza piuttosto che dai politici eletti.

Poco prima delle elezioni Tebboune ha annunciato che la partecipazione al voto non era importante. Ha affermato che comunque le decisioni sarebbero state prese dalla maggioranza di coloro che sarebbero andati a votare, indipendentemente dall’affluenza alle urne. “Queste elezioni sono un nuovo passo per costruire una nuova Algeria“, ha detto dopo aver votato fuori da Algeri. Per incoraggiare i giovani a partecipare, nella nuova legge elettorale del 2021 sono state previste quote per garantire che almeno la metà dei candidati di ciascuna lista avesse meno di 40 anni e che almeno un terzo fosse in possesso di laurea. Sono stati inoltre previsti contributi di circa 2.500 euro a candidati di età pari o inferiore a 40 anni per finanziare le loro campagne elettorali, per questo molti algerini più anziani lo hanno definito ironicamente il “parlamento dell’occupazione giovanile“. Tutto ciò ha certamente tentato un gruppo di giovani, deluso dalla mancanza di una tabella di marcia tangibile da parte dell’hirak, a impegnarsi nelle elezioni in liste indipendenti e a pensare a come contribuire al futuro del Paese.

I vecchi partiti nazionalisti, come l’FLN e il RND, che tradizionalmente dominavano e che sono stati segnati da scandali per corruzione e abusi, hanno subito un duro colpo. Sebbene l’FLN abbia comunque vinto in generale, ha perso 57 seggi, passando da 155 a 98. I candidati indipendenti, inclusi molti giovani senza affiliazione politica, sono arrivati secondi con 84 seggi. Il partito islamista moderato, il Movimento per una società pacifica (MSP), ha aumentato la sua quota di voti fino a raggiungere il terzo posto, seguito dal RND.

Stabilizzazione politica e fine della mobilitazione dell’hirak?

Dal febbraio 2019 l’hirak ha portato centinaia di migliaia di persone nelle strade, ma dopo le lezioni parlamentari del 12 giugno 2021, anche a seguito della pandemia di CoVid-19 e della repressione che è caduta sui manifestanti, oltre che sui principali leader del movimento, è soffocata e via via si è spenta. D’altra parte, Tebboune e i suoi alleati politici hanno sostenuto che l’hirak non aveva più motivo di esistere una volta che le sue principali richieste – dall’uscita di scena di Bouteflika e dei suoi principali alleati, alla riforma della Costituzione e alle elezioni politiche parlamentari – erano state soddisfatte.

In realtà, a 60 anni dall’indipendenza, la “nuova Algeria” teorizzata da Tebboune che doveva segnare la rottura con il vecchio regime, almeno sul piano politico non si vede. Sfidato all’inizio del suo mandato dall’hirak, Tebboune è oggi l’uomo forte del Paese che sembra essere riuscito a “normalizzare” la vita politica del Paese. La sua autorità non è più messa in discussione, e i buoni rapporti che intrattiene con i militari, vera spina dorsale del sistema, rafforzano ulteriormente il suo potere. I tradizionali partiti di governo e di opposizione si sono tutti indeboliti. I leader dell’hirak sono stati ridotti al silenzio o si sono ritirati dallo spazio pubblico, e comunque hanno dato l’impressione di non essere stati in grado di proporre soluzioni politiche operative ai problemi che affliggono il Paese, mentre la stampa indipendente, fino a poco tempo fa critica e ostile, è oggi anestetizzata e in preda a gravi difficoltà finanziarie18.

Per ora è nella proiezione politica internazionale che la rottura con l’immobilismo del vecchio regime Bouteflika è più evidente. Dopo anni di apatia, la diplomazia algerina si sta riposizionando, come dimostra il suo attivismo in Africa (su questioni calde come il Sahara Occidentale, la Libia il Sahel), Medio Oriente ed Europa (nei confronti di Italia, Spagna e Francia19. Un segno di questo rinnovamento diplomatico è lo svolgimento ad Algeri, il 1° e 2 novembre 2022, del vertice della Lega Araba, che per il governo rappresenta l’opportunità di segnare chiaramente questo cambiamento e cercare di contrastare l’influenza del rivale marocchino, con il quale i rapporti diplomatici sono interrotti dall’agosto 2021.

Ma, il primo biennio di mandato di Tebboune ha rappresentato anche il fallimento di un reale processo di cambiamento politico. Tebboune ha spento lo slancio avviato dal movimento popolare al punto da trasformare la scena politica in un deserto. Ciò che l’hirak aveva portato – la liberazione della parola, l’apertura di dibattiti nello spazio pubblico, l’emergere di nuovi attori della società civile che potevano portare al cambiamento politico-istituzionale – è stato gradualmente spazzato via. Il risultato è che non è emersa una nuova élite politica. Ci vorrà ancora qualche anno, il tempo della definitiva uscita di scena della generazione di leader politici e alti ufficiali e funzionari che ha governato l’Algeria durante il ventennio dell’era Bouteflika (compreso Tebboune).

La disoccupazione rimane una sfida importante. Altrettanto importanti sono il sostegno alle imprese per uscire dalla crisi, la diversificazione dell’economia, il miglioramento dell’assistenza sociale, della salute e dell’istruzione, la transizione verso le energie rinnovabili e il ripristino della fiducia nelle istituzioni. Molti giovani sono coinvolti in associazioni e partecipano a gruppi e progetti comunitari, nell’ambito della protezione dell’ambiente20 e della creazione di piccole e medie imprese in una moltitudine di settori, contribuendo alla ripresa post-CoVid-19 e alla rigenerazione economica a livello locale. Ricostruire la loro fiducia nelle istituzioni politiche e rafforzare tali istituzioni sarebbe un importante passo che rappresenterebbe la vera alternativa democratica rispetto alla tradizionale policy centrata sul “patto sociale autoritario” tra una ristretta élite al potere e i cittadini algerini.

Alessandro Scassellati

  1. Dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina il 24 febbraio, l’UE ha pagato alla Russia più di 20 miliardi di euro solo per le importazioni di gas. La Commissione europea ha ora pubblicato una strategia ambiziosa per ridurre di due terzi la dipendenza del blocco dal gas russo entro la fine del 2022 e per eliminarla del tutto prima del 2030 attraverso misure come la conservazione, lo sviluppo dell’energia eolica e solare e le fonti alternative. L’UE ha raggiunto un accordo con gli USA per ricevere più navi di gas naturale liquefatto (GNL). La Germania, che ottiene circa il 45% del suo gas dalla Russia, ha annunciato l’intenzione di costruire rapidamente due terminali GNL e ha raggiunto un accordo con il Qatar per le forniture di GNL. La Polonia sta espandendo un terminale GNL per ricevere consegne da Qatar, USA, Norvegia e altri. Ha ridotto la dipendenza dal petrolio russo attraverso contratti con Arabia Saudita, Stati Uniti e Norvegia. Germania e Italia stanno spingendo anche per più energie rinnovabili.[]
  2. I rapporti tra Algeria e Marocco sono diventati difficili subito dopo l’indipendenza algerina del 1962. L’8 ottobre 1963 sono scoppiati scontri tra soldati dell’esercito algerino e un distaccamento delle Forze Armate Reali del Marocco in un luogo chiamato Hassi Beïda, non lontano da Colomb-Béchar (oggi Béchar, in Algeria). Molto rapidamente, i combattimenti si sono estesi alla regione di Tindouf e Figuig (Marocco). La “Guerra delle Sabbie” è durata quasi tre settimane con 850 morti algerini, prima del cessate il fuoco del 5 novembre 1963. Gli algerini rimproverano al Marocco di non rispettare popoli e confini, cercando di espandersi e destabilizzare la regione (Algeria, Mauritania e Sahara Occidentale). Il ministero degli Esteri algerino accusa il suo vicino di “atti ripetitivi di terrorismo di Stato” che potrebbero avere “gravi implicazioni” per la sicurezza regionale. Nonostante l’Algeria rifornisca di gas il Marocco, le frontiere tra i due Paesi sono chiuse dal 1994, dopo che il Marocco ha accusato l’Algeria per gli attacchi terroristici di Marrakech e ha imposto visti d’ingresso agli algerini. Per quanto riguarda le rivendicazioni marocchine di sovranità sull’ex colonia spagnola del Sahara Occidentale, ricca di fosfati (è uno dei Paesi da cui si estrae la quasi totalità dei fosfati al mondo, insieme a Cina, Giordania, Sud Africa e Stati Uniti), di gas da scisto e con acque pescosissime, la Spagna ha lasciato la sua colonia e il 6 novembre 1975 il re marocchino Hassan II (incoraggiato dagli USA) ha organizzato una “Marcia Verde” di 350 mila uomini armati di Corano e bandiere marocchine per riconquistare quelle che, sulla base dei “diritti storici”, la monarchia definisce le “province del sud”. Dal 1975 e il 1991, il Fronte Polisario, espressione della resistenza del popolo di origine berbera Saharawi, e l’esercito marocchino si sono combattuti duramente, prima di arrivare ad un cessate il fuoco, affidando la risoluzione del conflitto all’ONU. L’Algeria si è schierata dalla parte del popolo Saharawi e dal 1976 quasi 300 mila rifugiati Saharawi vivono in esilio in cinque campi profughi nel deserto intorno a Tindouf, nel sudovest dell’Algeria. Altre migliaia sono sparsi nel resto del mondo, mentre solo una esigua minoranza vive in condizioni precarie nel Sahara Occidentale. Il popolo Saharawi vorrebbe essere indipendente sotto le insegne della Repubblica Araba Democratica Saharawi – riconosciuta da circa 80 Paesi, ma non dall’ONU né dalla UE -, guidata dal movimento indipendentista Fronte Polisario (che attualmente controlla solo circa un quinto del territorio della regione). I negoziati sono a un punto morto e il Fronte Polisario ha deciso di riaprire le ostilità nel novembre 2020 (rischiando di essere definita un’organizzazione terrorista). L’esercito marocchino ha iniziato ad utilizzare i droni e ai primi di aprile 2021 è stato ucciso il capo di stato maggiore della gendarmeria del Fronte Polisario, Addah Al-Bendir, a Tifariti, nella zona liberata del Sahara Occidentale, dopo che aveva appena partecipato a un attacco nella zona di Bir Lehlou contro il muro di sabbia e pietre difeso dall’esercito marocchino. L’ONU non riesce a organizzare un referendum e i due contendenti hanno optato per conclusioni diverse: autodeterminazione per il Fronte Polisario e autonomia per il Marocco. Posizioni inconciliabili, tanto più che entrambi continuano a muoversi in una logica di guerra e pretendono una vittoria totale sull’avversario. Per anni, le minacce di veto francesi e americane al Consiglio di Sicurezza hanno ostacolato gli sforzi per sistemare la questione del Sahara Occidentale ai sensi del Capitolo VII della Carta dell’ONU, che darebbe alla comunità internazionale il potere di imporre sanzioni o altri mezzi appropriati al Marocco per costringere il Paese a far rispettare i mandati dell’ONU che finora ha disatteso. Invece, Stati Uniti, Francia e, di recente, anche Spagna hanno approvato un piano marocchino di “autonomia” per il Sahara Occidentale che ha una portata piuttosto limitata e non riuscirebbe a soddisfare gli standard internazionali di autonomia. Non consente ai Saharawi l’opzione dell’indipendenza, a cui hanno diritto come territorio non autonomo riconosciuto dall’ONU secondo il diritto internazionale, una serie di risoluzioni dell’ONU e una sentenza storica della Corte di Giustizia mondiale. Se il piano dovesse essere imposto dal Consiglio di Sicurezza, come sostengono Washington e Parigi, costituirebbe per la prima volta dalla firma della Carta dell’ONU che la comunità internazionale riconosce una decolonizzazione incompleta e l’espansione del territorio di un Paese con la forza. A fine 2020, in cambio di una normalizzazione delle relazioni diplomatiche con Israele (i cosiddetti “Accordi di Abramo”), il Marocco ha raggiunto un accordo con l’amministrazione Trump per il riconoscimento della rivendicazione sul Sahara Occidentale. “La proposta di autonomia seria, credibile e realistica del Marocco è l’UNICA base per una soluzione giusta e duratura per la pace e la prosperità durature!” ha detto Trump. “Il Marocco ha riconosciuto gli Stati Uniti nel 1777. È quindi appropriato che riconosciamo la sua sovranità sul Sahara Occidentale“. Gli USA si sono impegnati ad aprire un consolato a Dakhla, una città del Sahara Occidentale gestita dal Marocco. Il regno marocchino offre sgravi fiscali e salari elevati per i dipendenti pubblici. Punta a trasformare il Sahara Occidentale in un importante centro economico e di investimento, aperto al capitale straniero. Ha in programma la costruzione di un porto da 1 miliardo di dollari nella città costiera di Dakhla. Gli Emirati Arabi Uniti e il Bahrain hanno istituito consolati nel territorio conteso. Gruppi come il Dubai Port World degli EAU stanno pensando a investimenti significativi nel porto di Dakhla. Nel gennaio 2020, il parlamento marocchino ha approvato due progetti di legge per espandere le acque territoriali del Paese e per stabilire una zona economica esclusiva che includa le acque lungo il conteso Sahara occidentale, un movimento che ha fatto arrabbiare la Spagna, che controlla le acque circostanti le vicine Isole Canarie, e il Fronte Polisario, che rifiuta ogni sfruttamento delle risorse da parte del Marocco al largo della costa del Sahara Occidentale. Inoltre, negli anni ’80 il Marocco ha costruito sei muri di pietre e sabbia (con campi minati che corrono lungo le strutture) lunghi complessivamente 2.700 km e che tagliano il territorio del Sahara Occidentale da nord a sud e da est a ovest. Questi muri sono presidiati da circa 100 mila soldati alloggiati in fortificazioni, bunker e caserme.[]
  3. L’anno scorso, l’Algeria ha chiuso un gasdotto che attraversa il Marocco fino alla Spagna, anche se insiste sul fatto che le forniture alla penisola iberica continueranno attraverso il restante gasdotto sottomarino Medgaz. Sonatrach ha avvertito all’inizio di aprile che potrebbe aumentare il prezzo delle sue vendite di gas alla Spagna, che rappresentano oltre il 40% delle importazioni del Paese. La Spagna ha aumentato le importazioni di GNL dagli USA. Il Marocco ha annesso il territorio del Sahara Occidentale nel 1975, mentre l’Algeria sostiene l’indipendenza. Fino a circa un mese fa la Spagna, in linea con le Nazioni Unite, aveva chiesto che il popolo Saharawi decidesse il proprio futuro tramite un referendum. Poi, il 18 marzo, in una lettera al re del Marocco Mohammed VI, Sánchez ha descritto il piano marocchino come “la base più seria, credibile e realistica per la risoluzione di questo disaccordo“. A partire dal 2020 i rapporti tra Spagna e Marocco erano diventati tesi, perché la Spagna si era rifiutata di appoggiare il piano. La situazione aveva raggiunto il punto più basso quando la Spagna ha permesso a Brahim Ghali, leader del Fronte Polisario, di essere introdotto clandestinamente nel Paese e curato per il CoVid-19 in un ospedale di Logroño nella primavera del 2021. Considerando questo un tradimento, il Marocco aveva risposto allentando deliberatamente i controlli alle frontiere, consentendo a più di 10 mila migranti di entrare nella città spagnola di Ceuta nell’arco di 36 ore, nonostante che tra i due Paesi esista un accordo sul controllo dei flussi migratori che si inserisce all’interno di un quadro di relazioni bilaterali consolidate fatto di accordi commerciali, esenzioni doganali, investimenti e aiuti allo sviluppo. Inoltre, in due giorni all’inizio di marzo di quest’anno, diverse migliaia di persone dell’Africa subsahariana hanno tentato di scavalcare la recinzione tra il Marocco e Melilla. Nel frattempo, migliaia di migranti, molti dei quali marocchini, hanno compiuto la pericolosa traversata verso le Isole Canarie dall’inizio del decennio, mettendo sotto pressione il sistema di accoglienza spagnolo. Sánchez ha licenziato il suo ministro degli esteri, Arancha González Laya, sulla scia dell’affare Ghali, e ora spera che, con il cambiamento di linea sul Sahara Occidentale, il Marocco non sia più tentato di usare i migranti come leva politica. La decisione di Sánchez è stata criticata da esponenti del suo partito, dal PPE e da Unidas Podemos, partner della sua coalizione di sinistra. L’Ageria non ha digerito il cambio della posizione di Madrid e lo considera un tradimento. Ha immediatamente richiamato il proprio ambasciatore in Spagna per consultazioni e ha chiesto un “franco chiarimento” prima che  il proprio ambasciatore possa tornare a Madrid.[]
  4. Il prezzo di alcuni generi alimentari è più che raddoppiato, come pasta, latte, olio, ortaggi, frutta e carne, con ricorrenti carenze di olio da tavola e semola, che costituiscono la base della dieta locale. Uno studio comparativo dell’Associazione dei consumatori tra i prezzi medi del 2010 e quelli attuali mostra che lo stipendio degli algerini ha perso il 50% del suo valore a causa dell’aumento dei prezzi. Il governo ha annunciato l’apertura di 1.200 punti vendita per facilitare gli acquisti a prezzi calmierati alle famiglie durante il Ramadan. L’Algeria importa tra 12 e 13 milioni di tonnellate di cereali ogni anno e il 10 marzo scorso le autorità hanno firmato contratti per l’acquisto di 700 mila tonnellate di grano duro, a un prezzo di 485 dollari a tonnellata, cioè il doppio delle quotazioni di inizio 2021. Inoltre, l’Algeria, pur di evitare carenze negli approvvigionamenti, ha ripreso l’acquisto di cereali dalla Francia, nonostante le forti tensioni diplomatiche che, nei mesi scorsi, hanno avvelenato i rapporti con Parigi. Il governo ha anche deciso di congelare l’implementazione dei progetti finalizzati alla rimozione dei sussidi sull’olio, sulla farina e sul gas, costati 17 miliardi di dollari nel 2021 e, al tempo stesso, di vietare l’esportazione di alcuni prodotti alimentari di consumo la cui materia prima è importata: zucchero, pasta, olio, semola e tutti i derivati del grano sono ora vietati all’esportazione. Il ministro della Giustizia sta elaborando anche un disegno di legge per penalizzare l’esportazione di questi prodotti che sarà presto considerato “un atto di sabotaggio dell’economia nazionale“.[]
  5. L’Algeria ha iniziato il 2022 con un vertiginoso rialzo dei prezzi al consumo che ha costretto a metà febbraio Tebboune a sospendere l’applicazione delle nuove tasse e tributi previsti dalla legge finanziaria. Nel contempo sono state riviste al rialzo le retribuzioni – tra il 14% e il 16% – grazie alla riduzione dell’Irpef, applicata da inizio anno. Gli sforzi del governo sono proseguiti con il pagamento, da questo mese di marzo, di un sussidio di disoccupazione di quasi 82 euro destinato ai nuovi in disoccupati di età compresa tra i 19 e i 40 anni (circa 800 mila persone), che apre anche il diritto alla protezione sociale. È probabile che altre misure – per l’edilizia pubblica e la creazione di nuovi posti di lavoro per i giovani – vengano avviate nell’ambito della legge sulla finanza integrativa 2022, attesa per la fine di questo semestre.[]
  6. Il Marocco è un Paese senza gas né petrolio, che attrae investimenti (in ferrovie, autostrade, porti, aeroporti, centrali d’energia solare ed eolica, centri logistici e impianti industriali di Peugeot, Renault, Adidas, Huawei, 3M, Decathlon e altre multinazionali) e turisti (milioni di pensionati francesi), ha un PIL che cresce, ma anche una disoccupazione giovanile ed urbana del 45%. Con i suoi 35 milioni di abitanti, di cui quasi la metà sotto i 15 anni, il Marocco registra le maggiori diseguaglianze del Nord Africa, secondo i dati dell’ONG britannica Oxfam. Inoltre, la regione del Rif, nel nord del Paese, è stata scossa dal movimento di protesta hirak tra il 2016 e il 2017, mentre il malcontento verso le politiche del governo è molto diffuso tra i lavoratori (soprattutto tra insegnanti e medici) e i giovani. La “fuga di cervelli” è massiccia: il gruppo di studenti stranieri più numeroso nelle università della Francia è quello marocchino, mentre un terzo della popolazione è analfabeta. Il FMI pressa il governo per instaurare una austerità che si abbatte sulle condizioni di vita della popolazione e per comprimere la massa salariale dello Stato ricorrendo a contratti precari anche nel settore pubblico. Il Marocco è una pedina fondamentale per le strategie della UE di contenimento dell’immigrazione e per questo ha riceve circa 140 milioni di euro all’anno dal 2018. Non solo controlla, detiene e pratica i rimpatri volontari e forzati dei migranti che vorrebbero raggiungere la Spagna, ma è disponibile a riprendersi i migranti sbarcati nel regno spagnolo (come fa anche l’Algeria) o che riescono a superare le alte reti e i muri che separano dal territorio marocchino le città africane spagnole di Melilla e Ceuta. In effetti, il Marocco è il principale beneficiario degli aiuti dell’UE nel Mediterraneo, avendo ricevuto miliardi di euro sia dallo strumento europeo di vicinato che dalla Banca Europea per gli Investimenti negli ultimi 6 anni. Allo stesso tempo il Regno è un tassello fondamentale nella strategia anti-jihadista, ed un alleato francese importante, considerando anche il fatto che le imprese francesi sono il primo investitore straniero. Il regime marocchino sa che non può sopravvivere senza gli aiuti e il commercio con i Paesi della UE (due terzi degli scambi e il grosso del turismo), ma sta cercando di diversificare le sue relazioni – attraverso alleanze con Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, e Paesi africani, nonché con la Cina e, potenzialmente, la Russia – per essere meno dipendente dall’UE in futuro. Dopo EAU, Bahrain, Sudan, il Marocco ha deciso di normalizzare le relazioni diplomatiche con Israele a fine 2020 in cambio di un accordo con l’amministrazione Trump di un riconoscimento della rivendicazione del Marocco sulla contesa regione del Sahara Occidentale. Il Marocco, che ha una lunga storia ebraica (che risale all’espulsione dalla Spagna decisa da Isabella la Cattolica nel 1492) e una piccola comunità attuale di ebrei (circa 3 mila), ha mantenuto per anni legami informali con Israele. Si stima che oltre 1 milione di israeliani abbiamo un’origine marocchina (avendo lasciato il Marocco dopo il 1948) e che circa 50 mila israeliani si rechino in Marocco ogni anno in viaggi per conoscere la comunità ebraica, ripercorrere le loro storie familiari e fare pellegrinaggi sulle tombe dei santi ebrei venerati anche dai musulmani. La storia e la cultura ebraica in Marocco faranno presto parte del programma scolastico. Il re marocchino ha affermato che “le misure non intaccano in alcun modo il costante e sostenuto impegno del Marocco per la giusta causa palestinese” e ha ribadito il suo impegno per una soluzione a due Stati. Tuttavia, i palestinesi hanno condannato la mossa perché ha infranto il vecchio accordo nel mondo arabo per isolare Israele fino a quando non avesse accettato di porre fine alla sua occupazione dei territori palestinesi. Inoltre, i principali gruppi islamisti del Marocco hanno respinto il piano del governo di normalizzare i legami con Israele.[]
  7. L’offensiva islamica fondamentalista è stata sconfitta politicamente e militarmente in Algeria alla fine degli anni ‘90 e ha finito per ripiegare verso la regione sahariana e saheliana trovandovi scarsi controlli, nuove opportunità legate a ogni tipo di traffici illegali (dal traffico di migranti a quelli di oro, armi e droghe) e occasioni di reclutamento fra i giovani, spesso appartenenti alle etnie minoritarie nomadi e semi-nomadi (dai Tuareg ai Peul) e disposti ad accogliere un’ideologia radicale capace di canalizzare al tempo stesso frustrazione, rivolta ed autoaffermazione. A partire dal 2007 la regione, già interessata dalla presenza di cellule di al-Qaeda dal 2001, ha vissuto un incremento dell’emergenza di gruppi armati di matrice islamista (salafita) radicale soprattutto nell’area nord-occidentale (Mauritania, Mali, Niger, Algeria meridionale), con la secessione de facto del nord del Mali. Sulle vicende relative al Sahel vedi i nostri articoli qui e qui.[]
  8. Abdelaziz Bouteflika è morto il 21 settembre 2021 dopo essere stato deposto nel 2019. Era nato il 2 marzo 1937 da genitori algerini nella città di confine di Oujda, in Marocco. Nel 1956 si era unito all’Esercito di Liberazione Nazionale, il braccio militare del Fronte di Liberazione Nazionale (FLN), nella guerra contro il dominio francese nel corso della quale sono morti oltre 1 milione di algerini. Dopo l’indipendenza dell’Algeria nel 1962, Bouteflika era diventato il primo ministro degli Esteri del Paese a soli 25 anni. Mantenne quell’incarico per 16 anni, facendo diventare l’Algeria uno dei Paesi leader del Terzo Mondo e del Movimento dei Non Allineati, arrivando a presiedere l’Assemblea Generale dell’ONU nel 1974 e invitando l’ex leader palestinese Yasser Arafat a parlare all’Assemblea e a vivere ad Algeri. Quello stesso anno, ha ordinato l’espulsione dei funzionari sudafricani dall’Algeria in protesta contro il suo sistema di apartheid. Bouteflika negoziò con successo con il terrorista Carlos “lo sciacallo” la liberazione dei ministri del petrolio presi in ostaggio in un attacco al quartier generale dell’OPEC nel 1975. All’inizio degli anni ’80, Bouteflika andò in esilio a Dubai e in Svizzera dopo la morte dell’ex presidente Houari Boumediene nel 1978. Bouteflika aveva provato a colmare il vuoto di potere, ma Chadli Bendjedid, ex ministro della Difesa con un forte sostegno militare, prese il potere nel 1979, costringendo Bouteflika a lasciare l’arena politica e il Paese. Ritornò negli anni ’90, quando l’Algeria era devastata da una guerra tra esercito e militanti islamici che uccise almeno 200 mila persone. Solo dopo la sua morte è emerso che Bouteflika aveva avuto un conto bancario milionario segreto in Svizzera presso il Credit Suisse (condivido con i suoi fratelli) tra il 1999 e il 2011, proprio come Khaled Nezzar, ex capo dell’esercito, e diversi altri dignitari algerini.[]
  9. L’Algeria è stata classificata al 100° posto su 175 Paesi nell’indice di percezione della corruzione di Transparency International nel 2014. La costruzione dell’Autostrada Est-Ovest, avviata nel 2006 e soprannominata il “progetto del secolo”, divenne invece nota come lo “scandalo del secolo”. Inizialmente, si stimava che l’autostrada che collegava i confini dell’Algeria con la Tunisia e il Marocco dovesse costare 7 miliardi di dollari, ma il prezzo è salito a 13 miliardi, lasciando molti a sospettare che i fondi fossero stati distribuiti in tangenti. Nel 2015, un tribunale algerino ha condannato 14 persone al carcere e multato sette aziende straniere, condannandole per corruzione, riciclaggio di denaro e appropriazione indebita di fondi pubblici.[]
  10. Nell’aprile 2022, Ouyahia è stato condannato a 4 anni di reclusione, insieme ad un altro ex primo ministro, Abdelmalek Sellal (condannato a 5 anni), e ad alcuni imprenditori, per “sperpero di fondi pubblici e abuso d’ufficio al fine di concedere vantaggi indebiti“.[]
  11. Più della metà della popolazione ha meno di trent’anni, il 45% meno di 25, con una disoccupazione giovanile ufficiale superiore al 30%. Questa componente giovanile ha visto azzerarsi le sue possibilità di costruzione di un futuro dignitoso che non fosse la precarietà strutturale in Algeria – nonostante gli studi fatti – e l’emigrazione, quella clandestina via mare (“La Hogra”) o la possibilità di studiare all’estero, in particolare in Francia, divenuta di fatto impraticabile con l’innalzamento delle tasse scolastiche per gli universitari non-UE.[]
  12. Nonostante suo figlio fosse stato arrestato in relazione ad un clamoroso caso di 701 chili di cocaina sequestrati nel porto di Orano nel maggio 2018, Abdelmadjid Tebboune è passato, prima dell’inizio della campagna elettorale, a candidato del regime, grazie all’appoggio del capo dell’esercito Ahmed Gaïd Salah. Si è rafforzato dopo l’arresto, ampiamente pubblicizzato dai media privati legati al governo, di un suo parente, l’imprenditore Omar Alilat, condannato per corruzione. Tebboune si è diplomato alla Scuola Nazionale di Amministrazione nel 1969 ed è stato più volte walis (prefetto), prima di ricoprire varie funzioni ministeriali. In qualità di ministro dell’edilizia abitativa, ha monitorato il controverso cantiere della Grande Moschea di Algeri deciso da Bouteflika. Nominato Primo Ministro il 25 maggio 2017, è stato licenziato il 15 agosto, dopo che era emersa la sua intenzione di perseguire l’uomo d’affari Ali Haddad, magnate del settore delle costruzioni e amico intimo di Saïd Bouteflika, fratello del capo dello Stato. Questo licenziamento non gli aveva impedito di esprimere pubblicamente la sua “lealtà” al presidente Bouteflika, sostenendolo per un quinto mandato.[]
  13. Nonostante la pacificazione interna dei primi anni 2000, l’esercito e il governo algerino hanno mantenuto un clima di costante allerta su minacce securitarie derivanti sia dalla presenza di gruppi armati legati al movimento jihadista nel sud del Paese sia dal focolaio d’instabilità libico[]
  14. La giornata elettorale è stata contrassegnata ad Algeri da una grande manifestazione da parte dell’hirak che ha sfidato un grande dispiegamento di polizia. Una folla stimata in decine di migliaia di persone è riuscita a invadere le strade del centro della capitale, nonostante gli interventi sistematici e spesso brutali della polizia ad ogni tentativo di raduno. “Makache l’vote” (nessun voto!), ha scandito la folla dei manifestanti.[]
  15. Il presidente della Repubblica è anche il capo supremo delle Forze Armate e il ministro della Difesa Nazionale. Inoltre, il presidente detiene un diretto controllo sulla magistratura attraverso il ruolo al vertice dell’Alto consiglio della magistratura, mantenendo così potere di nomina e di revoca sui giudici. In parallelo, il presidente guida l’Autorità nazionale per le elezioni, può rimuovere un primo ministro in carica e ha anche potere di veto sulle misure di legge, sia chiedendo una rilettura del testo in parlamento (e l’approvazione da parte di una maggioranza di due terzi) sia rifiutando una legge una volta che arriva in Senato per l’approvazione, che richiederebbe una maggioranza di 3/4 di cui almeno un quarto sia stato nominato dal presidente. Di fatto, il presidente ha un ruolo diretto nel funzionamento di tutte e tre le branche del governo: legislativa, esecutiva e giudiziaria, in contrasto con quanto chiesto fin dall’inizio dai manifestanti dell’hirak.[]
  16. La pandemia ha evidenziato gravi carenze nel sistema sanitario nazionale in termini di trattamento e assistenza ai pazienti bisognosi di cure intensive. Nonostante gli ingenti proventi derivanti dalle rendite petrolifere, infatti, la sanità algerina è classificata 173° su 195 paesi dal Global Health Security Index 2019 stilato dalla Johns Hopkins, con ospedali dotati di limitate scorte di dispositivi di sanificazione e sterilizzazione, di indumenti protettivi e, soprattutto, privi di sufficienti macchinari e unità per la terapia intensiva, cruciali per fronteggiare il virus. Il fatto che i membri dell’élite, inclusi Bouteflika e Tebboune, preferiscano farsi curare in Europa ne è chiara conferma. Aiuti sanitari sono venuti dalla Cina, mentre è stato utilizzato il vaccino russo Sputnik V.[]
  17. Il separatista Movimento per l’autodeterminazione della Kabylia (MAK) è classificato come “organizzazione terroristica” dall’Alto Consiglio di Sicurezza algerino. Durante le elezioni presidenziali del dicembre 2019 , la regione ha registrato un tasso di partecipazione quasi nullo, dello 0,18% a Béjaïa e dello 0,04% a Tizi-Ouzou, le due principali wilaya (prefetture) della regione, che hanno circa 3 milioni di abitanti. All’epoca, diversi seggi elettorali erano stati chiusi con un lucchetto, le urne distrutte e le schede sparse per terra da residenti arrabbiati. Negli scontri tra polizia e manifestanti diverse persone sono state ferite in entrambe le parti.[]
  18. In Algeria esiste una sola agenzia pubblicitaria – l’Agence Nationale d’édition et de publicité (ANEP) – ed è statale. Attraverso l’ANEP, lo Stato ricompensa o punisce i mezzi d’informazione in base al loro atteggiamento. Negli ultimi anni, diversi giornali e riviste hannoterminato le pubblicazioni a causa della mancanza di entrate pubblicitarie e del calo delle vendite. Il 14 aprile ha chiuso il quotidiano francofono Liberté. La decisione è stata presa dal proprietario, il ricco uomo d’affari Issad Rebrab, si ritiene a seguito di pressioni politiche legate anche alle sue vicende giudiziarie. La persecuzione giudiziaria è un altro strumento usato contro le redazioni, con i giornalisti che sono convocati in tribunale per rispondere ad accuse come oltraggio all’unità nazionale, minaccia contro gli interessi nazionali o diffamazione e insulti alla polizia, esercito o governo. Nell’aprile 2020, è stata approvata una legge che criminalizza la diffusione di notizie false, allo scopo di salvaguardare la sicurezza dello Stato, e permette l’arresto dei giornalisti e la censura. Il governo colpisce anche sui social networks e internet e alcuni siti vengono oscurati. Nel suo indice annuale della libertà di stampa Reporters san Frontiérs colloca l’Ageria al 146° posto su 180. Dal 2015 il Paese ha perso 27 posizioni, un calo che ha rispecchiato la deriva autoritaria.[]
  19. Tebboune ha chiesto il “totale rispetto” della Francia, dopo una lite diplomatica a seguito della decisione francese di ridurre il numero dei visti ai cittadini di Algeria, Marocco e Tunisia, e commenti critici di Macron. Il governo algerino ha accusato la Francia di aver commesso un “genocidio” durante il periodo coloniale, ha richiamato l’ambasciatore da Parigi il 2 ottobre 2021 per i commenti considerati “una inammissibile interferenza sugli affari interni” attribuiti a Macron e ha anche bandito gli aerei militari francesi diretti nel Sahel dal suo spazio aereo. Secondo quanto riportato da Le Monde, Macron ha affermato che l’Algeria è governata da un “sistema politico-militare” e ha descritto la “storia ufficiale” del Paese come “totalmente riscritta” dalla élite dirigente algerina in qualcosa “non basato su verità“, ma “su un discorso di odio verso la Francia”. La situazione si è normalizzata il 14 aprile 2022 con la visita del ministro degli Esteri francese Le Drian a Tebboune ad Algeri. Le Dian ha definitoessenziali” le relazioni bilaterali tra i due Paesi. Francia e Algeria hanno “profondi legami storici, molteplici legami umani tra i nostri due popoli su entrambe le sponde del Mediterraneo. Sta a noi collocarli in una prospettiva storica per il futuro“, ha aggiunto. Le Drian ha affermato che la cooperazione tra Algeria e Francia nel campo della sicurezza per la stabilizzazione dell’ambiente regionale è “indispensabile nel Mediterraneo come in Africa“. Sul tema dell’evoluzione della situazione nel Sahel, Le Drian ha auspicato il rilancio del processo di transizione in Libia, considerando, inoltre, che Algeria e Francia hanno “sfide strategiche condivise“.[]
  20. L’Algeria è particolarmente vulnerabile al cambiamento climatico che amplifica la siccità e le ondate di calore estremo, creando le condizioni ideali perché la devastazione di intere regioni da parte di incendi si diffondono senza controllo e infliggono danni senza precedenti. Nel corso dell’estate 2021, con temperature record e forti venti, decine di incendi separati sono scoppiati in 17 province, soprattutto nella regione della Kabylia, causando 90 morti e la distruzione di migliaia di ettari di bosco. Il governo algerino ha affermato che gli incendi letali sono stati opera di gruppi che ha etichettato come “terroristi“, uno dei quali, il MAK, sarebbe sostenuto dal Marocco.[]
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